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Incontri
del Sabato ciclo A-B-C
Condotti da Luigi Bracco
Gv
15,9: “Come il Padre ha amato me, così
anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore”.
ciclo A - presso Casa di Preghiera:
Pensieri tratti dalla conversazione:
(11.04.1981)
Nino:
L’iniziativa è sempre di Dio; il Padre ha amato il Figlio.
Luigi:
Questo passato prossimo va cambiato in presente, così diventa anche più chiaro:
“Come il Padre ama me, così anch’io amo voi”.
Noi possiamo amare soltanto nella misura in cui riceviamo amore. Noi non
abbiamo l’iniziativa di amare. Noi possiamo soltanto essere in difetto riguardo
all’amore; ma tutto quello che amiamo, in quanto amiamo, non è mai per
iniziativa nostra; ma è sempre in quanto riceviamo amore. Cioè, la nostra
capacità di amare è in relazione all’amore che riceviamo...
Pinuccia
B.: …e di cui abbiamo coscienza, perché Dio ci ama comunque siamo. Ma se non ne
abbiamo consapevolezza, l’amore che riceviamo non ci fa capaci di amare.
Luigi:
Si. Comunque, in ogni cosa la consapevolezza è frutto di approfondimento. Però
la nostra consapevolezza, il nostro approfondimento, non cambia la realtà. La
realtà è questa: noi siamo capaci di amare nella misura in cui riceviamo amore.
Per cui, anche se non ne siamo coscienti, ma amiamo, è perché abbiamo ricevuto
amore. Anche se non ne siamo coscienti, in quanto amiamo, amiamo perché
siamo stati amati, perché abbiamo ricevuto amore. In caso diverso, da soli,
siamo soltanto capaci di odiare, di distruggere, di annullare, ma non siamo
capaci di amare. Ogni nostra capacità, come anche la luce, la pace, sono sempre
frutto di Dio, perché l’iniziativa, il principio, è uno solo, è Dio.
Dio è la sorgente della luce, tutto
il resto illumina sempre per riflesso. Però nel riflesso ci può essere il
difetto. Cioè, noi possiamo essere in difetto. L’importante è capire questo: noi
possiamo solo essere in difetto e il difetto è puramente nostro; e tutto quello
che possiamo fare di positivo, lo possiamo fare nella misura in cui riceviamo.
Nino:
Si, ma non pensi che per riflettere l’amore di Dio, la creatura deve aver
conosciuto qualcosa di Dio?
Luigi:
Si, ma volevo precisare che la nostra consapevolezza o meno di una cosa, non
altera la cosa: la Realtà è tale in Sé e per Sé. Dio ci ama per primo, noi di
conseguenza, che lo sappiamo o no. Quando lo sapremo, eventualmente, saremo
confusi perché diremo: “Non me ne sono accorto; non mi rendevo conto che era
così; credevo di essere io ad amare e non mi accorgevo che tutto il mio amore
era soltanto un riflesso dell’amore che ricevevo inconsciamente!”.
Non è che se uno è inconscio,
non riceva; continua a ricevere, perché Colui che inizia l’opera, la inizia
all’insaputa dell’altro. Perché la consapevolezza dell’altro è già un frutto, è
un riflesso.
Come noi non siamo capaci di
pensare se Dio per primo non pensa noi, così non siamo capaci di amare, non
siamo capaci di trasmettere vita se non riceviamo.
Naturalmente più prendiamo consapevolezza della cosa, e più abbiamo una
partecipazione consapevole; ma la Realtà è sempre quella.
Nino:
La Realtà da parte di Dio è sempre quella, ma è la realtà da parte nostra che
può cambiare a seconda di quello che conosciamo o meno.
Luigi:
Cambia la nostra risposta, ma non cambia la Realtà. La Realtà è tale e quale:
noi possiamo soltanto aderire alla Realtà o essere in difetto rispetto alla
Realtà. Se siamo in difetto, la privazione è nostra; cioè subiamo un “minus”, ma la Realtà è sempre quella.
Non è perché non conosciamo la
Realtà, che la Realtà cambia. No, la Realtà è quella anche se non la conosciamo.
Le stelle continuano a brillare anche se tu non le conosci. Cioè più siamo
consapevoli della Realtà e più partecipiamo della Realtà, ma la Realtà resta
tale e quale. Noi ci dobbiamo solo preoccupare di scoprire, di penetrare in
questa Realtà che ci è annunciata.
Il fatto è che noi amiamo anche
quando non ne siamo consapevoli. Nel pensiero del nostro io, tutte le
espressioni di amore, sono già una conseguenza di un amore ricevuto. Ad
esempio un figlio, nei riguardi del padre e della madre, riceve una tale carica
d’amore, che se anche non se ne rende conto, riflette questo amore, questa
sicurezza che porta con sé, altrove e crede di essere chissà che cosa, crede di
essere lui la fonte di questo amore; e non si accorge che è un riflesso
dell’amore che ha ricevuto attorno a sé. Eppure la realtà è quella. Il fatto è
che se ne siamo consapevoli non l’attribuiamo a noi, ma la attribuiamo alla
sorgente; se non ne siamo consapevoli, l’attribuiamo a noi stessi: “Sono io
che penso; sono io che faccio; sono io che sono fedele”.
Se uno è consapevole
attribuisce tutto a Dio: “È tutto dono di Dio!”. La consapevolezza porta a
non alterare la realtà, porta a riconoscere che tutto viene da Dio. Invece
nell’incoscienza, noi attribuiamo a noi stessi, alle nostre virtù, alle nostre
capacità. Ed è un furto, perché attribuiamo a noi le cose. E’ sufficiente che
ci distraiamo un attimo dal Pensiero di Dio, che immediatamente precipitiamo
nel pensiero dell’io. Basta distrarsi un momento dal Pensiero di Dio e pensiamo
a noi stessi. E se cominciamo a pensare a noi stessi, è finita. Perché pensando
a noi stessi ci carichiamo di paura; perché incominciamo a vedere le cose in
relazione a noi.
Noi viviamo nella misura in cui
pensiamo all’Altro, dipendiamo dall’Altro. Effettivamente noi dipendiamo da Dio
in tutto; ma dobbiamo mantenere questa dipendenza da Dio. Quindi la
nostra vita deve essere tutta una proiezione di questo interesse per Dio, di
questo amore per Dio, di questo desiderio di conoscere Dio, di questo
attribuire tutto a Dio, di questo riportare tutto a Dio; bisogna avere sempre
presente il Pensiero di Dio.
Come ci distraiamo da questa
attenzione a Dio, per pensare a noi stessi, alla nostra situazione, è finita.
