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Dispensa n°21

Incontro n° 220

Domenica 11.11.1979  

                                                                      

 

 

 

Gv 6,11-V: «Gesù allora prese i pani, rese grazie, e li distribuì alla gente seduta. Lo stesso fece dei pesci, dando quanto ne volevano».

 

 

Ne diede quanto ne vollero

 

Esposizione di Luigi Bracco:

 

L’argomento di oggi è questo: “Ne diede quanto ne vollero”.

Il Signore qui si affida all’uomo, alla sua responsabilità personale. Abbiamo altre parole di Gesù in cui dice: “Il regno di Dio è offerto a coloro che lo vogliono”; cioè, i doni maggiori di Dio devono essere voluti dalla creature. Per questo il Signore insiste: “Domandate e vi sarà dato; cercate e troverete”. Poi. quando saluta i suoi prima di andare al Padre, dice di chiedere al Padre, “Perché il Padre vi ama”, e di chiedere molto, “Affinché la vostra gioia sia completa”, “Chiedete e otterrete affinché la vostra gioia sia completa”.

Teniamo presente la conclusione di domenica scorsa, circa il rendere grazie in anticipo, perché la nostra volontà (siccome noi sostanzialmente non siamo liberi di volere) è la sintesi, è l’espressione di tutto un sogno d’amore che portiamo dentro di noi.

Quanto più noi, in anticipo, ci portiamo sull’altra sponda per conoscere, per vedere le cose dal punto di vista di Dio (guardare da-, la contemplazione), quanto più con il pensiero (perché abbiamo detto che tutto avviene nel pensiero, perché Dio è spirito) ci portiamo sull’altra sponda e ci soffermiamo a vedere l’intenzione di Dio nelle sue opere, nei suoi doni, questo rendere grazie, tanto più in noi si forma quella volontà che ci fa capaci di assimilare i doni di Dio.

 

Pinuccia B.: La volontà è desiderio …

Luigi: Si, la volontà è desiderio, fame; desiderio che è poi amore; e il vero amore è quello che anticipa i tempi attraverso il pensiero che si unisce all’essere amato e quindi vede l’intenzione dell’essere amato in tutte le sue opere. Vedere l’intenzione dell’essere amato in tutte le sue opere, vedere l’intenzione del Creatore nelle sue opere, dà a noi la capacità di assimilare i suoi doni.

Ecco, dobbiamo cercare di mettere in relazione questi termini.

Associando quello è l’argomento di oggi al Vangelo di oggi, mi sembra che sia molto vicino all’offerta dei due spiccioli della vedova al tempio, e all’offerta del profumo, allo spreco del profumo di Maria di Magdala. I due spiccioli offerti al tempio della vedova coincidono con lo spreco del profumo ai piedi di Gesù.

Ora, quanto più la creatura offre di sé (e questo offrire di sé è amore), tanto più diventa capace di nutrirsi dei doni di Dio, di assimilare i doni di Dio.

È la tanta dedizione che ci rende capaci di ricevere i doni. Perché la capacità di volontà di assimilare i doni di Dio viene da Dio; cioè tanto più la creatura è capace di offrire sé a Dio, tanto più acquisisce una volontà talmente forte da riuscire ad assimilare i doni di Dio. “Perché Dio non dà il suo spirito con misura”, cioè non misura il suo Spirito come dono, non mette dei limiti; chi lo misura è solo la creatura.

L’importante è portarci a non avere la creatura che parla, ma ad avere Dio, ad avere la volontà di Dio. Più in noi abbiamo la volontà di Dio, e più in noi c'è la capacità di assimilare all’infinito il cibo di Dio. Ma se in noi c'è la volontà della creatura, la nostra volontà pone dei limiti, perché non riesce ad assimilare tutta la volontà di Dio. Però da parte di Dio c’è il dono senza limiti, “Quanto ne vollero”.

Ad ognuno sarà dato il cibo a seconda della sua fame. Dio dà il cibo a seconda della fame della creature. Non che Dio misuri il cibo, ma perché ognuno è capace di mangiare soltanto quel cibo, a seconda della fame che ha. Per cui se la tua fame è infinita, tu diventi capace di assimilare l’infinito. Quindi prima di tutto il problema è avere la fame e poi farla crescere. Perché questa fame è effetto di volontà. La volontà in noi può assumere tre aspetti:

·        Abbiamo la volontà che tende al futuro, che tende al bene che ancora non ha; e questa è la vera volontà positiva, perché è quella che costruisce la vita in noi, è la volontà che assimila, come la foglia dell’albero che assimila la luce; è la volontà che è tutta tesa a ricevere la luce da Dio. E questa volontà viene da Dio.

·        Poi abbiamo la volontà che è solo espressione del presente, dell’avvenimento. Quindi abbiamo la creatura che anziché avere in sé una volontà, si fa volere dagli avvenimenti, è condizionata, è determinata soltanto dagli avvenimenti.

·        E poi abbiamo la volontà che è espressione di morte. E’ la creatura che sta già morendo, che è tutta rivolta indietro a sognare le cose che ha perduto, che non ha più la vita di prima. Abbiamo la vita che si restringe, si ritira, si ritira, fino a diventare solo più nostalgia di qualcosa che ha perduto.

 

Abbiamo visto le domeniche scorse che la vita viene dal portarci a guardare dall’altra sponda, a portarci a guardare le cose secondo l’intenzione del Creatore, del Pensiero di Dio.

Quindi la vita viene a noi non in quanto riceviamo doni, ma in quanto cerchiamo l’intenzione di Dio nei suoi doni; e questo ci dà la possibilità di assimilare, che vuol dire capire, trasformare in vita. Quindi abbiamo la ricerca dell’intenzione.

