- ut unum sint -
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Gv 6,1-6: “Dopo questi
fatti, Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i
segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con
i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e
disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da
mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che
stava per compiere.”
Eligio: E’ stato un approfondimento, un applicazione
pratica dell’incontro del giorno precedente, a Pietraporzio, alla cui luce si
sono viste alcune prove trovate la sera stessa, nelle rispettive famiglie. Si è
constatata l’utilità dell’argomento trattato. La conclusione che abbiamo tratto
è questa: il Signore sa per quale ragione ha mandato la prova.
Noi
non possiamo sapere ancora il significato di una lezione che probabilmente ha
la sua soluzione a distanza. Solo Dio, essendo fuori del tempo e dello spazio
lo sa. A noi resti la certezza che in essa il Signore ci dice qualcosa.
Questo qualcosa noi ora non lo comprendiamo, però il fatto ci richiama a Dio,
alla Presenza sua.
Il
significato non è sempre facile coglierlo, perché non siamo sempre fissi nel
suo Pensiero. Bisognerebbe sempre partire dal Pensiero di Dio per capire.
Personalmente la prova che ho trovato al mio rientro quella sera, con ciò che
successe alle bambine con la rottura del vetro durante il gioco, per ora non la
capisco.
Luigi: Comunque è già positivo il fatto di non
esserti arrabbiato di fronte all’avvenimento. Quindi il fatto di poterlo
accettare dalle mani di Dio, ti ha dato la possibilità di superare le prime
reazioni, perché quando succedono quelle cose, magari la prima reazione è di
inveire contro i bambini.
Eligio: La grazia che chiederei a Dio è quella
di vedere con la stessa immediatezza la sua Presenza come l’ho vista in questo
avvenimento, anche nei fatti normali e abituali della giornata.
Luigi: Con la Presenza di Dio non c’è niente
di abituale: tutto diventa straordinario. La Presenza di Dio ci rende
sempre la cosa straordinaria, per cui non abbiamo bisogno di miracoli,
dell’avvenimento eccezionale che ci colpisca. Ma è la Presenza di Dio che ci
rende evidente questa eccezionalità in tutto, anche nelle cose più banali, più
abituali della giornata.
Eligio: Ora, era tale la convinzione che quello
era stato voluto da Dio che per due giorni ne ho parlato con Oddino, tanto che
alla fine anche lui è rimasto profondamente colpito e convinto.
Luigi: Quindi forse un apertura di significato
la possiamo trovare lì; in quanto il Signore ti ha adoperato attraverso un
avvenimento comune che ha interessato sia te che Oddino, dandoti la possibilità
di comunicare una certa fede, una certa convinzione, che cioè tutto è opera di
Dio. Inoltre nell’ultimo incontro, domenica scorsa, tu hai insistito parecchio
sul fatto che: “Il Signore sapeva quello
che stava per fare”. Quel
che stava per accadere, però ci mette alla prova;
cioè: il Signore metteva Filippo alla prova, sapendo già quel che stava per
fare. Si è parlato parecchio circa la ragione per cui il Signore ci mette alla
prova, pur sapendo già quello che stava per fare. E la conclusione fu quella
stessa che già avevamo tratto nell’incontro di sabato a Pietraporzio: il
Signore ci mette alla prova per abituarci a ragionare con il suo Pensiero, a
superare quindi il pensiero nostro.
Ragionare
con il suo Pensiero vuol dire incominciare a vedere tutto a partire da Lui.
Perché se noi partiamo dal nostro pensiero, in un incidente di quel genere, che
magari ci può creare un ritardo sui nostri programmi, pensando a noi, ci può
inquietare, arrabbiare, ecc. Invece se incominciamo a ragionare secondo Dio,
allora superiamo queste reazioni. Il Signore ci mette alla prova per
abituarci a partire dal suo Pensiero. Ad esempio, sabato scorso, prima ci
ha fatto ragionare su certe cose, ci ha fatto pensare. Praticamente è stata una
prova di scelta di pensieri e poi dopo ha fatto succedere certi avvenimenti.
Lui sapeva già quel che stava per fare, affinché quando avrebbe fatto certe
cose, noi avessimo già l’animo disposto ad accogliere in un certo modo
l’avvenimento.
L’animo
nostro si dispone a seconda della preparazione a tavolino.
Sotto un certo aspetto noi abbiamo fatto una preparazione a tavolino lassù sotto
i larici, e poi dopo c’è stato l’avvenimento. Ma questo avvenimento è stato
preceduto dalla preparazione. “Lui sapeva già quel che
stava per fare”. Ma il fatto di esserci
soffermati a tavolino, su certe riflessioni, ha dato al nostro animo la capacità
di accogliere l’avvenimento in un certo modo. Per cui, noi dobbiamo sempre
(sono i tempi anticipati) anticipare l’avvenimento, ragionando con Dio, cioè
con il suo Pensiero. Questo naturalmente è soltanto il Signore che lo può
fare con noi, perché Lui parlando anticipa quello che sarà.
Le
sue parole anticipano a noi l’avvenimento. Se accogliamo le sue parole, le
meditiamo e le approfondiamo, il nostro animo resta preparato ad accogliere
l’avvenimento, perché: “Me l’aspettavo!”.
Allora, questa capacità di accogliere ci dà la possibilità di superarci durante
l’avvenimento. Altrimenti rimaniamo sconvolti da esso. L’avvenimento ci
porta via, perché non l’abbiamo contemplato prima. Non è che possiamo
contemplare l’avvenimento come apparirà esteriormente (ad es. la bambina che
rompe il vetro), ma l’avvenimento in senso spirituale, come significato in sé e
per sé, portato come opera di Dio; per cui l’animo resta capace di accogliere
un determinato avvenimento. Perché? Perché l’ha già contemplato nella sua
anima, nel suo senso, e perché ha già riflettuto che tutto è opera di Dio.