Allora Dio ci fa toccare con mano il nostro niente, la nostra povertà. Perché
noi viviamo nella misura in cui partecipiamo di Dio. E’ il famoso tralcio
rispetto alla vite. Noi viviamo nella misura in cui non guardiamo a noi ma
guardiamo a Dio. E quando qualcuno ci fa guardare a noi stessi, si crea un
distacco dalla vite, si crea una ferita, si crea un omicidio. Chi ci fa
guardare a noi, ci uccide e ci impedisce di amare, ci impedisce di partecipare
della vita, perché la vita ci viene da Dio. E incominciamo a sperimentare la
morte. La morte è una distrazione, è distrazione dal Pensiero di Dio. Per
questo il Signore dice: “Pensa a me ed io penso a tutto; guarda me e ricevi
tutto”.
Ora, noi restiamo uniti alla
vite, attraverso questo sguardo: “Dimenticati e allora canterai da mattina a
sera. Anche se fossi sulla strada, in mezzo alla pioggia, che importa: c'è
Dio!”. E’ Dio che si fa sperimentare.
Ma se pensiamo a noi stessi,
anche fossimo in una casa d’oro, ci carichiamo di angosce, di paure. Dobbiamo
convincerci che Dio è Realtà, ma è Realtà spirituale; ed essendo Realtà spirituale,
la cogliamo attraverso lo spirito, attraverso il pensiero.
Pinuccia
B.: Non è che io voglia pensare a me stessa, è che se non penso Dio,
automaticamente penso a me stessa.
Luigi:
Si, perché naturalmente pensiamo a noi stessi, tutto ci porta a pensare a noi
stessi. Se guardi l’orizzonte è circolare, per cui al centro ci sei tu; se
parli con le persone e le persone guardano te. Invece Dio è trascendente, per
cui richiede a noi la fatica di non fermarci alle nostre impressioni, e le
nostre impressioni sono il nostro io. Noi naturalmente riferiamo tutto al
nostro io, in quanto è il nostro io che sente, che avverte le impressioni. Però
Dio ci dice: “Non sei tu il punto fisso
di riferimento; io sono il punto fisso di riferimento. Quindi non fermarti ai
sentimenti, ai tuoi giudizi, alle tue esperienze ma riporta tutto a me”.
Ora questo “riporta a me” è la fatica che ci è richiesta; è lo “Sforzati di entrare”, che non
avviene naturalmente, perché richiede una partecipazione consapevole. Per cui:
“Signore, Tu mi fai arrivare questa paura, questo spavento, questa prova, ma
cosa mi vuoi significare, che lezione mi vuoi dare?”, ecco il riporto.
Dobbiamo approfondire cosa vuol
dire “rimanere nel mio amore”;
perché l’amore rimane in noi, Lui rimane in noi, ma se ci dice “rimanete”, vuol dire che possiamo non
rimanere.
Ecco la parola di Dio che
arriva a noi. Gesù dice: “Il Padre ama me, io amo
voi, ma voi rimanete in questo amore”. L’amore lo
riceviamo, ma: “Voi dovete imparare a
restare”; il che vuol dire che noi possiamo non restare. Il rischio della
creatura è lì.
Ora, quand’è che si rimane
nella dimora di Dio?
L’amore dichiarato, rimane. Per
cui cerchiamo di approfondite quel “rimanete”;
come si fa a rimanere?
(?):
Siccome io non ho mai fatto l’esperienza del rimanere, mi viene il dubbio che
sia possibile rimanere.
Luigi:
Se Gesù lo dice, è perché ci dà la possibilità, altrimenti ci prenderebbe in
giro. Quando Dio parla, in quanto parla, dà a noi la possibilità di fare ciò
che Lui dice; quindi non ci prende in giro. Prendere in giro vuol dire
proporre una cosa senza dare la possibilità di farla.
(?): Quando
Gesù disse agli apostoli di gettare la rete dalla parte destra della barca, la
rete si riempì di pesci; per cui se anche io dico al Signore: “Se lo dici tu lo
faccio”…
Luigi:
Si. Prima di tutto dobbiamo stare molto attenti, perché dobbiamo fare conto
sulla sua parola non sulla nostra esperienza. Perché se peschiamo tutta la
notte e non prendiamo niente, abbiamo un’esperienza. E questa esperienza ci
impedisce, ci crea una resistenza nell’abbandonarci alla parola di Dio; per cui
diciamo: “Tu dici questo ma io ho provato cosa vuol dire!”. Tutti i nostri
problemi, tutti le nostre fatiche, tutte le nostre esperienze, sono tutte prove
che Dio ci mette, affinché facciamo conto su di Lui e sempre più conto su
di Lui. E non affinché facciamo conto su quello che sperimentiamo. “Sulla tua parola getterò le reti”. La
vita eterna è fare conto soltanto su Dio, non su di noi o su quello che abbiamo
capito noi, o su quello che abbiamo conosciuto noi.
Prima si diceva che non
dobbiamo far conto neanche su quello che capiamo, perché non è quello che
capiamo che cambia la realtà. Quindi tutte le prove che il Signore ci manda,
non ce le manda affinché noi abbiamo a seguire le prove, ad ascoltare le prove,
ma perché abbiamo a fare maggiormente conto su Dio; quindi a superarle.
Altrimenti la Madonna non avrebbe mai concepito, perché non si era mai visto
che una donna concepisse per opera dello Spirito Santo. L’esperienza era ben
altra.
La Madonna come ha concepito? “Sulla tua parola”, “Si faccia di me non secondo l’esperienza, non secondo quello che fanno
gli uomini, io non conosco gli uomini, non voglio sapere le parole degli uomini.
Voglio sapere la tua parola!”. Ecco,
anche noi dovremmo sempre pensare così, perché la Madonna è la figura esemplare
per tutti noi, è il prototipo, è la creatura che Dio vuole per ognuno di noi.
La
sintesi della Madonna sta tutta in questa parola: “Si faccia di me secondo la
tua parola”;
e questo è quello che deve dire ognuno di noi. Non secondo quello che
dicono gli uomini, non secondo le esperienze che abbiamo fatto, non secondo le nostre
abitudini, non secondo quello che abbiamo fatto nella notte, ma “sulla tua parola”; “anche se la tua parola mi dice l’impossibile per me, si faccia di me
secondo la tua parola”. La chiave di volta sta lì. Perché tutte le prove
che il Signore ci manda, ce le manda non perché noi abbiamo ad essere
ubbidienti alle prove, ma perché abbiamo a far conto su di Lui, che è tutta
un’altra faccenda.
Pinuccia
B.: Cosa vuol dire essere ubbidienti alla prova?
Luigi:
Vuol dire adeguarci, vuol dire vivere secondo le prove. Per cui, abbiamo
pescato tutta la notte, non abbiamo preso niente, troviamo Gesù, al mattino, che
è il momento in cui non si pesca niente, che ci dice di gettare le reti, e
rispondiamo: “Signore, cosa mi dici?! Tu non sei un esperto. Io so cosa vuol
dire. Tutta la notte ho pescato e non ho preso niente, figurati se cerco di
pescare al mattino”. No, dobbiamo dire “sulla tua parola getterò le reti, anche
se tu mi dici un assurdo”. Era un assurdo buttare le reti in quel mattino, oltretutto
c’era anche tutta la fatica della notte, ma Pietro dice: “Signore, sulla tua parola getterò le reti”.