La vita sta nel donarci per cercare questa intenzione. Per questo l’argomento di oggi lo associamo al dono di Maria di Betania, o di Magdala, nello spezzare il vaso di profumo; oppure nell’offerta di quella vedova dei due spiccioli, che ha dato tutto quello che aveva per vivere. Ecco il dono preziosissimo.

Abbiamo visto che Maria, nel vaso di profumo, ha voluto donare tutto il suo amore, quello che di più prezioso essa portava con sé. È proprio in questa offerta della creatura al Signore, di tutto quello che abbiamo per vivere, e lo facciamo dipendere tutto da Dio, che in noi si forma la vita, e quindi si forma la capacità di intendere, di assimilare i doni di Dio. Assimilando abbiamo la possibilità di vivere con Dio; perché tutto quello che possiamo capire, assimilare, ci rende partecipi della vita. Ma quello che non possiamo capire ci allontana dalla vita, perché non possiamo trattenere quello che non possiamo capire. Possiamo trattenere solo quello che possiamo capire in Dio. Quello che non possiamo capire ci allontana da Dio. Ma quello che ci rende capaci di capire i doni di Dio è la dedizione nostra.

Ora, si parla di dedizione in quanto si parla di superamento di tutta la realtà in cui noi oggi ci troviamo, di questa sponda su cui noi oggi ci troviamo, per portarci in quello che ancora non è, per arrivare a vederlo, già adesso.

 

Nino: Però a volte i doni capiti sembra che ci sfuggano, come mai?

Luigi: Noi siamo un po’ come quei giochi cinesi, che più vai avanti e più ti presentano degli aspetti nuovi. Molte volte crediamo di aver capito qualcosa della Verità di Dio, ma quell’aver capito è ancora sempre relativo a certe nostre situazioni; non siamo ancora giunti al nucleo. Quando arriviamo alla Trinità di Dio, all’essenza divina, a capire le cose in ciò che Egli è, nell’Essere di Dio, quella è vita eterna, quella non ci sfugge più.

Mentre siamo in cammino la Verità si concede a diversi livelli (per cui credi di essere arrivato in cima, e da quella cima vedi che c'è un’altra cima) e siamo resi capaci di assimilare. Il Signore in un primo tempo ci dice: “Hai visto questo? Ecco, questo ti deve rendere capace di assimilare altro”. Però ogni passo richiede da parte nostra la dedizione. Proponendoci vari livelli, il Signore ci fa camminare di vetta in vetta; se noi siamo aperti.

In questa pausa di silenzio possiamo approfondire che cosa sia questa volontà, come nasce in noi, come può crescere. La volontà tesa verso il futuro è quella viva perché ha la possibilità di assimilare tutto quello che Dio le manda e di trasformarlo in vita, perché il corpo vivente ha la possibilità di assimilare tutto il mondo.

Invece per la volontà che non guarda più Dio, gli elementi che sono motivo di vita se si guarda Dio, diventano degli agenti che la aggrediscono e la disintegrano. E’ la situazione del corpo morto che si corrompe: tutti i fattori agenti, con una velocità enorme, lo disintegrano. Per cui non c'è un fattore di distruzione e un fattore di costruzione: c'è solo il fattore vita. È solo quando in noi la vita non c'è più, che il fattore vita diventa un fattore di distruzione. Ma il fattore essenziale è vita.

È la nostra volontà contraria che ci impedisce di comprendere, di assimilare i doni maggiori; perché i doni maggiori sono offerti alla volontà dell’uomo, il che vuol dire che se l’uomo non li vuole, e per volerli prima deve conoscerli, deve poterli valutare, Dio non può darglieli. Il fatto che debba volerli vuol dire che deve dedicarsi a-. Perché si vuole nella misura in cui ci si dedica a-.

Dio i doni li dà in sovrabbondanza, ma non li dà se non sono da me concepiti.

Teniamo presente che la nostra volontà non può volere ciò che non conosce. Lì abbiamo tutto il campo della pubblicità: come si fa a far volere ad una persona una cosa? Gli si fa la pubblicità di quella cosa! Dio fa una pubblicità immensa, perché ci fa vedere in vetrina i suoi doni; ma tra il vederli e il raggiungerli ci sono gli abissi. Perché c'è tutto questo volere, perché la creatura deve partire, deve cominciare a valutare, a desiderare e a dedicarsi. Perché volere vuol dire dedicarsi; per cui nella misura in cui la creatura si dedica a questa promessa di dono, Dio dà il suo dono.

“Ad ognuno sarà dato ciò che avrà voluto avere” dice Gesù. Teniamo presente ancora questo:

·        possiamo volere una cosa perché siamo attratti da quella cosa;

·        possiamo anche volere una cosa perché siamo sospinti da tutto un mondo negativo.

 

Per cui se arriviamo a Dio sospinti da un mondo negativo, arriviamo male. Dobbiamo arrivare a Dio attratti da Dio, non sospinti dal mondo negativo. Perché se siamo sospinti da un mondo negativo, vuol dire che siamo rivolti indietro, al passato; per cui abbiamo l’evasione.

Bisogna arrivare a Dio attratti da Dio. Ci deve essere l’attrazione di ciò che Egli è. Non dobbiamo arrivare a Dio per negazione, dicendo: “Non c'è niente altro che mi soddisfa, perciò vado a Dio”. Se arriviamo a Dio soltanto per delusione, arriviamo male.

È Dio che ci delude, perché ci annulla tutti i valori; ed è misericordia da parte di Dio per evidenziarci l’essenziale. Per cui non dobbiamo arrivare per delusione ma per attrazione, perché se non scatta il valore positivo. Ad esempio, se vado in convento solo perché non sono riuscito a sposarmi, mi rivolgo a Dio solo per delusione, perché non riesco a fare altro. Altro esempio: la donna che si fa monaca per una delusione d’amore, non va attratta dall’amore per Dio. Portato alle estreme conseguenze è la stessa cosa: ci rivolgiamo a Dio per delusione e non per attrazione.

