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Dispensa n° 47

Incontro n°246

Domenica di Pasqua 6.4.1980

 

 

 

 

Gv VI,27-V: “Procuratevi non il nutrimento che passa, ma il nutrimento che resta per la vita eterna; quello che il Figlio dell’uomo vi dà, perché è Lui che Dio Padre ha segnato con il suo sigillo”

 

 

Il sigillo del Padre e il sigillo dell’uomo

 

 

Esposizione di Luigi Bracco:

 

Dovremmo ancora restare sull’argomento di domenica scorsa, cioè: “È su di Lui che il Padre ha posto il suo sigillo”.

Propongo di approfondire questo argomento: il segno, che è il sigillo che il Padre ha posto su Cristo, e il sigillo che gli uomini hanno posto su Cristo. Il problema pasquale.

Per capire il mistero di Pasqua, bisogna capire quale sigillo ha posto l’uomo su Cristo. Perché Cristo venne tra noi con la garanzia del Padre, con questo segno di garanzia, con questo sigillo di Verità, che è la parola di Verità che Lui parla. Venendo tra noi, invita noi a riconoscere questo, cioè a preparargli la Pasqua. Infatti l’argomento determinante è questo: “Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua?”. L’uomo, di fronte al Cristo, è chiamato a preparare la Pasqua al Cristo.

Pasqua vuol dire passaggio; quindi passaggio ad intendere l’intenzione del Padre su Cristo. Perché fare Pasqua vuol dire passare ad intendere l’intenzione di Dio nelle cose.

“Se siete risorti non occupatevi più delle cose della terra ma cercate le cose invisibili, le cose che sono nel Padre, presso il Padre”. Cosa sono le cose che sono nel Padre?

È l’intenzione del Padre, l’intenzione del Padre in-. Tutte le cose sono state segnate dell’intenzione del Padre; tutte le creature sono fatte da Dio, tutto è opera di Dio. Dio è il Creatore quindi tutto è opera di Dio. Ed essendo il Creatore, essendo Colui che è, in tutto ciò che fa, non fa altro che manifestare se Stesso. Quindi tutta la creazione è rivelazione di Dio.

Dio non può manifestare altro da Sé, perché Lui è Colui che è, Lui è l’Essere. Altro da Sé è il nulla. Quindi in tutto ciò che Egli fa significa Se stesso. Allora tutte le opere di Dio sono segni di Dio, portano l’impronta di Dio. Tutte le creature sono fatte nel Verbo di Dio, tutta la creazione è fatta nel Verbo di Dio, porta il segno di Dio.

Tutte le cose sono fatte nel segno di Dio. Se sono segni sono parola, ed essendo parola, la parola deve essere sempre intesa non secondo la nostra intenzione ma secondo l’intenzione di colui che la dice.

Se una cosa è di uno, io devo sempre considerarla nell’intenzione di quell’uno, non nella mia intenzione. Se dimentico l’intenzione di colui che possiede la cosa, rubo quella cosa. Devo sempre tenere presente l’intenzione di colui a cui appartiene la cosa.

Siccome tutto l’universo appartiene a Dio, noi dobbiamo sempre tenere presente, sempre cercare l’intenzione di Dio. Succede invece che noi utilizziamo la creazione, l’universo, in base alla nostre intenzioni; per cui se una cosa ci serve la prendiamo senza considerare l’intenzione di Dio.

Siccome Pasqua vuol dire “passare all’intenzione di Dio”, rivestendo i segni di Dio, le parole di Dio, dei nostri abiti, rubiamo a Dio il suo abito. Qui già abbiamo l’introduzione della Passione: invece di riconoscere il segno di garanzia di Dio che Dio ha posto in tutte le cose, noi rivestiamo le cose delle nostre intenzioni. Tutte le cose hanno questo segno di garanzia, per cui: “Tu, uomo, riconosci!”. Ma per riconoscere l’uomo deve passare a considerare Dio.