Ora, quella era una prova, l’esperienza della notte era una prova; per che
cosa? Per arrivare a far conto sulla parola di Dio. D’altronde, quando Pietro
dice: “Sulla tua parola…”,
ripete in sostanza quello che dice la Madonna: “Si faccia di
me secondo la tua parola”. Quindi non dobbiamo tener
conto né della stanchezza, della fatica inutile, ma dobbiamo dire: “Sulla tua parola!”. E la parola fa i miracoli.
Ora, noi impediamo a Dio di
fare i miracoli. Perché a Nazareth non poté fare dei miracoli? Perché non
credevano alla parola, ma credevano all’esperienza. Per loro Gesù era il figlio
del falegname, il figlio del fabbro, quindi non potevano credere alla parola,
ma credevano a quello che avevano sperimentato. E Lui non poté fare dei
miracoli. Ecco come noi ci impediamo i doni migliori da parte di Dio: facciamo
leva sulla nostra esperienza e non facciamo il passaggio al far conto su Dio.
Paolo:
Per rimanere è necessario essere fedeli nel poco; però mi chiedo cosa vuol dire
per me questo “poco”.
Luigi:
Per noi il poco è incominciare con il pensiero a far conto su Dio, anche se
tremiamo di paura, anche se all’atto pratico molliamo le vele, l’importante è
dare ragione a Dio col pensiero. Cioè, non dobbiamo giustificarci.
La fedeltà nel poco per noi è
il pensiero. Perché la fonte di tutti i nostri errori sta in questo: con molta
facilità sottraiamo il pensiero a Dio; perché per noi è molto facile. Per noi
il pensiero è ciò su cui facciamo meno leva, e invece è la fonte di tutto.
Là dove è il tuo pensiero, lì è
tutta la tua vita. Il tuo pensiero è il tuo
occhio: se guardi Dio, tutta la tua vita incomincia ad essere illuminata dallo
spirito di Dio. Ma se distogli il tuo occhio da Dio, il tuo pensiero da Dio,
per pensare a te stesso, per pensare al mondo, agli uomini, tutta la tua vita
incomincia a diventare tenebrosa.
Ora, questa fedeltà nel
poco, che agli occhi nostri sembra poco, è immensa, perché il pensiero ha un
valore enorme; tant’è che per un pensiero dell’uomo, Dio è disposto a
creare mille universi, non soltanto uno. Eppure noi, se c'è una cosa che
sprechiamo con una facilità enorme, è proprio il pensiero. Dopo il pensiero
vengono le parole, ma prima di tutto sprechiamo il pensiero. Se sapessimo la
preziosità di una parola, non sprecheremmo le parole con una facilità enorme
nella nostra giornata.
Paolo:
Ci vuole allenamento.
Luigi:
Certo, però bisogna incominciare col dire a se stessi questo: “Il Signore vuole
che io faccia conto su di Lui in tutto”; e incominciare a dare ragione a Lui. “È
giusto che io faccia conto su di Lui o devo far conto su altro o su altri?”.
Incominciamo a riconoscere che
è giusto dare a Dio quello che è di Dio; poi anche
se non siamo capaci, anche se sbagliamo, anche se pasticciamo, però lo riconosciamo.
Perché se riconosciamo il pensiero, anche se pasticciamo, riconosciamo che dobbiamo
far conto su Dio. Altrimenti incominciamo a giustificarci: “Ma io ho i campi, ho i buoi, ho la moglie …”.
No, Dio va messo al suo posto, incominciamo a riconoscerlo col pensiero dentro
di noi; e poi, a poco per volta, a forza di dire a noi stessi “Sono uno
stupido”, incominciamo a farci furbi. Se aderiamo col pensiero, incominciamo a
scoprire che agendo, comportandosi, parlando in modo diverso a quello che è il
pensiero, cominciamo a dire: “Ma sono proprio sciocco!”, e a forza di dircelo,
maturiamo nelle cose dello spirito.
L’importante è stare attenti, avere
sempre il pensiero presso Dio; sempre, in qualunque cosa, confrontare sempre
con Dio, misurare sempre con Dio. E’ il tralcio che deve restare unito alla
vite.
Questo “rimanere” è soprattutto
un rapporto di pensiero. Tieni presente che tutto
viene da Dio e che tutto Dio ti manda perché tu abbia a far conto su Dio; Lui
ti sostiene in tutto, non temere, Lui ti fa camminare sulle acque. Tutto quello
che arriva a te arriva da Dio, perché Dio è il principio; mantieni questo
principio. Perché se ti viene annunciato un principio, ti viene annunciato affinché
per te sia sempre il principio. Tu puoi sempre dire che Dio è il principio di
tutto, quindi tutto devi sempre ricevere da Dio, e tutto devi sempre riportare
a Dio, in modo da poter fare in tutto conto su Dio. Allora Dio diventa il Padre
dei tuoi pensieri, e se diventa il Padre dei tuoi pensieri, diventa anche il
Padre del tuo parlare, e poi il Padre del nostro agire, e poi il Padre del tuo
vivere e ad un certo momento diventa tuo Padre in tutto. E qui abbiamo il
figlio che “non può fare niente se non lo vede fare dal
Padre”.
Pinuccia
B.: Devo prendere consapevolezza di “come” il Padre ci ama.
Luigi:
Il Padre ci ama come ama il Figlio; ma “come” il Padre ama il Figlio?
Pinuccia
B.: Donando tutto Se stesso.
Luigi:
Il Padre ama il Figlio facendolo essere,
perché l’amore fa essere l’altro. E’ il Padre che fa essere il Figlio, che lo
genera, perché chi ama genera, fa essere l’altro, vuole l’altro. Noi
diciamo che amare è volere il bene dell’altro; perché l’amore fa essere l’altro.
Così Cristo parlando a noi (Cristo è la parola di Dio che arriva a noi), fa
essere noi. Noi siamo una parola di Dio! È Dio che parlando a noi ci fa
essere. E’ il Verbo che parlando a noi fa essere noi: noi siamo parola di Dio.
Allora Gesù dice: “Restate in questo
rapporto, in questo amore; lasciatevi fare”. Perché Dio parlando a noi ci
fa essere.
Noi non siamo ancora fatti. Dio
non dice nei riguardi della creatura: “Sia fatta la creatura”, ma dice: “Facciamo”. La creatura è un essere in
formazione. Noi siamo in formazione. Per questo dici: “Forse non sono ancora
nata!”, sei in incubazione.
Noi ci crediamo già fatti. È lì
l’errore. Dio ci sta facendo: lasciamoci fare. Cioè, facciamo sempre conto su
Dio; perché è Lui che ci fa, non siamo noi. Noi disfiamo. Noi da soli ci
possiamo solo disfare. È Lui che ti fa.
(?):
Il bambino è la madre che lo fa.