Poi Dio trae il bene da tutto, anche dalle nostre scelte sbagliate, però se siamo motivati solo dalla delusione, certamente non entriamo nell’amore. Chi si sposa per interesse, per calcolo, non entra nell’amore.

Ci deve essere l’attrazione della persona: è quello che fa entrare, che rende capaci di assimilare i doni di Dio e di vedere l’intenzione di Dio. Perché quello che ci fa entrare nella vita è proprio la ricerca dell’intenzione di Dio nelle sue opere.

 

 

 

Conversazione:

 

Nino: Il dono di Dio a noi deve sempre avere degli avanzi che devono essere raccolti perché non vadano sprecati?

Luigi: Gli avanzi rappresentano le cose che sono nell’universo che non capiamo, che non arriveremo mai a vedere; eppure hanno un significato personale per noi: sappiamo che esistono ma non arriveremo mai a vedere. Il dono di Dio è totale, è un dono infinito.

Nino: Per cui, diventando suo pensiero, dovremmo diventare infiniti anche noi.

Luigi: Indubbiamente noi formeremo una cosa sola con Lui, e questo è rivelazione, però Lui non sarà mai la stessa Persona con noi. Lui sarà sempre, eternamente, superiore a noi, quindi sarà sempre fonte di vita; nella fonte di vita c'è un rapporto. In matematica ci sono due concetti: il concetto di numero e il concetto di infinito. Il numero tende all’infinito, ma non arriva mai all’infinito; cioè tra il numero più grande che tu possa immaginare e l’infinito c'è un salto di qualità. Il numero finito, che rappresenta la creatura, tende all’infinito, senza esaurire mai l’infinito. L’infinito è un concetto matematico, quindi ha un suo significato, per cui non si può mettere in rapporto al numero, perché l’infinito è su un altro piano qualitativo.

Nino: Volevo mettere in rapporto il Padre con il Figlio.

Luigi: Il Verbo di Dio in noi è potenzialità, ma in sé il Verbo di Dio è “tutto atto”, non è potenzialità. Il Verbo, pur essendo Figlio di Dio, forma una cosa sola col Padre e rende “tutto atto” del Padre. Invece in noi c'è la potenzialità, appunto perché in noi è potenzialità, si sviluppa all’infinito, senza però identificarsi con l’Infinito.

Nino: Mi puoi ripetere i due concetti in matematica?

Luigi: Secondo la grande matematica, nell’alta matematica, ci sono due concetti essenziali: il concetto di infinito e il concetto di numero.  La serie dei numeri tende ad avvicinarsi il più possibile all’infinito; questo concetto è definito “asintoticamente”, cioè due serie di numeri che tendono ad avvicinarsi, senza raggiungersi mai, senza toccarsi mai, cercando di eliminare ogni minima distanza, ma senza riuscirci. Per cui noi abbiamo un concetto di infinito, che è un concetto di limite e il concetto di numero finito, che tende a questo limite senza raggiungerlo mai. Qui abbiamo sempre dei termini finiti che grandeggiano sempre di più, fino a tendere all’infinito. Però per passare all’infinito, è necessario un salto di qualità. Nel campo dei significati, possiamo quindi dire che cos’è la creatura nei confronti del Creatore. Il Creatore è l’Infinito.

Nino: Diciamo che è il Pensiero di Dio.

Luigi: Il Pensiero di Dio in noi.

Pinuccia B.: Non il Verbo.

Luigi: No, il Verbo di Dio è Infinito. Noi siamo chiamati a formare una cosa sola con il Verbo di Dio, però Dio sarà sempre il nostro Creatore, non fosse altro per le cose che sono passate, per il fatto che veniamo dal nulla, per cui noi abbiamo dei “resti”. Ad esempio, noi non potremo mai dire di esserci donati fin dall’inizio all’Infinito. Ora, tutto questo rappresenta dei “resti” nella nostra vita. L’azione di Dio, fin dall’inizio, ci sovrasta sempre; man mano che riceviamo questa azione di Dio dentro di noi, ci avviciniamo. Però, tra l’azione che Dio ha fatto su di noi e la nostra risposta c'è sempre un divario; per cui noi diremo: “Signore, è stata tutta grazia tua”. Cioè, noi siamo dei vasi che vengono colmati successivamente, ma all’inizio sono vuoti; è Dio che li riempie. Ora, non fosse altro che nel ricordo di quello che prima eravamo e che adesso siamo, c'è un “resto”: è l’opera di Dio che sovrasta la creatura.

Pinuccia B.: Però è difficile pensare l’Infinito come una realtà compiuta, perché Dio è Se stesso.

Luigi: Si, ma questo Se stesso è un Infinito. L’Essere di Dio, che è Se stesso (il concetto di “Se stesso” deriva dal concetto di “Essere”), se lo vedi significato in tutta la sua creazione, ti accorgi che diventa un infinito. Tutto l’universo, tutte le opere di Dio, tendono ad unificarsi, e noi stessi siamo una sete di unificazione. Ora, questa sete di unificazione, che ci testimonia il nostro destino (per cui noi siamo vocati a conoscere Dio), è un infinito. Ma dove si raccoglie questo infinito? Nel concetto dell’Essere che è Se stesso.

Ora, perché in noi c'è questa sete di unità? Unità di tutte le opere di Dio in un unico pensiero, nel Pensiero di Dio. Eppure questo Pensiero di Dio comprende tutte le sue opere e le sovrasta ancora. È lì l’infinito; è Infinito perché non lo esauriremo mai.

Pinuccia B.: In noi non le esauriremo mai, però in Se stesso è compiuto.