Nel
caso tuo, l’avvenimento è stato un aiuto anche per le bambine. Se tu ti fossi
arrabbiato, la bambina magari avrebbe visto la sua colpa molto più grossa. Ne
avrà un buon ricordo per tutta la vita, e anche l’altra bambina, perché hanno
ricevuto una lezione di comprensione che non si aspettavano, perché magari,
oltre il male procuratosi, si aspettavano il rimprovero, per aver mancato, per
aver commesso una birichinata. Il fatto invece di trovare comprensione, quello
dà una impronta che avrà certo un effetto educativo. Sostanzialmente erano in
un gioco come tanti altri.
Il
fatto quindi di sentirsi comprese allarga l’anima e le rende migliori. Mentre,
se fossero state rimproverate, sì sì, non potrebbero mica accusare nessuno,
perché si accorgono di aver mancato, però ne sentirebbero un’offesa. Invece
allarga l’animo il fatto di trovare comprensione nel momento opportuno rende
migliori e infonde bontà.
Eligio: E questa comprensione è possibile averla
solo se sto nel Pensiero di Dio, anche con i ragazzi ed altre persone quando
fanno certe affermazioni sbagliate o avventate. Il Pensiero di Dio ci fa
abbandonare quell’atteggiamento che istintivamente un nostro centro di potere
(famiglia, lavoro, ecc.) ci farebbe prendere, e ci fa portare la conversazione
sui valori essenziali, stabilendo così un vero dialogo. Solo partendo da Dio
possiamo educare. Comunque, da tutto quanto è successo si è riflettuto ne ho
ricavato la convinzione che tutto, anche le cose normali, racchiudono una
prova. Non devo lasciar nulla all’abitudine e fuori dell’opera di Dio, anzi,
proprio nelle cose normali Egli vuole che io colga la sua Presenza e il suo
operare.
Luigi: Soprattutto perché con Dio non c’è
abitudine. L’abitudine procede dal nostro io (che dice: “Questo avvenimento l’ho già esperimentato,
fatto, ecc.”). Comunque in questo fatto ho visto la conferma di ciò di cui
avevo parlato con te sabato. Tu parlavi del tuo timore su un rischio che
possiamo correre: quello di applicarci a Dio e non tener presente certi
avvenimenti, certe realtà. Ho trovato la conferma di quanto ti avevo detto: è
da preferirsi un delinquente che si preoccupa di Dio, che cerchi Dio, al Santo
che sia soddisfatto, perché magari tratta tutti bene, perché è paziente, buono,
e intanto però non cerca Dio. Ho visto proprio quella prova. Siccome tu dicevi:
“Si può cercare Dio, occuparci di Dio e
non cambiare”, hai avuto la prova che invece, cercando Dio, si cambia.
Infatti proprio la presenza di un certo argomento di Dio, ti ha fatto cambiare,
perché hai trattato in un certo modo le bambine. Se tu non avessi avuto
presente lo Spirito di Dio, certamente avresti reagito in un modo diverso. Ho
visto una conferma, una testimonianza di quello: quando si cerca Dio non
bisogna preoccuparsi, perché è Dio che opera, presto o tardi si cambia. È Dio
che cambia i caratteri, i temperamenti, ecc.
Più
uno cerca Dio e più certamente è sulla strada buona e quindi presto o tardi Dio
informa di sé la creatura. Ma se invece uno si
preoccupasse molto, per es. di curare gli avvenimenti, di essere paziente,
senza occuparsi di Dio, arriva certamente il momento in cui parte tutto, perché
non può tenere. Arriva un certo momento in cui il nostro io, siccome non è
stato superato con il Pensiero di Dio, si viene a trovare particolarmente
interessato in qualche cosa e lì perde le staffe, non può tenere; perché soltanto
la Presenza di Dio dà questa capacità.
Eligio: Tu poi mi hai portato l’esempio limite: è
preferibile il superbo che si preoccupa di cercare Dio (la superbia è
proprio quel peccato che impedisce di cercare Dio), cioè è preferibile quel
superbo che è tale per natura, per debolezza o per mancanza di educazione e di
conoscenza dell’importanza dell’umiltà per cercare Dio, se si sforza di cercare
Dio, all’umile che non se ne preoccupa e si sforza di essere umile. Però
io non posso disgiungere la ricerca di Dio da un lavoro di acquisizione di
certe virtù che a loro volta favoriscono la possibilità di incontrare la Parola
di Dio. Per es, se sono troppo loquace, cercare di
parlare un po’ meno per fare spazio al Pensiero di Dio o all’attenzione alla
Parola di Dio.
Luigi: Certo, ma quello, in quanto te lo
proponi, deve già essere una conseguenza delle esigenze di Dio, cioè deve
procedere dallo Spirito di Dio. Non deve essere uno sforzo di ascesi del nostro
io. Perché all’ultimo possiamo portarci su questa situazione: “Bene, io divento virtuoso, acquisisco
quelle doti tali che mi danno la capacità di conoscere Dio”. È un errore,
un errore fatale. Sarebbe come dire: “Prima
conosco me e poi conoscerò Dio”. È un errore fatale. Equivale a dire: “Io debbo cercare di diventare così, perché
quando sarò così conoscerò Dio”. No, cerca Dio con tutta la tua povertà
addosso, con tutta la tua miseria e Dio ti trasformerà. Punta subito su
Dio. Lì la prostituta precede. Se il Signore dice “Le prostitute
vi precederanno”, è perché il Signore dà alla
prostituta la possibilità di accedere a Lui. Perché se Lui non le desse questa
possibilità e dicesse: “La prostituta
prima deve diventare santa poi si avvicinerà al mio tabernacolo”, la
prostituta non potrebbe precedere coloro che si credono virtuosi. Evidentemente
Lui dà la possibilità alla prostituta di avvicinarsi alla sua Santità, ed è
proprio dalla sua Santità, per riflesso, che la prostituta viene trasformata,
trasfigurata.
Eligio: D’altronde è istruttivo l’esempio del
Fariseo che esce con un peccato in più dal Tempio, dopo aver fatto una
preghiera.
Pinuccia B.: Questa ricerca di Dio può dirsi tale
se uno cerca di ricordarsi di Dio in ogni dettaglio della vita; oppure non è
sufficiente quello e bisogna cercare Dio anche in altro modo?