Luigi:
Ma noi siamo ancora nel seno della madre. Non siamo ancora nati. Si nasce alla
vita eterna. Quindi è Lui che ci sta facendo. Man mano che Dio ci fa,
cominciamo a fare come Pinocchio: quando ci accorgiamo che Dio ci ha fatto un
piede, tiriamo un calcio. Ad un certo momento crediamo di essere, e diciamo: “io”.
“No, un momento, non sei ancora fatto! Sei ancora un abbozzo! Ci vuole ben
altro! Lasciati fare!”. Quel “lasciati fare!”, vuol dire “fai sempre conto su
di me, guarda me, perché sono io che faccio te. Non sei tu che ti fai. Non sono
gli altri che ti fanno, quindi mettiti sempre nelle mie mani. Anche se
incominci a muovere i piedini, non sei ancora fatto. Lasciati fare!”.
E’ lì l’errore. “Hai appena
aperto il guscio, ma stai attento perché sei ancora tutto da fare.”. Noi siamo
creature in formazione.
Perché Dio ci chiede di
rimanere? Perché Lui possa continuare a farci.
Ora, il principio del
rimanere, ed è qui che dobbiamo vigilare, che è la fedeltà nel poco, sta
nel pensiero. “Stai attento a dove sono i tuoi pensieri, a come pensi. In
tutte le cose, fai sempre conto su di Lui, guarda Lui, dipendi da Lui e non far
conto su altro. Qualunque cosa capiti”. La parola che Dio dice a noi è: “Rimani…”, “Rimani”, “Rimani”.
Pinuccia
B.: Come si può imparare a rimanere?
Luigi:
Prima di tutto col pensiero, in quanto dobbiamo far conto su Dio.
Se tu incominci a dire “se non
mi do da fare tutto va a rotoli”, non fai più conto su Dio, ma sulle tue forze.
Sai cosa vuol dire far conto su Dio? Vuol dire non lasciarti guidare, dominare
da altri pensieri. Prendiamo l’esempio dei pescatori: con quale esperienza
arrivano al mattino? Tutta la notte sciupata! Stanchi morti! Questa è la loro
esperienza.
Ora, noi rischiamo di lasciarci
guidare da un’esperienza. “Io ho fatto questa esperienza; adesso la parola di
Dio mi dice una cosa tutta diversa da quella che è la mia esperienza; mi invita
addirittura a superare la mia fatica, la mia stanchezza, la mia morte e a
ricominciare il lavoro. Ma io non ne posso più.”. Questo è far conto su noi
stessi o su quello che abbiamo provato. “Se tu hai sperimentato mille volte un
fallimento, non lasciarti guidare dal fallimento!”: questo vuol dire fare conto
su Dio.
Imparare a fare conto su Dio
non sta nel dire delle parole, nel chiedere perdono, ecc. “Fai conto su Dio, perché
la parola che dice Dio è sempre diversa dalla parola che dice il tuo io, dalla
parola che dice la tua esperienza, dalla parola che dicono gli altri, dalla
parola che dicono gli uomini”. Se vuoi far conto su Dio, devi superare tutto,
devi dimenticarti; perché se non ti dimentichi, non puoi far conto sulla parola
di Dio.
(?):
Il problema è che noi andiamo avanti per la nostra esperienza. Ad esempio non
tocco una cosa che è incandescente perché secondo la mia esperienza so che mi
brucerei.
Luigi:
Si, ma noi dobbiamo ubbidire alla parola di Dio, per cui se la parola di Dio ci
dice di mettere la mano sulla stufa, sul fuoco, la dobbiamo mettere, anche se abbiamo
fatto l’esperienza che il fuoco brucia. Devi ubbidire alla parola di Dio, devi
far conto su Dio.
(?):
Comunque bisogna fare uno sforzo, non è facile.
Luigi:
Ma certo, per la Madonna non è stato facile dire: “Sia fatto di
me secondo la tua parola”. Noè, su che cosa ha costruito
l’arca? Sulla parola di Dio. Non si vedeva ancora il diluvio, e tutti quanti
ridevano. Ora, la parola di Dio è diversa dalla parola degli uomini.
Bisogna imparare ad ubbidire alla parola
di Dio; e questo significa far conto su Dio, perché è soltanto così che si
diventa figli di Dio. Perché Dio non è la nostra esperienza; Dio non è quello
che prova il nostro io. Se ci pestano un piede, il nostro io avverte certi
sentimenti ed è tentato a reagire secondo un certo modo. Ma è l’io e non dobbiamo
fermarci al nostro io. Per cui, non è il villano che ci ha pestato un piede ma
è Dio che lo ha mandato a pestarci un piede. Il principio è Dio. Per cui non
possiamo dire che Dio sia il villano, allora i villani siamo noi.
Se ci fermiamo al nostro io vediamo il
rapporto col fratello, per cui giudichiamo il fratello villano; ma se riceviamo
la cosa da Dio, amiamo il fratello perché riconosciamo che è stato uno
strumento che Dio ha adoperato per pestarci un piede. Dio ha fatto fare una
parte incresciosa al fratello per correggere noi. Perché o crediamo in Dio o
non crediamo in Dio. Per cui se crediamo che Dio è il Creatore di tutto, è Dio
che ha mandato il fratello a pestarci un piede.
(?):
Si, ma il problema è che io sono abituata a pensare diversamente.
Luigi:
Ma noi non dobbiamo lasciarci dominare dalle nostre abitudini. Dio non è
abitudine, ma è novità infinita. Noi non ce ne accorgiamo, ma “buttiamo via
il bambino con l’acqua sporca”. La parola di Cristo è una parola di novità, e
perché l’hanno rifiutata? Perché la Tradizione, il Tempio, i Padri, la Legge
dicevano un’altra cosa. Fino a considerare Gesù un violatore della legge, ed
era il Figlio di Dio. Ecco perché non dobbiamo lasciarci dominare dalle
nostre abitudini, dalle tradizioni, dalle convenzioni. Ma le dobbiamo vincere
con lo Spirito di Dio, con la parola di Dio.
La fede trionfa sul mondo, vince il
mondo; e se non vince il mondo vuol dire che non è fede, è convenzione anche
quella.
Amalia:
“Rimanete nel mio amore”,
l’amore di Gesù è il Padre; per cui Gesù ci dice: “Se rimanete in me sarete fatti, generati dal Padre”.
Luigi:
Si, perché noi siamo fatti nella misura in cui rimaniamo; cioè noi prendiamo
consapevolezza nella misura in cui dipendiamo da Dio, in questo rapporto di
pensiero. L’essenza del rimanere non sta in un agire, non sta in un
comportamento, ma sta essenzialmente in un pensiero, perché Dio è spirito. Ora, dove noi
maggiormente sfuggiamo al rimanere è nel pensiero. E’ con il pensiero che si
rimane: noi sfuggiamo con il pensiero.
Ora, bisogna restare nell’amore, dove
l’amore è ciò che fa essere la creatura, addirittura è ciò che fa essere il
Figlio di Dio; ed è l’amore del Padre. Perché il Padre genera il Figlio e
questo è amare il Figlio: amare è fare essere, è volere l’essere.