Luigi: Quando tu mi parli di un compiuto, mi parli di un limite, ma in Dio non c'è questo limite, l’Infinito in se stesso non è incompiuto, è se stesso. Perché l’Infinito non è una crescita. Anche nei simboli matematici, l’infinito non è una crescita. La crescita è nel finito, è nel numero, è il numero che cresce, la creatura cresce. L’infinito come segno è un limite, è un termine. Come concetto creato, per noi, è un termine; infatti per noi Dio è infinito come sintesi e quindi è una sintesi infinita, cioè ci sovrasta sempre. Per quanto noi raccogliamo, unifichiamo, ci sono sempre dei “resti”, degli avanzi; cioè Dio non ci lascia mai disoccupati. Per quanto raccogliamo in Dio, c'è sempre del lavoro, della vita che ci sovrasta. La vita è sovrabbondante, per cui la vita ci sovrasta. In Dio noi non potremo mai dire: “Adesso ho esaurito, non ho più niente da fare”. C'è sempre vita.

Nino: Il raccogliere in Dio…

Luigi: …è unificazione.

Nino: E’ essere fatti pensiero di Dio. Dal momento che si è fatti pensiero di Dio, non si raccoglie, si esprime.

Luigi: Certo, tu esprimi, però sempre in quanto hai raccolto. E quello che hai raccolto è sempre dono di Dio. Quindi il tuo esprimere è ancora sempre una riconoscenza, è sempre un attribuire a Dio. Tu attribuisci a Dio quello che ricevi da Dio, ma tra quello che ricevi e quello che esprimi, c'è sempre un divario, perché per quanto tu raccolga in Dio, Dio ti sovrasta sempre. Quindi anche a livello di opere, c'è sempre da raccogliere.

Può succedere questo: se non raccolgo in Dio, ad un certo momento arrivo ad una grande confusione nel pensiero. Perché per Dio c'è sempre una novità, per noi no. Dio è la fonte di novità; e la novità è data proprio dal contatto con un Essere che ci sovrasta.

Eligio: C'è sempre la novità solo se siamo in contatto con Dio.

Luigi: Certo. Il tempo è il regno di Dio che viene a noi, ed è novità. Sono doni che entrano in noi a senso unico, per cui noi ce li troviamo; per cui quello che vediamo tra cinque minuti, non l’abbiamo ancora visto, però se non lo assimiliamo in Dio ci può portare alla morte, perché i doni vanno assimilati.

 

Luigi: Ritorniamo all’argomento di oggi: “Ne diede loro quanto ne vollero”. Ci siamo posti l’interrogativo: quale significato Dio ha voluto darci in questa scena in cui fa dare da suo Figlio, dal Cristo, pani e pesci agli uomini seduti, tanti quanto ne volevano? Cioè quale stata la lezione che Dio ha voluto darci in questo?

Cina: Anche la vedova di Sarepta, che aveva solo un pane, l’ha dato al Profeta.

Luigi: …e ce n’è stato anche per lei e per suo figlio. Il profeta lo vuole per primo, ed è segno. Perché la vedova dice: “Io ne ho soltanto per me e per mio figlio e poi muoio”, e il profeta le dice: “No, prima fa il pane per me; poi mangerete tu e tuo figlio”. Lei ha ubbidito, perché il profeta l’ha invitata a superare il pensiero di se stessa. Lei aveva farina e olio sufficienti per sé; l’intervento del profeta ha spiritualizzato, quindi ha moltiplicato i pani, ha moltiplicato l’olio. Però le ha chiesto: “Fallo prima per me”; sembra un atto egoistico, ma l’ha fatto per invitarla a superare se stessa; superando se stessa è entrata, e per opera di Dio, il pane si è moltiplicato, non è più mancato. Come qui Gesù: prima di distribuire i pani rende grazie, ed è proprio questo rendere grazie che ha moltiplicato i pani; e ci ha insegnato a vedere l’intenzione di Dio nel dono.

La meraviglia sta nell’arrivare a vedere l’intenzione di Dio nelle sue opere, l’intenzione di Dio nella nostra vita. Quando vediamo l’intenzione di Dio nella nostra vita, tutto è fatto. La nostra volontà diventa volontà divina, non ci sono più ostacoli, il dono è spiritualizzato, il dono diventa di Dio.

Prima avevamo solo cinque pani che servivano a sfamare solo cinque uomini. Questa donna aveva soltanto del pane e dell’olio che bastavano soltanto per lei e per suo figlio; superando se stessa, perché il profeta glielo chiede, ubbidendo al profeta, il pane si moltiplica. L’importante è questo: ha ubbidito superando se stessa. E ha superato il pensiero di se stessa, perché si trattava di morire. Quindi i due spiccioli della vedova al tempio, che rappresentavano tutto quello che aveva da vivere, per la sua vita, li ha offerti. Poteva anche tenerseli: sarebbero state due monetine. Offrendole ha dato tutto se stessa. Ecco, qui abbiamo la meraviglia di Dio.

Tu, Cina, hai voluto mettere in risalto la dedizione, perché la volontà è essenzialmente dedizione: è nella misura in cui noi ci doniamo a Dio che diventiamo capaci di assimilare i doni di Dio. Questo è molto importante. Ora, donarci vuol dire superare il pensiero di noi stessi, quindi superare anche il pensiero della nostra vita e di tutti i mezzi che ci servono per vivere. È qui che troviamo molta difficoltà; perché diciamo: “Ma io domani come faccio?”. La meraviglia nasce soltanto nel punto in cui riusciamo a superare quel limite che ci poniamo nel pensiero del nostro io. Perché ponendoci il limite nel pensiero dell’io, “domani come faccio se lascio questo…”, ci condizioniamo, ci chiudiamo e ci rendiamo incapaci ad assimilare i doni di Dio.