Luigi: No, bisogna soprattutto cercare Dio in
altro modo: non nei dettagli, perché i dettagli vanno tutti superati, tutti gli
avvenimenti vanno superati.
Pinuccia B.: Ma intendo: “Ricordarmi di Dio, della Presenza di Dio”. Perché una prostituta
che cerca Dio, come lo cerca se non pensando a Dio? Cosa vuol dire: “Che cerca Dio” se non che pensa a Dio?
Luigi: Cercare Dio vuol dire avvicinarsi a Dio.
Ma tu non ti avvicina a Dio nei dettagli. Tu sei attratta, hai bisogno di
incontrare la Persona Divina, hai bisogno di incontrarti con Cristo. Incontrare
una Persona non è il dettaglio, non è l’avvenimento, è conoscere Dio! Ora cercare
Dio, vuol dire cercare di conoscere Lui.
Pinuccia B.: E cosa deve fare la prostituta che
è lontana, che magari non conosce né il Vangelo, né altro, cosa deve fare per
conoscerlo?
Luigi: Cosa ha fatto la Maddalena per incontrare
il Signore?
Pinuccia B.: Lì era fisicamente presente il
Cristo.
Luigi: Ma guai se Cristo, il Verbo di Dio non
fosse presente fisicamente anche ora! La sua incarnazione continua, perdura. Lui,
essendo venuto una volta su questa terra, è venuto per sempre. Il che vuol
dire che dà a tutti la possibilità di un aggancio.
Pinuccia B.: Attraverso i Sacramenti?
Luigi: Attraverso il fatto storico. I
Sacramenti mi richiamano Lui. Noi abbiamo bisogno della sua figura, della
sua Presenza fisica, della vita che ha fatto, delle parole che ha detto, delle
scene in cui Lui è vissuto. Abbiamo bisogno di tutto questo inserimento,
perché è proprio tutto questo che dà a noi la possibilità di superare il nostro
ambiente, la nostra vita, noi stessi. Ed è attraverso Lui che si arriverà alla
conoscenza dello Spirito di Dio, di Dio Spirito, di Dio Verità. “Nessuno viene al Padre se non per me”.
Quindi
noi, nella nostra pochezza, nella nostra incapacità, abbiamo Lui! Però il
problema della conoscenza di Dio non è un problema di scoprire il Pensiero di
Dio nelle cose, nell’avvenimento. Quello sarà il dono che deriva dalla
conoscenza di Dio. Avere la possibilità di scoprirlo in tutte le cose è dono
dello Spirito Santo; per cui: “Ovunque io sono, anche voi
sarete”. Allora lì si intende il
significato: “Ah, sei Tu, Signore che mi
stai parlando! Stai operando, stai dialogando con me personalmente”. Ma
questa è già una conseguenza. Si capisce, man mano che uno cresce nella
conoscenza di Dio, si incomincia ad intendere il significato di un avvenimento
eccezionale, poi di un altro, e a poco per volta la sfera del Divino avvolge
tutto di noi. Ma è un cammino progressivo. Tanto più uno si avvicina alla
conoscenza di Dio personale, tanto più questa conoscenza, ad un certo momento
gli trasforma tutto, perché tutto diventa opera Sua. Però il problema
principale è quello di conoscere Lui personalmente, come Persona.
Pinuccia B.: Come Cristo?
Luigi: Come Cristo, è logico. Siccome noi siamo
presi da persone fisiche, abbiamo bisogno di una Presenza fisica da opporre ad
altre presenze fisiche; perché noi siamo portati via dalle presenze fisiche.
Allora abbiamo bisogno di Lui, il Verbo di Dio Incarnato, come presenza fisica.
Ma non è per arrestarci alla presenza fisica, perché infatti Lui è fisicamente
presente tra noi con il suo corpo, però parla un linguaggio divino, un
linguaggio da: “Dio è Spirito e Verità”.
E lo inculca in tutte le cose. Non ci lascia deviare se restiamo a contatto con
Lui.
Cristo
non ci concede delle attenuanti. Continuamente Lui ci riporta su questa
essenzialità: “Dio è Spirito e Verità,
quindi non scendere a dei modi di essere!”.
Il
problema essenziale è quello di conoscere Lui personalmente, in modo da poter
entrare in dialogo con Lui. Quando uno dialoga con una persona, non sta a
vedere i singoli avvenimenti, i singoli fatti, ma sta attento alla Persona.
Bisogna arrivare al dialogo con la Persona, con Lui. Perché l’elemento
essenziale della religione è proprio questo rapporto personale, a tu per tu,
tra la nostra anima e Lui, è il dialogo con la Persona.
Pinuccia B.: Sì, ma per poter far questo con
Cristo, bisogna conoscerlo, credere in Lui, che esiste, che è risorto, che è
presente qui, ora. Penso che per chi è all’inizio sia più facile credere nella
presenza di Dio Creatore che nella presenza attuale di Cristo.
Luigi: Sì, d’altronde bisogna già essere
attratti dal desiderio di conoscere Dio, per arrivare al Cristo.
Pinuccia B.: Per questo è più difficile credere
nella presenza di Cristo e dialogare con Lui che credere nella presenza di Dio
e dialogare con Dio.
Luigi: No, un momento! Innanzitutto bisogna
credere che tutto è opera di Dio. Il credere che tutto è opera di Dio è un
problema di fede iniziale, basilare; perché se noi non accettiamo questo, non
abbiamo nemmeno l’inizio della fede. Ma una cosa è credere e una cosa è vedere.
Credere non è ancora vedere, per cui uno accetta: “Sì, tutto è opera di Dio”. È conseguente alla fede in Dio
accettare questo, e devi accettare questo, perché se non accettiamo che tutto è
opera di Dio, non entriamo nella problematica di capire, di vedere. Infatti è
proprio accettando che tutto è opera di Dio che Dio stesso lavora su di noi per
portarci a desiderare il suo Volto. Cioè, accettando per fede quello che
Lui sta facendo a noi, incominciamo a sentire dentro di noi il bisogno della
Luce sul suo Volto, sulla sua Verità. Si forma in noi questo bisogno.