Ecco, dobbiamo restare in questo
rapporto che ci fa essere. Chi ci fa essere è Dio. Questo ci è annunciato,
adesso dobbiamo cercare di confermare che chi ci fa essere è Dio. Allora, se
ci è annunciato che chi ci fa essere è Dio, il nostro pensiero sia opera di Dio
e non sia opera di altri, che la nostra parola sia di Dio e non sia opera di
altri, che il nostro vivere sia di Dio e non sia nostro o di altri. Restare
in questo amore vuol dire che chi ci fa essere deve essere Dio e non altro.
* * *
ciclo B - incontro svolto alla Casa di
Preghiera
Gv
15,9: “Come il Padre ha amato me, così
anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore”.
(05.12.1987)
(43min 35sec)
Pensieri tratti dalla conversazione:
Nino:
Noi non vediamo come il Padre ha amato il Figlio, però vediamo come Lui ha
amato noi; ci ha amato disinteressatamente, fino a morire per noi. Qui si
tratta di un amare totale, assoluto, gratuito, e Lui ci ama di quell’amore.
Rimanere nell’amore vuol dire diventare in grado di rispondere al suo amore e
riversare il suo amore sugli altri.
Luigi:
Ci invita a scoprire il “come” ci ama. Noi non sappiamo quel “come”. Siccome
Lui ci dice “come”, se abbiamo interesse per lui, cerchiamo di capire cosa vuol
dire. Ecco che possiamo cercare quel “come il Padre mi ama”.
Dice “vi ho amato come il Padre mi
ama”, siamo chiamati scoprire quel “come”.
Soltanto scoprendo il “come” siamo capaci anche noi di-; soltanto se vediamo
“come” siamo capaci di-. E’ un invito ad approfondire il rapporto tra Padre
e Figlio.
Guido:
Cosa vuol dire per noi “rimanete nel mio amore”?
Luigi:
Rimanere in-, vuol dire pensare a-. Tu rimani in quanto pensi, e pensi
in quanto hai interesse per conoscere e per capire. Quindi tu rimani in una
persona in quanto pensi a quella persona; per cui cerchi di capire il motivo
per cui fa le cose, qual è il suo pensiero. Il tanto interesse per Dio ti fa
rimanere con Dio. Quindi è un invito a conoscere molto, a pensare molto a Lui,
a dedicare molto della tua mente a Lui. Perché dedicando la mente hai la
possibilità di conoscerlo.
Paola:
Un’anima che rimane in Dio _____?_______.
Luigi:
Certo, tu rimani in quanto pensi a-. Non puoi pensare a due cose
contemporaneamente, o pensi a una o pensi all’altra. Per pensare a una cosa
devi trascurare tante altre cose, e trascurandole le perdi. Ma propri
perdendole riveli il tuo tanto interesse per la cosa a cui pensi. Proprio il
fatto che non puoi pensare a diverse cose nello stesso momento ti rivela che sei
fatta per una cosa sola. Indubbiamente, essendo fatta per una cosa sola, corri
il rischio di pensare ad altro. C’è un processo di scelta. Per cui la vita
diventa un processo di scelta. Giorno per giorno, in un modo o nell’altro,
che tu lo sappia o che non lo sappia, scegli, fai continuamente delle scelte;
anche solo decidendo di occuparti di una cosa in questa giornata fai delle
scelte. In qualunque momento, in qualunque posto, devi fare delle scelte. E’
tutto un scegliere, in continuazione. Ecco, attraverso questo scegliere riveli
il tuo cuore, cosa hai messo prima di tutto. Se hai messo prima di tutto Dio,
naturalmente in tutte le cose le tue scelte sono condizionate da quel pensiero,
da Dio.
Franca:
Ci dice di rimanere in un amore…
Luigi:
Qui ci dice una cosa molto misteriosa, perché ci dice di restare nell’amore con
cui lui è amato dal Padre. Il “come” lui è amato dal padre noi non lo
conosciamo, però ce lo propone, e in quanto ce lo propone ci invita a conoscere
come il Padre ama.
Abbiamo
detto molte volte che noi corriamo il rischio di amare dicendo da mattina a
sera “Signore, io ti amo con tutto il cuore”, e poi pensare a tutt’altro. A
parole, col sentimento, possiamo illuderci di amare; ma Lui ci dice “guarda che
non è così che il Padre mi ama, conosci come il Padre mi ama, allora resterai
nel mio amore”. Gesù ci invita a capire come il Padre ama il Figlio. E’
tutto un rapporto di pensiero, perché Dio è spirito, non è sentimento.
Franca:
Questo amore noi lo impariamo attraverso la parola di Gesù?
Luigi:
Sì, è la parola di Gesù che ci conduce sempre di più a conoscerlo. Qui la
parola di Gesù ci invita, orienta la nostra ricerca, la nostra meditazione al
rapporto tra Padre e Figlio, “come” il Padre ama il Figlio.
Franca:
Questo rapporto non lo conosciamo fintanto che non arriva lo Spirito?!
Luigi:
E’ la parola di Dio che ci guida. In quanto la parola di Dio arriva a noi è una
proposta, e propone di conoscere un argomento che ancora non capiamo. Se noi
crediamo a questa parola ci fermiamo, e chiediamo: “Signore, cosa vuoi dire”.
Incominceremo a pregare, incominceremo a invocare, “Signore, aiutami a capire
quello che tu mi vuoi dire attraverso questa tua parola. Io non capisco come il Padre ti ama”.
Noi possiamo conoscere come si ama una
creatura, ma non sappiamo come il Padre ama il Figlio.
Teresa:
Conoscere e amare sono la stessa cosa.
Luigi
In Dio conoscere e amare sono la stessa cosa, perché lo Spirito d’amore, che
è lo Spirito Santo, che è poi il rapporto tra Padre e Figlio, che è poi il
“come” il Padre ama il Figlio, è Spirito di conoscenza, Spirito di Verità e
Spirito d’amore. Presso Dio è tutto persona. In Dio non c’è distinzione tra
amore e conoscenza; la conoscenza è amore.
Teresa:
“Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e nessuno
conosce il Figlio se non il Padre”, c’è una
conoscenza profonda, c’è un’unità profonda.
Luigi:
Certo. Sono queste parole che ci conducono a capire il rapporto tra Padre e
Figlio, che è poi lo Spirito Santo.
Teresa:
Quindi “rimanete nel mio amore”
vuol anche dire “rimanete nelle mia
conoscenza”.
Luigi:
Si resta nella conoscenza in quanto si cerca di conoscere. “Cercate di conoscermi e resterete nel mio amore”. Si resta
nell’amore in quanto si pensa a-, per conoscere. In quanto ci si dedica ad una
cosa già si appartiene. Anche se ancora non si conosce, ma si ha interesse, si
appartiene a-. Quando si piange, si soffre, si patisce di non conoscere, già si
appartiene alla conoscenza. Se si soffre di non amare è perché si appartiene
all’amore. Quindi l’interesse per conoscere fa appartenere alla conoscenza,
quindi fa appartenere all’amore di Dio.