Ora, tutta la creazione si riassume nel Cristo, e il Cristo ha un segno di garanzia maggiore rispetto alla garanzia che Dio ha posto su tutte le cose. Quindi noi dobbiamo preparare questa Pasqua. “Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua?”. Dove dobbiamo preparare questo passaggio per scoprire l’intenzione del Padre nella sua opera?

 

Ma la conclusione qual è?

Noi mettiamo una pietra sopra il nostro delitto.

Perché noi uccidiamo il Cristo, uccidiamo il Segnato dal Padre. Anziché cercare presso il Padre l’intenzione del Padre, nel suo Figlio (per che scopo ce l’ha mandato?), noi lo carichiamo, lo vestiamo di una nostra intenzione. Quindi anziché cercare la sua Pasqua presso il Padre, noi lo inchiodiamo su una croce, lo mandiamo a morte, lo seppelliamo in una tomba e ci poniamo sopra una pietra e la sigilliamo. La pietra è stata sigillata dall’uomo.

 

 

Conversazione:

 

Eligio: La tragedia per l’uomo è che questo avviene inconsapevolmente.

Luigi: Perché tutte le cose devono essere sempre mantenute unite a Dio. Siccome le cose vengono a noi “segnate” da Dio, non sono nostre, noi non dobbiamo dividerle da Dio, perché sono unite a Dio. Se noi le dividiamo da Dio le mandiamo a morte, distruggiamo tutto, quindi uccidiamo anche noi; ci priviamo della vita, senza rendercene conto. Perché il renderci conto delle cose, il prendere coscienza delle cose, presuppone in noi l’unione con la luce, l’unione con Dio.

Quando noi non riportiamo a Dio, per il semplice fatto che non riportiamo a Dio, già siamo separati da Dio. E non riportando a Dio noi perdiamo la consapevolezza, non ci rendiamo più conto di quello che facciamo. Anzi, scambiamo il bene per male e il male per bene. Invertiamo i valori, perché lontano da Dio non c’è la consapevolezza di quello che facciamo. Lo scopriremo a cose fatte, dopo; ma ormai il delitto è segnato. Prima no! Per poter vedere dobbiamo essere con la luce.

Amalia: Uno non è scusato.

Luigi: Non è scusato, perché non è scusabile dividere la creatura dal Creatore.

 

Eligio: Gesù morendo dice ancora: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Quindi nell’uomo questa inconsapevolezza non è una volontà determinata. Tutto parte da una colpa iniziale di autonomia, la quale produce poi una serie di conseguenze.

Luigi: Ma il peccato originale, la colpa iniziale, sta proprio in questo distacco della creazione dal Creatore, sta nel non riportare. Poi dopo, tutte le altre conseguenze sono ineluttabili. Per cui noi diciamo: “io ho ucciso il Cristo”, anche se siamo duemila anni lontani. Dal momento che sono autonomo, è finita!

Lui muore per salvarci, si offre al nostro delitto; si lascia mettere in una tomba, e lo fa ancora per salvarci. Per questo Lui dice: “Padre, perdona loro …”. Questo mettersi nelle nostre mani e di lasciarci fare tutto da noi è l’ultima carta di Dio.

Dal momento che noi siamo autonomi, Lui si offre alla nostra autonomia, affinché tocchiamo con mano quello che non potremmo toccare con mano altrimenti.

Il sabato santo è un tempo di riflessione sul nostro delitto. I tre giorni nella tomba sono tre giorni di riflessione, come sono gli otto giorni per Tommaso, dopo la sua prepotenza, “Se io non tocco, non vedo, non credo”; otto giorni a macerare nella sua parola, perché dalla sua parola cattiva non si può distaccare. L’uomo non si può distaccare dalle cose che fa, dalle cose che dice, quando le fa e le dice in modo autonomo. Si può distaccare quando le fa con Dio. Ma quando le fa in modo autonomo resta legato. Quindi non si può disunire dal far valere il suo diritto, non si può disunire dalla sua prepotenza, dal suo orgoglio, dalle parole cattive che dice. Quindi quelle parole rintronano nella sua coscienza, pesano sulla sua anima e gli fanno toccare con mano quello che ha detto, quello che ha fatto, la cattiveria che ha avuto. Ed è lo scopo di questo tempo di silenzio.