Se quella vedova di Sarepta avesse detto: “Ma io domani come faccio per me e per mio figlio?”, si sarebbe chiusa e impedita ad assimilare quel pane all’infinito. È la serie numerica di cui parlavo prima, che può aumentare all’infinito; ripiegandoci, ad un certo momento si chiude la serie e non cresce più; c’è la riflessione su noi stessi, invece dell’apertura.

Se restiamo in ascolto di Dio c'è un superamento continuo. Ma per andare avanti nel numero, si deve sempre lasciare i precedenti, per aprirci a quelli successivi; altrimenti, se non ci apriamo al numero successivo, perché non vogliamo perdere quelli precedenti, ci impediamo l’avanzamento.

Cina: Mi ha dato tanta gioia questo episodio.

Luigi: Certo, perché si salta da un calcolo umano ad una volontà divina: è la spiritualizzazione della creatura. La creatura spiritualizzata assiste ai miracoli. Invece prima abbiamo il limite, è finito, siamo condizionati nell’andare oltre.

 

Teresa: Più rendo grazie, più mi metto in movimento alla ricerca della sua intenzione e più stimolo la fame.

Luigi: Ecco, tu stai mettendo in evidenza che la sorgente della nostra volontà deriva dalla ricerca dell’intenzione di Dio: abbiamo qui la fonte della nostra volontà. Come facciamo a volere? Se tu vuoi volere, contempla. Come la sorgente di tutta l’acqua che abbiamo in pianura è il ghiacciaio sulla montagna, così la sorgente di tutto il nostro volere è la contemplazione. Nella misura in cui noi ci fermiamo a contemplare, si forma la volontà di quei doni che abbiamo contemplato e quindi la capacità di gustare, di ottenere quei doni. Il futuro è dato dai contemplativi. La realtà è prodotta dalla contemplazione, è il sogno sull’altra sponda. Abbiamo la figura di Giuseppe, il figlio di Giacobbe, chiamato “il sognatore”, che incarna molto bene questo aspetto.

La differenza tra Giuseppe e i suoi fratelli è che i fratelli erano uomini d’azione e Giuseppe era il sognatore. Chi ha avuto ragione è stato Giuseppe. Il sogno si è realizzato e gli uomini d’azione, ad un certo momento, sono andati ad elemosinare da colui che sognava il cibo della vita. Per cui ciò che fa la realtà è il sogno. Stiamo parlando del sogno in Dio.

Chi fa la realtà è colui che si trasferisce col pensiero, nel cercare l’intenzione del Creatore, l’intenzione di Dio; perché non è soltanto la ricerca, ma è la conoscenza di questa intenzione che forma la realtà e quindi la capacità di assimilare questa realtà.

La conoscenza di questa intenzione richiede da noi la dedizione, quindi il superamento di tutto un mondo. Il giorno in cui arriva ci rende capaci di assimilare i doni di Dio. La difficoltà sta lì: per poter elevare lo sguardo dobbiamo superare tutto un nostro mondo, perché lì c'è il nostro io.

Teresa: Dobbiamo distaccarci dal nostro io, ma è Lui che…

Luigi: Si, senza la grazia non possiamo distaccarci. Ecco l’importanza del pensiero! Noi, pur essendo in questo mondo, col pensiero possiamo trasferirmi nell’altro mondo. E’ questo il dono grandissimo che abbiamo col Pensiero di Dio. Ed è proprio pensando all’altro mondo che ad un certo momento riceviamo la grazia per distaccarci e superare questo mondo; perché incominciamo a gustare la bontà, la verità, la grandiosità, la liberazione. E allora tutto questo comincia ad attrarci.

Teresa: Perché se sono sazia, se ho lo stomaco pieno, non sento più la fame.

Luigi: La fame viene dopo. Perché anche se tu avessi già mangiato tanto, puoi pensare Dio; anche se tu hai lo stomaco pieno di tutti i cibi del mondo, anche nel peccato più grave, tu hai la possibilità di pensare Dio.

Come mai, anche se siamo sazi del mondo, ad un certo momento ci accorgiamo di non essere soddisfatti? È il problema di Leopardi: l’animale quando è sazio è tranquillo, invece noi anche se siamo soddisfatti fisicamente, non siamo tranquilli? È questo “qualche cosa in più”, rispetto all’animale, che ci mette in movimento.

Basta avere in noi il Pensiero di Dio, basta pensare Dio, che già questo suscita in noi un’attrazione, qualcosa di vivo, ci pone già dei problemi. Ad esempio ci fa sentire la nausea di aver mangiato troppo, ci fa sentire insoddisfatti di tutte le nostre conquiste nel mondo; perché? È tutto dono di Dio. Andiamo sulla luna e andiamo a cercare Dio. E gli astronauti che tornano dicono: “Ma noi Dio non l’abbiamo visto!”, perché avevano dentro di loro il problema. Quindi vuol dire che il Pensiero di Dio aveva posto dentro di loro il problema: “Troveremo Dio sulla luna?”, “Non l’abbiamo trovato!”. Questa è una bellissima testimonianza. Perché c'è un rapporto che fa dire loro di non averlo trovato. Cioè Dio ci attrae. Dio ci attrae in qualunque situazione in cui noi ci troviamo e ci fa sentire l’insoddisfazione in qualunque luogo in cui ci troviamo. Fintanto che noi non facciamo “blocco” con Lui, saremo eternamente insoddisfatti.

Ma che cos’è che provoca in noi questa insoddisfazione di fondo? È Lui! Il nostro cuore è insoddisfatto perché è fatto per Lui. “Fatto per” vuol dire che è già presente Lui. Per cui è proprio la presenza di Dio che ci fa sentire insoddisfatti, fintanto che non incontriamo Lui, fintanto che non ci indirizziamo a Lui. Magari poi, per interessarci a Lui, dobbiamo fare un vita miserabile, lasciare tutto, eppure abbiamo il cuore che canta di gioia, perché ci siamo interessati verso quello a cui ci chiamava. Eppure abbiamo lasciato tutto il resto!