(?):
L’interesse deriva dal Padre, lo scopo della creatura è crescere
nell’interesse?
Luigi:
Tutto è dono di Dio. Sia la semina, sia la crescita, sia il compimento è opera
di Dio; da noi viene soltanto il difetto, l’imperfezione, l’incompiuto. Il
compimento invece è grazia di Dio. Per cui se abbiamo interesse per Dio, il
merito non è nostro, ma è Dio che si è presentato come massimo valore. La
nostra volontà non è libera di volere. La nostra volontà vuole in quanto ha
presente un valore. Ora, il valore non siamo noi che lo determiniamo; è la cosa
che si presenta con un certo valore. Dio valendo molto, attrae molto. Noi
possiamo soltanto fermarci: ecco l’incompiuto! L’interesse è dato dalla grazia
di Dio che si manifesta come massimo valore.
(?):
?
Luigi:
Dio è il massimo centro di attrazione. Noi siamo sempre in difetto. Basta un
filo d’erba per farci capire che c’è un Creatore. E il fatto di capire che c’è
un Creatore ci invita a stabilire questo rapporto di giustizia: “devo cercare
di conoscerlo”.
(?): ?
Luigi:
E’ Dio che interviene nella nostra confusione, nella nostra lontananza, che rompe;
sono i momenti di Dio che cerca di recuperarci perché viviamo per altro.
Luigi:
Il vero amore viene da Dio, quello che parte da noi è soltanto sentimento.
Per questo Gesù riferisce al Padre e ci invita a conoscere “come” il Padre ama.
Non sollecita noi ad amare, perché noi amiamo sentimentalmente; ci invita a
conoscere come il Padre ama il Figlio, perché soltanto conoscendo quel
“come” anche noi siamo fatti capaci ad amare come il Padre ama.
Giovanna:
Si resta nel suo amore solo se si cerca di conoscere.
Luigi:
Anche il dono d’amare viene da Dio, non è opera nostra. Più conosciamo Dio e
più capiamo come veramente si ama. Il più delle volte noi crediamo di amare
tanto e invece tendiamo a possedere tanto.
Luigi:
La parola di Dio è sempre una proposta di cose che ancora non conosciamo, per
questo bisogna passare nella fase del credere. Credi quello che ancora non
conosci, per arrivare (è la speranza) a conoscere quello che ancora non
conosci. Quindi si richiede la dedizione. Per cui la parola di Dio proposta è
un seme, un inizio che richiede un terreno. Ecco per cui ci sono i semi e i
terreni. Il seme può cadere sulla pietra e non fruttificare niente; il nostro
cuore può essere pietra. Quindi c’è un rapporto tra seme e frutto. Il seme
arriva a te senza di te, il frutto non si produce senza di te; però il frutto è
dono del seme. Perché senza seme il terreno non produce niente. Se tu non
ti dedichi al seme, il seme non giunge al frutto.
Maria
Pia: Il Padre e il Figlio sono due persone ma sono una cosa sola. E’ un legame
unico. E Gesù ci invita ad entrare in questo rapporto. Il Padre parlandoci fa si che noi diventiamo figli.
Luigi:
Certo, è Lui che parlando ci fa essere.
(?):
“Rimanete nel mio amore”,
sta per “fermatevi nel mio amore”, quindi sta per “per Cristo, con Cristo e in
Cristo”.
Luigi:
Certo. Cristo è il Pensiero di Dio.
Quindi noi restiamo in Cristo quando pensiamo Dio. Chi pensa Dio forma una cosa
sola con Dio. Cristo in noi è il Pensiero di Dio in noi. Quindi noi restiamo in
Cristo nella misura in cui pensiamo Dio. Perché possiamo dire “Signore, io ti
amo!”, e poi avere il pensiero altrove. In tal caso non siamo in Cristo; siamo
con Lui sentimentalmente, a parole, ma non con il pensiero. Quello che conta è
il pensiero. Ora, Cristo, essendo il Figlio di Dio è il Pensiero di Dio. Noi
restiamo con Cristo in quanto pensiamo Dio.
Silvana:
E’ un rapporto d’amore fondato sulla verità e non sul sentimento.
Luigi:
Il sentimento è una proiezione dell’io. Invece il vero amore è deduzione da
Dio. C’è una diversità tra quello che viene dal nostro io da quello che
viene da Dio. Il nostro io non si confonde mai con Dio. Qui ci invita ad alzare
gli occhi a Dio per imparare da Dio ciò a cui bisogna pensare, come si ama,
come si vive. Tutto viene da Dio. Per cui imparando da Dio diciamo “Signore, è
stata tutta grazia tua; soltanto da te ho imparato”. Altrimenti ci vanteremmo,
diremmo “sono io che sono capace d’amare, sono io che sono capace a pensare,
sono io che sono capace a trovare, sono io che ho trovato Dio”. E’ il vanto
della creatura. Invece no, se troviamo Dio, lo troviamo per grazia di Dio.
Soltanto pensando a Dio, Dio si fa trovare. La luce viene dalla luce, non viene
da noi. Quindi la creatura non si può vantare. Si entra nel regno di Dio
attribuendo tutto a Dio, riconoscendo che tutto è stato opera di Dio.
Fabiola:
Se non conosciamo Dio non possiamo amare gli altri.
Luigi:
Assolutamente no, perché gli altri diventano una proiezione del nostro io. Per
cui amiamo l’altro in quanto ha un certo rapporto di interesse con noi. Se
l’altro soddisfa un mio interesse, diciamo “questo è amore”; ma quello non è
amore, è una proiezione del nostro io. E’ come l’amore del proprietario del
negozio per i suoi clienti: li ama fintanto che sono suoi clienti, il giorno
che vanno altrove inizia ad odiarli. Soltanto guardando Dio, da Dio si impara
veramente ad amare. Amare vuol dire volere il bene dell’altro, volere la
vita dell’altro, volere l’essere dell’altro. E siamo capaci a volere
questo soltanto se vediamo Dio nell’altro.
Cris:
Sono rimasto colpito da questa conseguenza: il Padre ha amato me, così io ho
amato voi e quindi anche voi amate gli altri.
Luigi:
Sì, c’è una circolarità che è sempre dedotta da-; “come”: c’è sempre questo
inizio. Tutto in noi viene da Dio, e tutto quindi in noi dobbiamo attribuirlo a
Dio e riconoscerlo di Dio. Perché corriamo sempre il rischio di attribuire
qualcosa a noi, “Sono io che mi sono fatto, sono io che sono capace”. Si
entra nel regno di Dio, cioè nella conoscenza che tutto è voluto da Dio,
soltanto in quanto si parte da Dio.
Pinuccia
A.: Noi possiamo capire come il Figlio ci ama, però “come” il Padre ama il
Figlio lo capiremo solo quando diventeremo figli?