Eligio: Questo è il sigillo dell’uomo che uccide il Cristo, ma c’è anche il sigillo del Padre?

Luigi: Tutto ha il sigillo del Padre.

Eligio: Nella resurrezione c’è solo il sigillo del Padre.

Luigi: Sì, c’è solo il sigillo del Padre.

Eligio: Ma cosa dobbiamo fare per superare questo delitto che tutti noi commettiamo?

Luigi: Nel giorno del sabato santo, cioè nel tempo di riflessione su ciò che egli ha fatto, dobbiamo morire a noi stessi.

Eligio: Nella resurrezione l’uomo non può più porre il suo sigillo. Il Padre pone il sigillo sul Figlio e l’uomo pone il sigillo sul Figlio fino alla morte, ma dalla resurrezione l’uomo non può più porre il suo sigillo.

Luigi: L’uomo pone il suo sigillo sul Figlio, non sulla parola di Verità del Figlio; non può, perché la parola è superiore. L’uomo pone il suo segno sull’incarnazione, sul corpo del Cristo. Per cui ci sono segni su cui l’uomo può porre il suo segno, può porre il suo pensiero, la sua intenzione; ci sono segni sui quali l’uomo non può porre la sua intenzione. Sui segni superiori l’uomo non può porre la sua intenzione. Sulla parola di Dio l’uomo non può porre la sua intenzione, è segnata dalla Verità e sulla Verità non può porre la sua intenzione. Può negare, può rifiutare, può bestemmiare, ma non può strumentalizzarla. Sul corpo del Cristo sì, perché il corpo del Cristo appartiene alla creazione; invece la parola di Dio appartiene alla Persona Divina. Quindi la Persona Divina non può essere strumentalizzata. Il corpo che ha assunto la Persona Divina può essere strumentalizzato, può essere mandato a morte; viene messo in una tomba affinché l’uomo possa toccare con mano la morte che porta dentro di sé a non tener conto della Persona Divina, a non tener conto della parola di Verità, del sigillo del Padre. Gesù dice: “Voi cercate di mandare a morte me perché le mie parole non penetrano in voi”. Il fatto di non tener conto, di non accogliere la parola divina, porta noi, necessariamente, non possiamo farne a meno, a mandare a morte l’incarnazione del Verbo di Dio, il corpo di Cristo. Però anche il corpo di Cristo appartiene alla creazione di Dio, non è nostro.

Non è che io possa dire: “Il corpo di Cristo è mio! Ne faccio quello che voglio!”, no! Arriva un tempo in cui Dio si riprende tutto, anche tutta la creazione. Quella parola di verità ad un certo momento diventa parola di Verità, cioè si riprende tutto: ed abbiamo la resurrezione.

Tutte le creature ritornano a Dio, sfuggono. La creatura crede di possedere, per cui dice: “Questo l’ho fatto io; questo l’ho posseduto io; questo me lo sono guadagnato io; questo piccolo mondo me lo sono fatto io”. Ad un certo momento Dio toglie, toglie, toglie, per fargli toccare con mano che senza Dio non possiede assolutamente niente, perché tutto è di Dio. Quindi il problema non sta nel possedere, nell’unire al nostro io, ma sta nel riportare a Dio, prima che Dio lo riporti Lui a sé. Perché se Dio lo riporta prima di noi, entriamo in tragedia, siamo messi fuori dal regno.

Noi dobbiamo anticipare il tempo di Dio, perché certamente Dio riporta tutte le cose se a Sé. Ed è logico questo! Perché la creazione è tutta una concessione da parte di Dio, è un prestito che Dio ci ha fatto; dà a noi le creature in modo che possiamo mettere su di esse la nostra intenzione. Possiamo dire “questo è mio”, a parole; ma arriva un momento in cui Dio dice: “No, questo è mio”. E noi potremo solamente dire: “Hai ragione, queste cose sono tue!”. Tutte le cose ci sono date in amministrazione e noi dobbiamo essere fedeli nell’amministrazione. Amministrare vuol dire rispettare l’intenzione del padrone: tutte le cose sono di Dio, allora rispetta la sua intenzione.