San Paolo dice che agli occhi del mondo siamo dei miserabili, eppure abbiamo il cuore che canta di gioia e di vita. Qui c'è qualche cosa di più!

Nino: Nel Padre nostro diciamo: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Con queste parole esprimiamo il nostro desiderio di Dio, la nostra fede in Dio.

Luigi: La fede ci spinge a sognare; la fede ci impegna a tavolino. Nella misura in cui ci fermiamo a tavolino, cioè sogniamo, si forma in noi quella volontà efficace, quella fame capace di assimilare i doni di Dio: la realtà che viene. Cioè la fede ci impegna a fermarci.

Nino: La fede poi ci porta al silenzio, a considerare vere quelle parole: “Solo Tu hai parole di vita eterna”.

Luigi: Appunto, è il lavoro a tavolino.

Nino: Poi dobbiamo permanere nell’ascolto, tenendo presente che la meta non è quella di capire l’intenzione nelle sue opere e su di noi; quello è il mezzo, ma la meta è quella di giungere al dono più grande, quello di conoscere Lui, cioè di rinascere come figli suoi, cioè scoprire in ognuno di noi il Figlio.

Luigi: Si passa però attraverso la conoscenza dell’intenzione nelle sue opere, perché man mano che conosciamo l’intenzione nelle sue opere, in noi si forma la volontà.

Perché la nostra volontà nasce dall’intenzione di Dio conosciuta.

Ad esempio, quand’è che in me nasce la volontà di cercare Dio? Quando ho avuto la grazia di scoprire l’intenzione di Dio nella mia vita: cioè che Dio mi ha dato la vita per conoscere Lui.

La nostra volontà si forma nella misura in cui scopriamo l’altra Volontà; allora la nostra volontà è proiezione dell’altra Volontà. Fintanto che non conosciamo la volontà di Dio, in noi non nasce la volontà; perché noi non siamo capaci di volere da soli. Infatti San Paolo dice: “Chi opera in voi il volere e il fare è Lui”. Allora possiamo dire: “Se voglio, non sono io che voglio, è Dio che vuole”; ma come nasce in noi questo volere? Questa volontà nasce (ecco la fonte), dall’altra Volontà, dalla volontà di Dio in ogni sua opera.

Questa sua opera può essere la vita. Qual è l’intenzione di Dio nel donarmi la vita? “Uomo, sei stato creato per conoscere Dio!”: qui scatta la volontà, nasce la volontà nuova, come copia della volontà di Dio; è una copia: “A immagine e somiglianza”.

Nino: Prima Dio ci fa pensare Lui, per farci essere Lui.

Luigi: Per noi è sogno. Dio ci fa sognare quello che Lui ci vuole donare, però la realtà è infinitamente superiore al sogno.

La realtà di essere suoi figli è dono suo. E’ Lui che fa la realtà, non siamo noi. Noi possiamo sognare, ma se Lui non fa la realtà, il sogno resta sogno. Il dono è tutto di Dio, però ci fa sognare, perché soltanto sognando diventiamo capaci di assimilare la realtà. Altrimenti se Lui ci impone la realtà, questa diventa un disastro per noi, se in noi non c'è la capacità di assimilarla. Chi è che ci dà la grazia di formare in noi la capacità di assimilare è il sogno, il sogno con Dio, e questo diventa oggetto d’amore.

Eligio: Il sogno lo identifichi con la fede?

Luigi: Il sogno è provocato dalla fede. Senza fede non si sogna, perché non possiamo sognare l’irrealtà. Sogniamo in quanto c'è un dato di fatto. La fede ci dà dei dati, delle promesse. E allora cominciamo a sognare su delle promesse. La creatura che si scopre amata, magari è lontanissima dalla realizzazione del sogno con l’essere amato, però comincia a sognare. Perché comincia a sognare? Perché qualcuno le ha dichiarato un amore! Ma prima della dichiarazione d’amore non può sognare. Tutto parte dal ricevere un dono. Il raccogliersi in preghiera, il mettersi in ginocchio per pregare, è sempre un sognare. È un sognare nel Pensiero di Dio, nel sognare la vita con Dio, la vita secondo Dio, per cercare di vedere l’intenzione di Dio in tutte le sue opere. Questa è elevazione della mente a Dio, è la vera preghiera. È tendere ai significati di Dio. La vera preghiera degli angeli è proprio questo cibarsi delle intenzioni divine.

Nino: Il lavoro a tavolino è il lavoro di vita.

Luigi: Il lavoro a tavolino precede.

Nino: Si, ma poi ci deve essere una prova, Dio ci propone le prove, e noi dobbiamo essere attenti a riconoscerle.

Luigi: Certo, Dio ci dà la possibilità di arrivare alla realizzazione; non è che ci faccia sognare invano. Lui ci fa sognare per poterci dare nella realtà quello che Lui ci fa sognare. Il Tabor è un sogno, ma non è una promessa vana, perché Dio non illude la sua creatura. Quindi anche il sogno del Tabor, rientra nel cammino della creatura per poter arrivare alla realtà, quindi è un mezzo, è un mezzo necessario. La luce illumina. Ad un certo momento c'è uno squarcio di luce; ma non è che ce la meritiamo. Tutt’altro. Però ci ha fatto capire che c'è qualcosa da vedere. E questo rientra nelle opere necessarie per poterci far arrivare alla realizzazione di quello che Lui ci ha promesso attraverso un sogno. Il sogno di Giuseppe è tutto una promessa. Lui non ha nessun merito, però aderendo alla volontà di Dio il sogno diventa una realtà; e tutti coloro che disprezzavano il sogno, perché “Noi siamo pratici”, saranno condotti ad elemosinare dal sognatore. Anche queste sono lezioni di Dio.