Altrimenti, se non accettiamo che tutto è opera di Dio, questo bisogno non si
forma in noi. Se non crediamo che Dio esiste, che tutto è opera sua, in noi non
si forma il bisogno della Luce, non abbiamo bisogno della Luce; perché “vediamo
già”: la luce per noi è data dagli avvenimenti, dagli uomini, perché per noi la
realtà è quella.
Quando
invece incominciamo ad aderire all’esistenza di Dio e quindi, come conseguenza,
al fatto che tutto è opera sua (perché aderendo all’esistenza di Dio, subito ne
deriva il fatto che tutto è opera sua; tutto, quindi anche l’avvenimento che a
me non piace, anche quello che mi scandalizza), allora, dovendo accettare tutto
dalle mani di Dio, si forma in noi la notte, la problematica di capire, cioè di
vedere.
Il
bisogno della luce viene a noi attraverso questa fede, questa accettazione. Ad
un certo momento, Dio attraverso gli avvenimenti che magari ci urtano, ci
scandalizzano, ci mette in movimento verso di Sé, per cercare Lui, per cercare
di capire che cosa mai sta facendo attraverso cose così madornali. Ecco, allora
si forma in noi il bisogno della luce. Allora vuol dire che a questo punto
abbiamo ascoltato il Padre. Avendo ascoltato il Padre desideriamo vedere il
suo Volto. E questo ci conduce a Cristo.
Pinuccia B.: Cioè, ci porta necessariamente alla
fede che Cristo è presente?
Luigi: No, non ci porta alla fede che Cristo è
presente, ma ci porta alla necessità di trovare uno che ci aiuti a vedere, a
conoscere quello che desideriamo conoscere. In noi si è già formato un
problema: “ho un problema da risolvere!”. Abbiamo visto che Dio è una fonte
di problemi in noi, e quanto più noi crediamo in Dio, tanto più Dio (e questo è
vita, la vita è problema) diventa per noi fonte di problemi, non di soluzione,
ma di problemi. La soluzione è Lui.
Ma
tra il problema che Lui ha formato in noi e la soluzione c’è il Cristo.
Cioè, in quanto in noi si è formato il problema, questo problema ci spinge ad
andare alla ricerca della soluzione, di uno che ci aiuti a trovare la
soluzione. Ma prima andremo alla ricerca di compagni, di parenti, di amici, di
maestri, di filosofi… e poi, ad un certo momento, ci accorgiamo che nessuno
risponde a questi problemi, perché sono problemi a cui può rispondere solo
Colui che li ha formati.
S.
Giovanni della Croce dice: “E’ solo Colui
che ti ha ferito che ti può curare questa ferita”. Sono problemi che sono stati
formati in noi da Dio. Il che vuol dire che solo Dio ce li può risolvere. Però
noi prima di andare da Dio, prima interroghiamo parenti e conoscenti e quanti
altri. Andiamo alla ricerca di chi ci possa aiutare a risolvere questi
problemi. Ad un certo momento, per scelta, arriviamo al Cristo, come colui
che parla veramente secondo il bisogno della nostra anima.
Pinuccia B.: Ed è questo il momento in cui noi
cominciamo a credere che Lui è presente?
Luigi: No, non è che noi crediamo che Lui è
presente. Noi lo conosciamo perché è esistito, storicamente. Per
arrivare a credere che Lui è presente bisogna arrivare alla Divinità del Cristo.
Qui non si è ancora arrivati alla divinità del Cristo. Qui scopriamo il Cristo
come colui che risponde al problema della nostra anima; che può essere un uomo,
come prima abbiamo cercato chi ci aiutasse tra tutti gli uomini.
Pinuccia B.: Se è solo uomo, cioè se lo vedo
solo uomo, per me è un uomo del passato.
Luigi: Ma non importa! Quando andiamo a cercare
maestri e filosofi, li cerchiamo anche nel passato, purché rispondano ai nostri
problemi, perché nei problemi dello spirito non esiste il passato. Le
affinità spirituali superano tutti i limiti di tempo. Quando noi abbiamo bisogno
di risolvere un problema, andiamo ad attingere da chiunque, magari da uno di
duemila, tremila anni fa, purché ci dia una mano, un aiuto.
Nel
campo dello spirito, siamo fuori del tempo.
Le amicizie si formano al disopra del tempo. L’amicizia non è problema di
tempo, è problema di presenza spirituale, di rispondenza. Alla divinità del
Cristo arriverai dopo, ma prima lo accogli in quanto: “E’ Colui che la mia anima aspettava”.
Pinuccia B.: E debbo accoglierlo dal Padre.
Luigi: Ma a questo punto accogli le cose dal
Padre in quanto già credi che tutto è opera di Dio. Quindi anche il Cristo,
come tutte le cose, è opera di Dio. Perché altrimenti, se non credi che tutte
le cose, tutti gli uomini, tutto sono opera di Dio, in te non si è ancora
formato il problema. Il problema si forma in quanto, credendo in Dio,
incominci a capire che tutto è opera di Dio. Ma dovendo accettare che tutto
è opera di Dio, si forma il problema della notte, delle tenebre, e quindi il
problema di invocare la Luce, perché: “Debbo
accettare tante cose di cui non capisco assolutamente niente”.
Continuamente
ne parliamo: accettiamo ciò che ci capita, ma non ne capiamo il significato. E il
desiderio della nostra anima è quello di arrivare a capire il significato di
quello che Dio ci sta facendo. Ma se escludiamo Dio, se per noi
l’avvenimento non è voluto da Dio, non sentiamo il bisogno di capire il
significato.
Quando
diciamo: “Questo è un avvenimento causato
dalla cattiveria e dalla sbadataggine degli uomini o dall’orgoglio degli uomini”,
stiamo ragionando con gli uomini, non ci preoccupiamo di capire il significato.