Ma per rispettare l’intenzione si deve fare Pasqua, cioè si deve passare dalle cose che si vedono alle cose che non si vedono e cercare l’intenzione del Padre in tutto. Perché soltanto conoscendo l’intenzione del Padre, ci si comporta verso le creature secondo il Padre. Altrimenti ci si comporta soltanto secondo il proprio io. Allora arriva un momento in cui il Signore si riprende di nuovo tutto.

Se credevo di essere intelligente, “Signore, io ti ringrazio perché mi hai fatto intelligente”, (però: “Sono io che sono intelligente”), ad un certo momento il Signore mi rende stupido e stolto per farmi capire che è Lui la mia intelligenza. E se mi unisco a Lui scopro che ciò per cui credevo di essere intelligente è niente, quello per cui credevo di essere volitivo, di avere una volontà ferrea, è niente; credevo di essere capace di amare, di essere fedele e il Signore mi fa sperimentare tutto il rovescio. Pietro dice: “No, noi non ti manderemo mai a morte!”; e il Signore gli fa toccare che lo manda a morte. “No, io non ti tradirò mai!”, e il Signore fa capire loro che lo tradisce.

Anche per noi si ripete tutto. È per farci capire, per rivelarci la sorgente di tutto. E fintanto che noi non ci convinciamo che la nostra intelligenza è Dio, che la nostra fedeltà è Dio, il nostro amore è Dio, la nostra vita è Dio, la nostra pace è Dio, e continuamente cerchiamo presso di Lui tutto, fintanto che noi non capiamo questo, siamo esposti allo spogliamento. È vero che noi spogliamo il Cristo, ma poi il Cristo spoglia noi. È questo è il regno di Dio, è questa realtà di cui noi dobbiamo prendere consapevolezza.

Cristo parla a noi perché noi prendiamo consapevolezza di questo ed evitiamo di fare questo errore, di appropriarci delle cose sue, perché ad un certo momento la sua Verità si afferma. Momentaneamente Lui ce lo concede, affinché noi semmai capiamo che viviamo in casa di Dio e quindi che impariamo a rispettare le cose di Dio; perché se noi impariamo a rispettare le cose di Dio prima che Lui se le riprenda, siamo fatti partecipi della sua vita. Perché noi liberamente, pur avendo la possibilità di tradire, non abbiamo tradito, e quindi siamo fatti partecipi, entriamo personalmente.

Quindi Dio ci offre tutta la sua creazione non perché ce ne appropriamo, ma perché restiamo fedeli, la riconosciamo nella fedeltà a Lui, siamo fedeli a Lui. Restando fedeli a Lui, si ha la possibilità. Avere la possibilità non vuol dire “sei autorizzato a farlo”, avere la possibilità di farlo è soltanto una grazia che Dio ci dà per renderci partecipi, liberamente, quindi personalmente (perché domani non saremo più personalmente partecipi, perché Lui si imporrà, per cui saremo “fuori” personalmente) della vita con Lui, della sua verità. Bisogna imparare a vivere con Lui. Ora, imparare a vivere con Lui vuol dire imparare a operare in tutto secondo la sua intenzione; e per operare in tutto secondo la sua intenzione bisogna aver conosciuto l’intenzione di Dio. Allora Dio viene a noi e ci invita a scoprire, a capire, a cercare la sua intenzione in tutto ciò che Lui ci fa arrivare.

Eligio: E questa è una realtà per l’anima che è giunta a Pentecoste o si può capire prima? Pietro l’ha tradito anche se aveva lasciato tutto per seguirlo.

Luigi: In conseguenza del peccato noi siamo tutti partecipi della morte del Cristo. “Se qualcuno dicesse che è innocente sarebbe menzognero”.

Eligio: Quindi fino alla vigilia della morte del Cristo noi vediamo che Pietro non ha superato il suo io.