 

Eligio: La prova di cui parla Nino la identificherei nel superamento continuo che dobbiamo compiere, nell’accettazione dei doni e nel cercare di capirli.

Luigi: Ritengo che la realizzazione più efficace del sogno, facendoci vedere la verità dello Spirito di Dio, è questa: ci impedisce di appassionarci per altro. È lì la grande liberazione! Per cui quando uno ha incominciato a sognare il cielo, non riesce più ad appassionarsi alle cose della terra. Anche se è ancora nella situazione di sogno, non riesce più ad appassionarsi alle cose della terra. Ma questa è già grazia! È già liberazione!

Non riusciamo più ad appassionarmi alle cose della terra, perché ne vediamo la vanità. Ma chi ci ha fatto vedere la vanità? È il sogno.

 

Pinuccia B.: Però è triste continuare a doversi occupare di quello che si ritiene vano.

Luigi: Ma anche questa tristezza è bellezza, perché ci distacca sempre più. Quando il Signore libera il paralitico e gli dice: “Prendi il tuo lettuccio e cammina”, era un peso per lui; avrebbe potuto dirgli “Cammina, lascia lì il lettuccio e poi qualcuno lo porterà via!”. Ma è proprio il fatto di dover portare un peso, che prima era un motivo di gioia, che crea in lui un tale fastidio che alla prima occasione lo butta via. È lì la forza di volontà. Vedi come Dio forma in noi la volontà di-. E’ Dio il costruttore della sua volontà (non è nostra volontà). Infatti se uno ti dicesse che con la bacchetta magica potrebbe di nuovo farti appassionare alle cose della terra, tu non accetteresti minimamente. Anche se questa è una posizione scomoda, la preferisci di gran lunga alla precedente, perché ha più valore.

 

Eligio: Con il miracolo della moltiplicazione dei pani Gesù ci propone un anticipo di Se stesso.

Luigi: Si, infatti prima dà il pane e dopo dirà: “Io sono il pane della vita”. Il che ci fa pensare che in tutti i doni che Dio ci fa, arriva la meraviglia: “Ero Io”; ed è quella identità che ci farà poi scoprire la sua Presenza.

 

Eligio: Dio dà lo Spirito su misura, cioè proporzionato alla capacità della creatura. Cioè Dio non pone limiti perché: “Dio non dà lo spirito con misura”, però è la creatura che li pone.

Luigi: Si, è solo la creatura che pone limiti; si trova sempre sovrastata dai doni di Dio, Dio la sovrasta sempre. Nota che anche se la creatura eventualmente si dannasse, si troverebbe lo stesso sovrastata dai doni Dio, tanto che non potrebbe attribuire a Dio una diminuzione di doni che ha causato la sua dannazione. No! Lei dovrà sempre confessare che Dio ha sovrabbondato di doni e che se si è dannata la colpa è solo, essenzialmente sua. Non può attribuire la sua dannazione a Dio, perché se potesse attribuirla a Dio sarebbe in Paradiso.

 

Pinuccia B.: “A chi ha sarà dato”.

Luigi: Si, quelle parole Gesù le dice nella parabola dei talenti. “Ma quello ne ha già dieci”, “A chi ha sarà dato” commenta Gesù. Ma che cosa è stato premiato? Ha premiato l’interesse che uno ha saputo trarre dai talenti avuti; non ha premiato i talenti. Ora, l’interesse è fame. Dai talenti che uno ha ricevuto, ha tratto tanta fame per Dio; allora è questa fame che viene ricompensata con i doni di Dio. Per cui Dio non premia i talenti dati, perché Dio li dà in misura diversa ad ognuno, ma premia l’interesse che la creatura ha saputo trarre dai talenti. È lì che dice: “A chi ha sarà dato”. Cioè a chi ha interesse sarà dato. Conferma quello che ha detto prima: “Chiedete ed otterrete”, “Viene dato a colui che chiede, a colui che bussa”.

Pinuccia B.: Quello che si sogna è quello che già è.

Luigi: Si, tu dici che quello che sarà è quello che già è; è logico, ma noi quando diciamo “sarà”, è come volessimo dire che è un bene futuro; invece quando si usa quel futuro, significa quando noi prenderemo coscienza di quello che già è. Quindi dobbiamo tendere a quello che ancora non vediamo per tendere a quello che già è, perché già è.

 

Pinuccia B.: La misura della nostra dedizione determina la nostra capacità di assimilare i doni di Dio.

Luigi: Preciserei in questi termini: la misura della nostra dedizione ci porta alla possibilità, che è grazia di Dio, di conoscere l’intenzione di Dio nel suo dono. E’ questa intenzione che ci rende capaci; perché altrimenti sembra sia la nostra dedizione a renderci capaci. I doni vengono da Dio. Dio richiede da parte nostra la dedizione per darci la capacità, ma i doni vengono da Dio. Non è la nostra dedizione che ci rende capaci di-. Perché la capacità nasce dalla creatura. Non dire “Io sono stato capace di donarmi, quindi ho ricevuto”. Perché l’intenzione di Dio viene da Dio stesso, non viene dalla creatura. E questa scoperta ci determina la capacità.

 

Pinuccia B.: “Ognuno avrà quello che avrà voluto avere”

Luigi: Ogni istante vale per quello che di eterno noi attingiamo, e quindi per la capacità che abbiamo di lasciar passare tutto ciò che è di transitorio, che è relativo, per puntare decisamente a quello che è di eterno. Perché noi dobbiamo tendere a guardare ciò che potremo contemplare sempre, in eternità. Quello è poi ciò che rimane.