Luigi:
In quanto il Figlio ci parla di questo amore che passa tra Padre e Figlio, che
è diverso dal nostro amore, ci sollecita e ci fa capire. Per cui noi dobbiamo
credere a questa parola. E credendo cerchiamo di capire, e per capire dobbiamo
alzare gli occhi nel rapporto tra Padre e Figlio. Ora, se Lui ci parla di
una cosa evidentemente ci deve dare la possibilità di pensare a ciò a cui Lui
ci parla. Ed è pensando a quello di cui Lui ci parla che poi dopo c’è la
comunicazione. Perché la comunicazione avviene attraverso il pensiero, ma
bisogna che questo pensiero si elevi all’oggetto di cui la parola parla.
Elevandolo arriva la comunicazione, e la comunicazione viene da Dio. Ma io devo
guardare a Dio.
Pinuccia
A.: Anche in questo allora diventiamo figli?!
Luigi:
Certo, guardando a- siamo assorbiti dalla luce del Padre e l’assorbimento ci fa
figli.
Rita:
Dio ama tutti allo stesso modo.
Luigi:
Certo, Dio non fa preferenze di persona. Noi siamo un pensato di Dio.
Pinuccia
B.: Questo “rimanete nel mio amore”
si può intendere “credete nel suo amore”,
in quanto Lui ce lo dice.
Luigi:
Si rimane in quanto si pensa a-, e si pensa a- quando si ha interesse per
conoscere.
Pinuccia
B.: Si rimane nel suo amore non tanto se noi amiamo Lui, ma in quanto si riceve
il suo amore. Perché noi possiamo anche scappare dal suo amore.
Luigi:
Noi possiamo scappare nel senso che possiamo pensare ad altro. Si rimane in-,
in quanto si pensa a-, e si pensa a- in quanto si cerca di conoscere. Lui ci
parla di “come” il Padre lo ama; noi restiamo nel suo amore nella misura in cui
pensiamo a ciò che Lui ci dice. Lui cosa ci dice? Ci dice come il Padre lo
ama. Noi restiamo nel suo amore se pensiamo a “come” il Padre lo ama.
Pinuccia
B.: Il passato “…così io ho amato voi” è un invito a cercare…
Luigi:
In Dio non c’è il passato, in Dio tutto è presente.
Pinuccia
B.: Perché lo usa?
Luigi:
E’ la traduzione italiana che lo usa. In Dio tutto è presente. Quindi “come il Padre ama me, anche io amo voi, rimanete nel mio amore”.
Nello spirito tutto è presente, non c’è il passato.
*
* *
ciclo C - incontro svolto alla Casa di
Preghiera
Gv
15,9: “Come il Padre ha amato me, così
anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore”.
(11.04.1992)
1 h 08 min 31 sec)
Pensieri
tratti dalla conversazione:
Delfina: Noi rimaniamo se capiamo come
il Padre ha amato il Figlio.
Luigi: Il Padre ama il Figlio. In Dio
non c’è il passato. In Dio c’è il presente. Come il Padre ama il Figlio così il
Figlio ama noi. Se noi restiamo nell’amore con cui il Padre ama il Figlio,
restiamo veramente nell’amore.
Domenico: Il Padre ama il Figlio in
quanto dona l’Essere al Figlio.
Luigi: Il Padre ama il Figlio in
quanto si fa conoscere dal Figlio. L’Essere si comunica attraverso la
conoscenza. Quindi l’amore è trasmissione di conoscenza. Nella conoscenza
c’è la trasmissione dell’essere.
Domenico: Quindi il Figlio ama noi in
quanto ci fa conoscere il Padre.
Luigi: Certo. Nella trasmissione della
conoscenza c’è il vero amore. Là dove c’è l’amore c’è anche la conoscenza.
Domenico: Però ciò avviene a livelli
diversi, perché il Padre comunica la conoscenza di Sé al Figlio rivelando se
stesso, invece il Figlio ce la comunica con le parole...
Luigi: …per assorbirci nell’altra
conoscenza. Dicendo “come…
così…”
c’è un processo di assorbimento in quell’amore principale.
(?): “Dio è amore”.
Giovanna: “Rimanete nel mio amore”, “come il Padre ha amato me anche io
ho amato voi”,
per rimanere in questo amore…
Luigi: Rimaniamo in quanto accogliamo
quello che il Figlio ci comunica. Il Padre ama il Figlio in quanto comunica se
stesso al Figlio. Il Figlio ama noi in quanto ci fa conoscere il Padre. Se
accogliamo la conoscenza che Lui ci dà del Padre, restiamo nel suo amore.
Dicendo “rimanete
nel mio amore”
precisa che il suo amore è quello. Se uno ama riceve la conoscenza dell’altro.
Giovanna: Cosa intendi per accogliere la
conoscenza?
Luigi: Accogliere la conoscenza vuol
dire accogliere quello che Lui dice. Devi essere aperta. Tu non puoi conoscere,
è l’altro che si fa conoscere. La conoscenza viene dall’alto in basso; tu non
puoi conoscere dal basso in alto. Tu non puoi conoscere le cose del Cielo. E’
il Cielo che si comunica a te, e comunicandosi, se tu sei aperta, ti dà la
possibilità di arrivare al Cielo. Ma il dono è sempre dell’Altro. Partendo
dal basso in alto per conoscere costruisci la torre di Babele: non si arriva al
Cielo. E’ il Cielo che si comunica alla terra, e allora assorbe la terra in
Cielo.
Giovanna: Sono aperta alla conoscenza se
offro il mio pensiero?!
Luigi: Certo.
Sandra: “Rimanete nel mio amore”, cioè “rimanete nella vita”.
Luigi: Se rimani nella conoscenza rimani
nell’amore e rimani nella vita. La vita eterna sta nella conoscenza. Il
termine vita di per sé è ambiguo, come il termine amore. Perché possiamo
rivestirlo. Tutti cercano di vivere eppure tutti abbracciano la morte.
Sandra: Se Dio ci fa conoscere la vita.
Luigi: Se Dio fa conoscere se stesso ci
comunica la vita, ci fa trovare la vita; perché la nostra vita è nascosta in
Dio. Altrimenti ci illudiamo. Noi crediamo di fare la nostra vita e invece ci
distruggiamo, proprio credendo di difendere la nostra vita. Tutti cercano di
vivere, tutti credono di amare, e poi fanno il rovescio; quindi c’è un
illusione. Allora bisogna arrivare al termine preciso. Quello che ci libera da
ogni illusione è il Pensiero di Dio. Quindi il termine vita, il termine amore
vanno sempre visti dal punto di vista di Dio. Altrimenti dai nostri punti di
vista abbiamo l’ambiguità, e questa ci tradisce.
Franca: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”, Gesù ha anche detto “Quello che vedo fare dal Padre
anche io lo faccio”,
poi “quello che ho
udito dal Padre mio ve l’ho comunicato”.