Luigi: Anche Tommaso, ancora dopo la morte e resurrezione del Cristo non è morto al suo io. Questo è avvenuto per insegnare a noi che non basta che Cristo sia morto in croce per salvarci. Tanta teologia moderna afferma che “Cristo è morto per te, quindi tu sei salvo; ringrazialo perché Lui morendo ti ha salvato!”. No, perché se ti avesse salvato, non ci sarebbe un Tommaso che dopo che Gesù è morto e risorto, fa il superbo. Se fa il superbo vuol dire che non è salvato, cioè non è stato liberato dal pensiero del suo io. Questo ci fa toccare con mano che Cristo muore per noi, ma si richiede da parte nostra la partecipazione alla sua morte.

Ma cosa vuol dire partecipare? Lui muore per far capire a noi il delitto che portiamo dentro di noi. Partecipare alla sua morte vuol dire morire a noi stessi, con–morire con Lui. Perché se pensando a te stesso sei stato causa di tanto delitto, quello è grazia di Dio per farci toccare con mano l’errore che porti dentro di te. Quindi muori al tuo errore per imparare a vivere nella Verità. Allora, se tu non muori a te stesso, non basta che Cristo sia morto e sia risorto. Tommaso, dopo che Cristo è risorto, fa il superbo. Quindi basta che ci sia un uomo superbo dopo la morte di Cristo (e questa è lezione di Dio), per farci capire che non basta che Cristo muoia. E’ necessario che l’uomo si unisca. Ma affinché l’uomo si unisca, deve aver capito il significato della morte del Cristo. Perché Cristo è morto? È morto per far capire a me che devo morire a me stesso, che devo superare me stesso.

Eligio: E questa sarebbe la scoperta del sigillo di Dio sul Figlio!? Perché il sigillo che mettiamo noi sul Cristo si conclude con la morte del Cristo.

Luigi: Con la tomba, perché noi seppelliamo il Cristo sotto la pietra. La pietra rappresenta i nostri argomenti materiali, le nostre ragioni, i nostri problemi di vita, il problema delle nostre ambizioni, il problemi di lavoro. Questa è la pietra sotto cui noi giustifichiamo, nascondiamo, seppelliamo il Cristo. Ora, per intendere il significato, è logico, Lui si fa opera nostra; facendosi opera nostra ci troviamo di fronte ad un morto. Prima era vivo adesso è morto, per cui non posso dire “Questa è opera di Dio”. Perché per dire “Questa è opera di Dio” devo pensare a Dio. Non posso dire: “Questa è opera di un altro”. Posso solo dire: “Questa è opera mia! Sono io!”.

Eligio: Ma trovo difficile dire che la morte del Cristo è opera mia.

Luigi: Siamo sempre lì: dobbiamo sempre cercare di vedere, di osservare che cosa è che ha mandato a morte il Cristo, quali sono le ragioni, i motivi. Questi motivi è facile trovarli dentro di noi. Non possiamo dire: “È un Pilato, è un Caifa, è un Pietro, è un Giuda”. Osserva i motivi per cui è stato mandato a morte il Cristo.

Pinuccia B.: Materialmente, fisicamente, sono altri che hanno eseguito quella sentenza.

Luigi: Ma quello che avviene materialmente è soltanto segno, è sempre segno di quello che avviene nei rapporti tra me e Dio. Io non posso mai dire: “È il gatto che ha fatto questo; è il cane che ha fatto quell’altro; è il tale che ha fatto questo”, ma devo dire “è sempre Dio che opera in tutto”. Dio è il Creatore, per cui è l’Autore di tutto, è Lui che parla a noi: tutto è parola di Dio. Se tutto è parola di Dio, Dio parla a noi personalmente, quindi noi siamo spettatori delle scene che Dio presenta a noi. Per quale scopo? Per farci capire il rapporto che passa tra la nostra anima e Dio. Non importa che sia successo duemila anni fa o cinque minuti fa; non interessa proprio niente nel rapporto tra la mia anima e Dio. Quello che importa è: sei stato informato? Se l’informazione arriva da milioni di anni non interessa! È l’informazione che conta. L’informazione è parola di Dio. La parola di Dio arriva alla tua anima. In quanto ti è arrivata un’informazione, l’informazione di per sé ti responsabilizza. Non puoi dire: “Ma questo è un fatto che è successo milioni di anni fa”. È parola di Dio. In quanto è parola di Dio tu sei impegnato a cercare l’intenzione di Dio, altrimenti pecchi. Se non cerchi l’intenzione sei in peccato, perché vuol dire che disunisci l’opera di Dio da Dio. L’opera di Dio non è tua! Certamente non è tua! Allora devi unirla a Dio. Se la unisci a Dio cerchi il significato: “Perché Dio mi presenta questo?”, “Perché Dio mi fa arrivare questa notizia?”. Devi passare al significato, perché è Dio che ti sta parlando. Allora, se tieni presente questo, devi sempre cercare l’intenzione di Dio in quello che ti presenta: “Che cosa mi vuoi dire Signore?”. La Pasqua sta lì, sta nel passare sempre a cercare l’intenzione del Padre in tutte le sue opere.