Pinuccia B.: Quello che adesso non vediamo.

Luigi: Ma noi abbiamo il Pensiero di Dio! Teniamo sempre presente che nel Pensiero di Dio noi possiamo contemplare l’Eterno; perché le cose di Dio sono eterne; e siccome noi diventiamo quello che contempliamo, soltanto contemplando le cose eterne siamo fatti partecipi delle cose eterne, e quindi facciamo crescere in noi la vita eterna, che è già seminata in noi. Siamo già nella vita eterna, dobbiamo sforzarci di entrare. Ma quel sforzarci di entrare, lo sforzo che Dio chiede è proprio questo lasciar perdere le cose relative, le cose che passano, le cose che non potremo contemplare. Se noi abbiamo la consapevolezza che tutte le cose del mondo sono cose che passano, è perché abbiamo già in noi la possibilità, altrimenti non avremo questa percezione di contemplare le cose eterne. Perché la scoperta delle cose che passano, delle cose relative è data da un raffronto con le cose che non passano, altrimenti non potremmo vedere le cose che passano. Se noi vediamo le cose che passano è perché abbiamo già un piede nelle cose che non passano. Allora facendo il raffronto diciamo: “Questa è una cosa che passa!”. Ma dire questo vuol dire che non apparteniamo alle cose che passano. Allora, se abbiamo questa possibilità, dobbiamo sfruttarla.

Quindi per grazia di Dio dobbiamo lasciar passare le cose che passano e tendere verso le cose che potremo contemplare sempre, eternamente. La contemplazione delle cose eterne si ha soltanto nel Pensiero di Dio, perché è Dio che forma l’eternità.

Se contempliamo le cose in altro da Dio, essendo soggette al passare, le perderemo. Ma perdendole, siccome diventiamo quello che contempliamo, perdiamo anche noi.

Sant’Agostino è lapidario: “Chi fa il niente diventa niente”. “Chi contempla il niente diventa niente”. Contempla Colui che è e sarai fatto partecipe di Colui che è.

Ora, è tutto nostro guadagno tendere a contemplare le cose che potremo contemplare per sempre, perché contemplandole siamo fatti da esse.

Siamo fatti dal nostro contemplato, però corriamo il rischio di contemplare altro, di contemplare le cose che passano, le creature, e di conseguenza passiamo anche noi con loro. La tragedia sta nel fatto che noi passiamo con un piede che resta in terra. È lì lo strazio!

Nino: Dobbiamo entrare nella vita eterna; ma essendo consapevoli che abbiamo il Pensiero di Dio, siamo già nella vita eterna.

Luigi: Certo, infatti Gesù dice: “Sforzatevi di entrare, la porta è stretta”. La porta è stretta proprio perché abbiamo tante aderenze con un mondo che è già corrotto.

Noi diventiamo figli delle nostre opere, per cui siamo molto implicati. Allora c'è questo sforzo. Per questo Gesù dice: “Sforzatevi di entrare in una cosa che è già; sforzatevi di scoprire Colui che è già presente davanti a voi, cerca di vederlo”. Perché noi tante volte guardiamo ma non vediamo. Come mai guardi e non vedi? Oppure, come mai senti ma non odi?

Perché noi sostanzialmente vediamo e ascoltiamo con il cuore e il cuore è là dove sono i nostri interessi e i nostri interessi sono già fondati su una certa giustizia.

 

 

Pensieri conclusivi:

 

Teresa: La volontà dell’uomo si forma, si afferma nella misura in cui si afferma la volontà di Dio su di noi…

Luigi: … nei suoi doni. Non tanto si afferma, ma direi si forma; perché si afferma poi in una fase successiva; però si forma nella misura in cui scopre la volontà di Dio. La nostra volontà è copia della volontà di un altro. Perché noi generalmente crediamo di volere, ma profondamente vogliamo quello che vogliono gli altri. Noi vogliamo sempre quello che vogliono coloro nei quali noi ci specchiamo; se ci specchiamo in Dio, vogliamo la volontà di Dio. Ma bisogna specchiarci in Dio. In caso diverso la nostra volontà è sempre effetto di quello che vogliono gli altri.

 

Nino: Noi diciamo: “Sia fatta la tua volontà”, ma per volerla dobbiamo conoscerla.

Luigi: Si, soltanto conoscendola la vogliamo.

 

Eligio: Quando anche avessi fatto tutto quello che vuole Dio, la sua grazia mi sovrasta sempre.

Luigi: “Quando avrete fatto tutto”, e quel “tutto” vuole anche dire: “Quando mi avrete amato con tutto il vostro cuore”. Perché il “fare” nel Verbo divino non è il nostro fare. Perché quando Lui dice: “Quando avrete fatto tutto”; noi potremmo dire: “io mi sono dato da fare”. Invece no! Il fare secondo Dio è una cosa ben diversa: il suo fare è un amare.

Quindi: “Quando riterrete di avere amato Dio con tutta la mente, con tutto il cuore, dite: siamo servi inutili!”. È proprio la nullità nostra, quel “tutto di Dio”, che ci mantiene uniti a Dio.

Dobbiamo ringraziare perché è tutto dono di Dio; anche la nostra capacità di volere, di amare, di pensare. E’ tutto dono gratuito di Dio, perché Dio non è forzato da nessuno. Nessuno gli ha detto: “Crea il tale o la tale!”. È Lui che gratuitamente, quindi liberamente crea. Quindi noi siamo dei doni gratuiti di Dio, siamo invenzione di Dio: in-venire.

 

Pinuccia B.: Dio vuole darci tutto quindi abbiamo una grande responsabilità; per cui ogni istante vale per ciò che capiamo di eterno.

 

 

 

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.B.: Il testo, tratto da registrazione,

         non è stato rivisto dall'autore e mantiene lo stile discorsivo.

 

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