Ci
preoccupiamo di capire il significato in quanto trascendiamo tutte le cause
seconde, gli uomini, ecc., e ci appelliamo alla Causa prima. Ma allora se ci
appelliamo alla Causa prima, cioè a Dio, ci preoccupiamo di capire. “Ma qual è il significato di tutto quello
che sta facendo Dio?”.
Pinuccia B.: Solo il Cristo ce lo può far
capire?
Luigi: No, il Cristo ci porta all’incontro con
il Padre. È solo il Padre che ci fa capire:
con il dono dello Spirito Santo ci farà capire l’anima di tutti gli avvenimenti.
Perché, appunto, più conosciamo il volto del Padre e più questo volto avvolge
di Sé tutto, trasfigura tutto nella sua Luce: perché tutti gli avvenimenti
sostanzialmente sono luce. Noi li vediamo materia, ma sono luce. La materia
praticamente è luce trasformata, ma è sempre luce. Tutto è luce. Soltanto che
tutti questi avvenimenti abbiamo bisogno di vederli nella luce di Dio, nella
luce del Padre, vera Luce. Ecco, allora lì abbiamo il significato delle cose.
Ma è luce che discende dall’Alto, non sale dal basso.
Ora,
nell’incontro con il Cristo, noi stiamo ancora salendo dal basso, con Lui, in
quanto risponde ai nostri problemi; per lo meno, ci accorgiamo che è uno con il
quale possiamo trattare i nostri problemi, mentre con il mondo, con tutti gli
altri, non possiamo trattare dei nostri problemi.
Pinuccia B.: Però il dialogo con una persona del
passato, presso cui posso cercare una risposta ai miei problemi leggendo un suo
libro, è molto diverso dal dialogo con una persona che so presente, così come
posso fare con Cristo.
Luigi: Ma certo, è logico.
Pinuccia B.: Infatti il dialogo con Cristo
presuppone la sua presenza attuale e la conoscenza di questa sua presenza.
Luigi: Sì, ma questa sua presenza attuale
presuppone la scoperta della sua Divinità. E la scoperta della sua Divinità
presuppone tante altre cose.
Pinuccia B.: Ma prima ancora di conoscerla, noi
crediamo alla sua divinità e credendola possiamo già dialogare con Lui.
Luigi: Va bene, la crediamo, ma non è che… Sì,
possiamo dialogare con Lui come dialoghiamo dicendo: “Padre nostro…”, perché crediamo che Lui sia
presente. Cioè, in quanto accettiamo come scontata la sua divinità, perché ce
l’hanno detto, ce l’hanno comunicato. Quindi naturalmente, quando riconosciamo
che Cristo è Dio, logicamente la sua Presenza non è più limitata. Quel punto
storico in cui Lui si è incarnato, è stato soltanto l’occasione per dirci certe
cose, per rendersi presente; ma adesso si espande su tutto. Il fatto di
essere Dio rende Gesù universale, applicabile al di là di ogni spazio e di ogni
tempo. Quindi ce lo rende applicabile a tutti gli uomini e in ogni tempo;
per cui abbiamo una Presenza. Ma questo arriva con la scoperta della sua
Divinità; o meglio: arriva con la convinzione, che non è soltanto fede.
Perché
tante volte diciamo di credere, ma la nostra fede è una fede per sentito dire,
non è una fede efficace. La fede diventa efficace quando incominciamo
veramente quando si forma in noi la convinzione che Cristo è veramente Dio.
Altrimenti oscilliamo tra il sentito dire e i dubbi; crediamo di credere in
quanto andiamo in Chiesa, ecc., ma poi dopo abbiamo gli alti e i bassi.
Pinuccia B.: Però la vera convinzione che Gesù è
Dio ci verrà solo con la Pentecoste, conoscendo il Padre.
Luigi: La vera convinzione che Gesù è Dio ci
viene solo dal Padre. È il Padre che ce lo rivela. Infatti il Signore dice:
“In quel giorno conoscerete chi sono Io … Finora non
avete mai pregato in mio nome …”. È
logico, perché: “Nessuno conosce il Figlio
se non il Padre”.
Quindi
noi non dobbiamo vantarci dicendo: “io
so che il Cristo è Dio”.
Fintanto che il Padre non ce lo ha comunicato e non lo riceviamo dal Padre, lo
diremmo soltanto per sentito dire. E la fede per sentito dire non è che ci
sostenga sempre; ci sostiene un po’, ma non a lungo, perché i rapporti con Dio
sono rapporti personali.
Le
convinzioni si formano personalmente, non basta quello che dicono gli altri.
Noi possiamo aderire, però, se questa adesione non ci porta alla ricerca
personale e al bisogno della convinzione personale, non si entra nel Regno di
Dio; perché personalmente ci siamo tenuti fuori.
Fintanto
che crediamo a quello che dicono gli altri (ed è facile credere a tutto quel
che dicono gli altri fintanto che quel che ci dicono non ci tocca, non ci urta
personalmente) è facile credere!
Il
più delle volte crediamo di credere soltanto perché non siamo bruciati
personalmente. Viviamo in un ambiente in cui è facile credere, anzi, sotto un certo
aspetto ci conviene credere. Ma questa non è fede! Bisogna arrivare alla
convinzione personale. E la convinzione personale presuppone l’interesse
personale per conoscere, per vedere il volto di Dio. La luce è personale.
La
luce non è una dotazione che Dio ci ha dato. È come la vita: non è una
dotazione, una cosa che Dio ci ha dato, ma la vita è in Dio. E noi dobbiamo
arrivare a trovare la nostra vita in Dio, altrimenti la vita che abbiamo, la
perdiamo.
Noi
riteniamo di avere la vita. E’ un errore. La vita è in Dio! Così è lo stesso
per la luce, per la Verità. La Verità non è un frutto della nostra
intelligenza, e così pure la conoscenza, la certezza. La Verità è in Dio!
Allora Dio dà a noi la possibilità di pensarlo, per dare a noi la possibilità di
arrivare alla Verità. La Luce è in Dio, non è frutto di ragionamento nostro;
non è qualcosa per cui se io penso secondo certe regole o certi modi arrivo
alla luce. No. Siamo con un rapporto personale con Dio. Ora, finché non ci
impegniamo in questo rapporto personale con Dio, la vera luce non arriva a noi;
perché la luce arriva a noi attraverso il rapporto personale con Dio.