Luigi: Lui parla dal punto di vista
del Padre, per cui se noi non ci portiamo a guardare le cose dal punto di vista
del Padre, non possiamo intendere le sue parole. Lui ha un punto di vista
diverso dal nostro.
Franca: Quindi Lui ci ama in quanto vuol
portarci ad essere assorbiti dall’amore del Padre, in quanto il Figlio riceve
l’Essere dal Padre per conoscenza.
Luigi: Sì, quindi la conoscenza è il
Padre che la comunica. Il principio luce è il Padre, non è il Figlio.
Franca: Quindi il Figlio conduce anche
noi a ricevere la conoscenza direttamente dal Padre.
Silvana: Prima aveva specificato che se
le sue parole rimangono in noi, Lui è in noi; adesso dicendoci “rimanete nel mio amore”, ci dice “rimanete nelle mie parole”.
Luigi: Tu rimani nella parola in quanto
c’è la comunicazione. La parola ti comunica una conoscenza, un pensiero. Tu
rimani in quanto ricevi questa conoscenza. La conoscenza comunica l’essere,
ti fa essere.
Pinuccia A.: Nella conoscenza troviamo
la vita, perché nella conoscenza troviamo il Principio di tutte le cose?
Luigi: Certo. Quando tu non sei nel
Principio, senti il rumore. Il rumore ti porta via la vita. Infatti quando non
si vede il principio del rumore si crea inquietudine, pena, si crea quindi
diminuzione di essere. Il rumore ti porta via, ti porta via l’essere. Soltanto
vedendo il Principio tu ti riposi: hai capito! Nel capire ti riposi, non
senti più il bisogno di altro, hai trovato tutto, il Principio. Cristo è venuto
a parlare a noi il Principio, cioè a farci vedere le cose dal Principio; quindi
non ci fa vedere le cose a metà strada.
La
pace viene dalla giustificazione. Se senti un rumore e non sai da dove proviene, ti accorgi
subito di essere inquieta. Tu trovi la tua pace in quanto non resti nel rumore,
ma giungi al Principio di ogni cosa, in cui c’è la giustificazione di ogni
cosa. Il rumore giustificato ti lascia in pace, il rumore non giustificato
ti porta via.
Pinuccia A.: Succede anche che si sente
un rumore e non gli si dà retta.
Luigi: Questo accade perché sei
distratta da altro. Altrimenti il rumore di per sé ti uccide. Se tu fossi
completamente libera da ogni cosa e sentissi un rumore, proveresti una
sofferenza che ti condurrebbe alla morte. Perché la morte non è annullamento,
ma è dispersione. Il rumore ti disperde.
Franco: Il suo amore è il Padre, quindi
vuole vedere ogni cosa dal punto di vista dell’essere amato. Per noi, si è
detto che l’amore è conseguenza della conoscenza.
Luigi: Anche per il Figlio l’amore è una
conseguenza della conoscenza. Perché il Figlio conoscendo il Padre conosce
se stesso come generato dal Padre, come voluto dal Padre, quindi amato. Lui
conosce se stesso come pensato dal Padre, cioè come Pensiero del Padre. Là dove
ti accorgi di essere pensato da-, ti senti amato. Perché l’amore è essere
pensati.
Franco: Noi però non conosciamo il Padre
come lo conosce il Figlio, quindi per noi l’amore è giustizia.
Luigi: All’inizio del cammino l’amore lo
viviamo come giustizia, poi il Figlio, non volendo tenerci nulla di nascosto
opera per condurci a conoscere il Padre come Lui lo conosce, affinché siamo
tutti una cosa sola. Quindi il Figlio opera ogni cosa per condurre noi a
conoscere. “Non
c’è nulla di nascosto che non debba essere rivelato”.
Franco: Quindi si parte dalla giustizia
per poi maturare in un amore crescente.
Luigi: Certo, la giustizia è necessaria
per non avere altri punti di riferimento. Se non si fa la giustizia essenziale
verso Dio creatore si hanno altri punti fissi di riferimento del proprio io, e
questo sfasa tutto. Tutto dipende dal tuo punto fisso di riferimento. Se
riferisci una cosa ad un punto fisso sbagliato tutti i rapporti sono sbagliati.
Il principio è questo: non fermarti mai ai tuoi sentimenti, alle tue
sensazioni, al pensiero del tuo io, o al pensiero degli altri, ma che tu
capisca o che non capisca, riferisci ogni cosa a Dio.
Rosanna: Il Padre in Gesù ci aveva già
amati.
Luigi: Siamo tutti fatti nel Pensiero di
Dio, in quanto fatti nel Pensiero di Dio siamo compresi, giustificati nel
Pensiero di Dio. Però questo non è sufficiente per salvarci. Dio vuole salvare
tutti, però Colui che ti crea senza di te non ti salva senza di te. Dio vuole
salvare tutti, però la salvezza (siccome salvezza vuol dire vedere le cose
dal punto di vista del Padre e questo richiede il superamento del pensiero
del nostro io) non può esserci senza di noi, senza questo superamento di noi
stessi, per guardare le cose dal suo punto di vista. Il Figlio è il punto di
vista del Padre. Nel punto di vista del Padre noi siamo salvati. Ma non è
detto che siamo salvati, perché possiamo non avere il punto di vista del Padre.
Rita: Cristo, facendo soltanto quello
che vede fare dal Padre, ci può amare unicamente come ci ama il Padre.
Luigi: Quello è il vero amore. Quello
che noi chiamiamo amore altro non è che una fregatura, perché è soltanto
desiderio di possesso. Quel vero amore è conoscenza. Presso Dio amore e
conoscenza coincidono.
Rita: Se rimaniamo nelle sue parole,
queste ci conducono al Padre per ricevere la conoscenza che Lui riceve.
Luigi: Si, perché si è in sintonia, nella
sintonia c’è la comunicazione, quindi possiamo ricevere.
Pinuccia B.: Gesù vuole portarci alla
pienezza della conoscenza. E la pienezza della conoscenza sta nel conoscere il
Padre. “Come
il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”.
Luigi: Quando Lui ti dice un “come”, te
lo dice come una proposta. Dicendoti “come” e tu non sapendo quel “come”, sorge
un’interrogazione, quindi diventa una promessa a quella proposta. Allora ti
devi impegnare a capire “come”, altrimenti resti fuori.
Pinuccia B.: Perché solo comprendendo
come il Padre ama il Figlio, capiamo come il Figlio ama noi.
Luigi: Capisci come tu puoi rimanere
nell’amore.
Pinuccia B.: E rimango nell’amore non preoccupandomi
di rimanere con Dio, ma preoccupandomi di capire…
Luigi: …come sei amata. Là dove c’è
conoscenza c’è comunicazione di essere quindi c’è l’amore.
Pinuccia B.: Rimaniamo nell’amore
nella misura in cui…
Luigi: …conosciamo
come l’altro ci ama.
N.B.: Il testo,
tratto da registrazione
(integrato
con appunti anche di altri incontri sullo stesso argomento),
non è stato riveduto dall'autore e
mantiene lo stile discorsivo.