Invece,
sottratti da questo rapporto personale, non facciamo altro che commettere
l’errore che qui fa Filippo, deviamo. Per cui Dio ci interroga, ma noi vediamo
soltanto il segno e corriamo dietro il segno; e quindi corriamo dietro il
pensiero del nostro io, dietro cioè le apparenze che sono in relazione al
nostro io e ci allontaniamo.
Per
cui il nostro io naturale è un principio di errore, di erranza, è un principio
fallace. Il principio di Verità, o meglio, il criterio per conoscere la Verità
delle cose anche negli spiriti, è l’unione con lo Spirito di Dio, è la Presenza
di Dio, è il Pensiero di Dio, il pensare a Dio. Il che richiede sempre da noi
un superamento, la necessità di passare, come dicevamo sabato a Pietraporzio,
dal pensiero del nostro io al Pensiero di Dio, cioè la necessità di cercare il
Pensiero di Dio.
Quando
Dio ci interroga dobbiamo cercare qual è il suo Pensiero e non fermarci
all’apparenza dei segni che Egli dice o fa, altrimenti travisiamo e rispondiamo
male.
Eligio: Ecco, la difficoltà sta proprio
nell’intendere il suo Pensiero. Se è relativamente facile cogliere il segno
come opera di Dio, che vuol dirci qualcosa, molto più difficile è giungere al
significato, all’intenzione che Dio ha.
Luigi: Certo, ma è lì che si forma in noi il
problema della luce, il bisogno di Dio. Perché ad un certo momento capiamo che
la fonte della luce in noi, quindi della soluzione dei problemi che si formano
in noi accogliendo tutto da Dio, ci può venire solo da Dio.
Avendo
la premessa della fede: “Dio esiste, quindi tutto è
opera di Dio, quindi tutto devo accogliere da Dio”,
si forma una valanga di problemi dentro di noi. In questi problemi cominciamo a
capire che la soluzione di essi ci può venire solo da Dio. Ecco, la luce su
questi problemi ci viene solo da Lui. Cioè, Colui che ha formato in noi i
problemi è anche colui che ha in sé la soluzione dei problemi stessi.
Allora si forma in noi il bisogno di cercare Dio, di trovare Dio, per avere la
soluzione dei problemi che Dio ci ha posto, che ci ha formato. È qui che poi si
forma il bisogno di aiuto che ci porterà al Cristo.
Eligio: Cioè, l’esigenza di tenerci sempre più
strettamente legati al Cristo, cioè al Pensiero di Dio.
Luigi: Sì, ma il pensiero di Dio ci porta al
Cristo, come colui che tratta dei nostri problemi, che ci aiuta a camminare.
Altrimenti siamo paralizzati. Abbiamo i problemi, ma siamo paralizzati, non
camminiamo. Noi da soli non possiamo camminare.
Eligio: Però non è Cristo che ci dà il
significato delle cose, ma è partendo da Dio.
Luigi: Certo, Cristo non ci dà il significato.
Cristo ci porta a quella fonte da cui abbiamo capito che ci verrà la soluzione,
il significato di tutto. Cristo è Colui che ci porta alla fonte, cioè al
Padre. Ma a questo punto dobbiamo già aver capito che la soluzione dei
problemi viene dal Padre, però non sappiamo come fare ad arrivare al Padre. È
lì che si forma in noi il bisogno di un aiuto che ci porterà al Cristo. Il che
è tutto ricerca di persone; a questo punto giriamo solo più tra persone, dal
momento che tutte le altre persone se ne sono andate, perché ormai abbiamo
esperimentato che non rispondono. E anche la nostra stessa persona se ne andata, perché “io con tutti i miei salti mortali non
riesco né a trovare la vita, né a trovare la luce”. Ecco che allora, ad un
certo momento, il nostro dialogo personale arriva tra il nostro io e il Cristo.
Pinuccia B.: Sarà in un secondo tempo il dialogo
tra il nostro io e il Cristo, perché possiamo dialogare con Cristo solo quando
lo riteniamo presente, cioè quando ne abbiamo scoperto la Divinità. Se no è una
cosa fredda: possiamo consultarlo, ma come un libro, come una persona del
passato, che è passata, non come una persona viva e presente. Quindi fintanto
che non lo scopriamo come Dio, mentre consultiamo il Cristo, il dialogo avviene
direttamente con Dio, non ancora con Cristo persona.
Luigi: Ma già quando consultiamo il Cristo
storico, abbiamo già presente la persona e dialoghiamo già con questa persona.
Infatti possiamo dire: “Cristo ha detto
così”. Ma allora Cristo è una Presenza.
Anche
tutte le presenze passate sono con noi, non sono passate. Continuano ad esserci
e possiamo dialogare con esse. Quando siamo nel campo dello spirito tutto è
presente. Anche quando parliamo con S. Agostino dialoghiamo con lui. Siamo
con delle presenze, cioè sono anime che hanno detto certe cose. E quello che
hanno detto resta, lo stanno dicendo, perché il problema è attuale. Nel
regno di Dio tutto è presente, non c’è il passato.
Per
noi c’è il pensiero dell’essere; ma nel pensiero dell’essere c’è quella
persona. Quando in noi si è formato un problema spirituale e troviamo un S.
Agostino che risponde ad esso, lui ce lo troviamo presente, nell’immediatezza;
il passato non esiste nemmeno.
Eligio: Però lì non è immediata la presenza
della persona, e quindi nemmeno della persona Cristo.
Luigi: La presenza della persona Cristo,
quando diventa Divina, è certa e immediata. Cioè, quando noi ne scopriamo
la divinità, indubbiamente abbiamo questa certezza, questa convinzione
dell’immediatezza della sua Presenza; ma deve essere una convinzione personale.
Allora si dialoga personalmente con Lui. Ma prima di arrivare a questo, in quanto
trattiamo con Lui, Cristo storico, ce lo sentiamo vicino.
Facciamo
un esempio: molte volte siamo vicini fisicamente a certe persone che hanno
pensieri diversi dai nostri; corporalmente sono presenti, eppure le sentiamo
lontanissime. E perché le sentiamo lontanissime? Eppure sono vicine
fisicamente. Persone invece che sono passate, lontanissime nel tempo, in quanto
corrispondono a quelle che sono le nostre esigenze intellettuali, spirituali,
le sentiamo molto vicine. Come succede? È una illusione nostra? No, ci sono i
due piani. È una realtà.
Abbiamo
la realtà fisica, per cui due corpi sono vicinissimi, e abbiamo la realtà
spirituale che supera immensamente quello che è il rapporto fisico. Per cui
scopriamo che la realtà fisica è solo segno. Ma il segno è ambiguo. Allora l’amicizia
spirituale è al di là di ogni lontananza di spazio e di tempo e la creatura lo
avverte; per cui si sente amica, anche se lontana nel tempo, con una
persona del passato. “Ma come, tu sei amico di uno che è morto?”. Poi, il problema
stesso di Dio ci conferma che Dio non è Dio dei morti. Dio è Dio dei vivi,
perché presso di Lui tutto è vivo. Allora uno incomincia a rendersi conto che
questa presenza che avvertiva spiritualmente è confermata da Dio stesso: c’è
presenza spirituale. E comincia a rendersi conto che questa assenza, perché era
soltanto presenza fisica, è vera assenza, non c’è presenza.
Ora,
portandoci sul piano dell’attualità, se due corpi molto vicini, presenti
fisicamente, non sono presenti, perché nella realtà non sono presenti; invece,
due corpi lontanissimi, per il problema del tempo, non sono affatto lontani nel
campo dello spirito, sono vicinissimi. Perché se vale il primo, vale anche il
secondo. Nel campo dello Spirito la realtà è confermata, la realtà dello Spirito
è quella.
Eligio: Però mentre nel campo fisico c’è uno
scambio di percezione di presenze, sul piano dei rapporti dello spirito, si può
avere presente uno che è vissuto duemila anni fa, ma non si è altrettanto
sicuri che l’altro senta te presente.
Luigi: No, il difetto è solo nostro, non è da
parte loro. Cioè, quelli che sono nel campo dello spirito non sono in difetto,
sono a noi presenti e ci sentono presenti.
Eligio: Ma allora perché piangiamo i morti?
Luigi: Ma perché il difetto è nostro, solo
nostro.
Pinuccia B.: Ma allora dobbiamo avere la
certezza che loro stanno dialogando con noi?
Luigi: No. Chi ci dà la certezza è lo Spirito.
Più noi ci portiamo nel campo dello Spirito, più noi abbiamo questa certezza. Vai
a fare questo dialogo con una persona che non crede in Dio. Cosa ti dice? “Ma tu hai le traveggole, sono storie quelle
che dici … quella che conta è la presenza fisica”. Poi dopo, se la
costringiamo a ragionare, ad un certo momento, per forza riconoscerà che è
vero. Perché se gli dici: “Guarda che tu
puoi essere fisicamente presente, ma ti sarai già trovato in qualche occasione
in cui, presente fisicamente ti sei sentito lontanissimo…”, il ragionamento
è accettato. Quindi se uno approfondisce arriva a capirlo, perché bastano
piccoli passi.
Approfondendo
già passiamo dalla sfera del piano della materia al piano dello spirito. Ogni
piccolo approfondimento ci fa uscire da quelle convinzioni materiali. Però
dobbiamo tener presente una cosa: il difetto della percezione della presenza è sempre
soltanto nostro, non è da parte dell’altro (per cui: “l’altro non dialoga con
me ed io invece dialogo con lui”). No, siamo noi in difetto, perché più ci
avviciniamo a Dio e più ci accorgiamo che l’altro dialoga con noi. Come ad
esempio: più ci avviciniamo a Dio e più capiamo che se pensiamo Dio, non
siamo noi che pensiamo Dio, ma è Dio che si fa pensare da noi.
Non
sono io che mi rendo presente a Dio, ma è Dio che si rende presente a me,
perché tutto è iniziativa di Dio.
Queste
convinzioni si formano quanto più ci avviciniamo a Dio, allo Spirito. E lì
capiamo che il difetto della percezione del dialogo (per cui io sento la
presenza dell’altro, ma non sono sicuro che l’altro sia presente a me), è
difetto solo nostro, perché l’altro certamente è presente a noi, in quanto
l’altro è con Dio.
Pinuccia B.: Piuttosto posso dubitare di una
persona fisicamente presente, che mi sia vicina…
Luigi: Oppure posso dubitare di me, ma non di
chi è passato, perché chi è passato (diciamo “passato” in termini nostri
materiali, di tempo) è con Dio. E chi è con Dio è in tutto presente, è
universalmente presente. Per questo diciamo che chi muore va verso un più.
Per cui sostanzialmente è un errore rattristarci. Noi piangiamo su noi
stessi quando una persona cara muore; ma quella persona in realtà va verso una
vita maggiore, verso un più, perché diventa universale. Ed è presente ovunque
Dio è presente.
Ora,
come noi non dubitiamo che Dio pensi a noi, così non possiamo dubitare che
questa persona pensi a noi.
Possiamo
forse dire: “Io penso a Dio, ma Dio
penserà a me?”. No, non possiamo avere questo dubbio su Dio. Per cui il
difetto è soltanto nostro se dubitiamo che Dio pensa a noi. Su Dio il dubbio
non possiamo averlo, perché certamente Dio pensa a noi.
Eligio: Su Dio no, perché Dio è il Tutto e
quindi comprende anche il mio esistere.
Luigi: E’ logico.
Eligio: Mi resta più difficile accettare che S.
Agostino dialoghi con me, in quanto nelle “Confessioni” lui dialoga con Dio,
non con le creature, sia contemporanee che successive. Trovo perciò difficoltà
sentirlo presente e dire che dialoga con me.
Luigi: Certo.
Pinuccia B.: Cioè, io posso credere che S.
Agostino, se mi collego con il suo pensiero, stia pensando a me, se mi metto in
sintonia con lui?
Luigi: Non è tanto mettersi in sintonia, perché
tu non lo penseresti se lui non si facesse pensare, perché è con Dio. È Dio che
te lo presenta. Ora, il fatto che Dio ti presenti S. Agostino, S. Agostino ti è
presente. Dio non ti presenta l’argomento di S. Agostino, Dio mi presenta S.
Agostino; non so se rendo l’idea, perché presso Dio sono tutte persone. Presso
Dio esistono le persone, non esiste l’avvenimento, l’argomento… Esistono le
persone. In Dio ci sono persone. Dio
è Creatore di persone. Poi ci sono i rapporti tra persone, ma è sempre
presentazione di persone. Allora S. Agostino, in quanto è andato in Dio, è
presente, può essere presente ovunque è Dio.
Pinuccia B.: E quando Dio presenta S. Agostino a
un anima, S. Agostino pensa a quell’anima? Si mette in rapporto con lei?
Luigi: Sì. Il fatto che noi possiamo pensare
qualcosa è perché Dio ce la presenta, ce la fa pensare. Ma noi facciamo sempre
l’errore di considerarci esseri autonomi: io ho la vita, io penso, sono io che…
No, in quanto pensiamo a-, non siamo noi che pensiamo a-, è Dio che ci fa
pensare a-. Noi possiamo sempre essere in difetto, cioè dubitare. Però tutto
quello che avviene in noi e anche attorno a noi è tutto opera di Dio. Quindi è
Dio che ci presenta un avvenimento, un fatto, una persona,…
Non
percependo questo diciamo: “Sono io che
penso”, perché partiamo dall’io autonomo. Invece il nostro io non è
autonomo. Il nostro io è spettatore (Cfr.: Deut.
4,35: “Tu sei diventato spettatore di queste cose, perché
tu sappia che il Signore è Dio e che non ve n’è altri fuori di Lui”);
per cui quando pensa è spettatore di ciò che Dio gli presenta. Quindi Dio si fa
autore di tutto ciò a cui noi pensiamo.
Ripeto,
noi possiamo soltanto essere in difetto rispetto a quel che Dio ci presenta.
Cioè, Dio ci presenta una scena: possiamo curarla o trascurarla, ritenere che
sia opera nostra o delle creature. Un giorno ci dirà: “Ero Io”, e non potremo smentirlo. “Ero Io che te la presentavo, ero Io che ti
facevo pensare quello…”. Noi non
potremo smentirlo: “Signore, io invece
pensavo di essere io”.
Eligio: Quindi ci dirà: “Ero Io che dialogavo con te attraverso S. Agostino”.
Luigi: Sì, in quanto ci presenta un argomento di
S. Agostino, ci presenta la persona di S. Agostino attraverso quell’argomento.
Pinuccia: Quindi non posso dubitare che la
persona S. Agostino, per mezzo di Dio, si presenta a me.
Luigi: Sì, è sempre Dio, si capisce, che
dialoga, ma ci presenta le creature, gli Angeli, ecc.; perché nelle creature,
gli Angeli, ecc., è sempre Dio che opera. Quindi non è S. Agostino autonomo,
perché altrimenti faremmo l’errore di considerare le creature autonome da Dio.
Pinuccia: Però S. Agostino, in Dio, sta pensando
a me.
Luigi: Si capisce. È Dio che attraverso S.
Agostino giunge a me. È Dio che ci mette in rapporto; come nel cielo di Dio
anche noi potremo essere in rapporto tra noi, però sempre attraverso Dio, e
potremo comunicarci l’un l’altro.
Ne
abbiamo parlato con Nino nell’incontro di domenica scorsa, quando parlammo
della conoscenza; sulla capacità di penetrare la conoscenza e come la
conoscenza ad un certo momento resta fissa. Cioè, ognuno di noi fintanto che ha
la possibilità in questa vita di crescere in conoscenza o di rifiutare la
conoscenza, ha la possibilità di aumentare nella capacità di penetrare nella
conoscenza di Dio.
Nell’eternità
avremo questa stabilizzazione di penetrazione. Però Dio ci darà la possibilità
di comunicare e partecipare gli uni con gli altri, sempre attraverso di Lui,
per cui anche quello che uno non ha la possibilità di penetrare
personalmente, lo riceve dall’altro. Non ha la possibilità di penetrarlo
personalmente, di possederlo, però lo riceve, come noi, per esempio, che stiamo
dialogando tra noi: tante cose le possediamo, tante cose le riceviamo per
comunicazione l’uno con l’altro.
Pinuccia B.: Ma a che cosa serve ricevere se uno
non lo può penetrare?
Luigi: Ognuno lo può penetrare per quella
possibilità, per quel tanto di interesse che ha avuto.
Eligio: Quindi potremmo concludere che noi
possiamo essere presenti gli uni agli altri per quel tanto di Dio che avremo
conosciuto e che faremo a nostra volta conoscere agli altri; siamo quel vetro
che lascia passare per quel tanto di Dio conosciuto. In questo senso possiamo
dire che è presente colui che è vissuto duemila anni fa.
Luigi: Ah, sì! Poi teniamo presente che “Dio è Dio dei vivi, non è Dio dei morti”.
Quindi per Dio, lo conferma Gesù, tutti sono vivi. Ma per Dio sono vivi;
dunque, se per Dio sono vivi e per me non sono vivi, allora sono io in errore,
perché Dio è Verità. E se per Dio tutti sono vivi, in realtà tutti sono vivi.
Quindi il difetto è solo mio se ritengo che quel tale non ci sia più.
Dio
non regna su un camposanto, Dio regna su degli esseri vivi. Quindi c’è questa
partecipazione, questa comunione dei santi vicendevole tra noi.
Tutti sono
ancora vivi e presenti.
* * *
N.B.: Il testo, tratto da registrazione
non è stato riveduto dall'autore e
mantiene lo stile discorsivo.