 

Silvana: Hai detto che le parole del Cristo non le possiamo strumentalizzare, ma di fatto le strumentalizziamo.

Luigi: Sì, perché togliamo a loro la verità. Noi possiamo strumentalizzarla nel senso che possiamo anche dire: “Questo è falso”; ma non possiamo convincerci che è falso.

Pinuccia B.: Oppure possiamo travisarle, interpretarle secondo la nostra intenzione.

Luigi: Allora mettiamo il sigillo del nostro io. Quando diciamo che questo oggetto nero è rosso, lo diciamo perché abbiamo un nostro motivo segreto, ma travisiamo la verità. Ma non ci possiamo convincere. La nostra coscienza urla: “Tu sei menzognero”. Perché quando strumentalizziamo la verità, la verità ha un sigillo tale che si afferma su di noi, sulle nostre anime. E se si afferma non la possiamo contraddire; se la contraddiciamo la contraddiciamo con le parole, ma non possiamo convincerci, c’è qualche cosa che dentro di noi urla: “Sei menzognero”. E che cos’è che urla? È la Verità che si è affermata su di noi. Per cui non possiamo convincerci e non possiamo convincere.

Pinuccia B.: Nella strumentalizzazione sì, ma nel travisamento penso che può avvenire. Pensiamo a questa gente che ha assistito alla moltiplicazione dei pani: non è arrivata al significato spirituale del segno, non sono coscienti di essere menzogneri e di avere posto il loro sigillo sul segno che ha fatto Gesù.

Luigi: Un momento, mettiamo in chiaro le cose. Quando abbiamo approfondito il sigillo di verità, abbiamo detto in che cosa consiste questo segno di garanzia da parte di Dio. Il sigillo di garanzia sta nella parola di verità che Cristo dice. Quindi il Cristo è un uomo, si presenta come un uomo come tutti gli altri; per cui non è perché abbia la barba di un certo colore, e che quello sia il sigillo della verità di Dio. Non è perché Lui ha moltiplicato i pani; perché il sigillo di verità non consiste neanche nei miracoli. Non consiste nella bellezza; perché non la bellezza di Cristo, fosse anche il più bello di tutti gli uomini, sia il segno del Padre. La bellezza non salva il mondo, non salva l’uomo. Non è il miracolo che salva il mondo, che salva l’uomo. Gesù stesso dice: “Anche se un morto resuscitasse (il massimo dei miracoli, la sua stessa resurrezione) ciò non basterebbe per salvare l’uomo”. Questo significa che anche il Cristo, risorgendo, non salva l’uomo, da solo.

Quindi non devi porre come esempio il miracolo della moltiplicazione dei pani. Per camminare bene dobbiamo sempre essere fedeli a quello che abbiamo riconosciuto vero e una volta che lo abbiamo riconosciuto dobbiamo accettarlo.

Abbiamo riconosciuto che il segno di garanzia da parte del Padre non sta nella bellezza, non sta nella bontà, non sta nel miracolo, ma sta nella Verità. La Verità come parla a noi? Parla soltanto attraverso la parola, perché la Verità non la vediamo, non possiamo vederla. Quello che vediamo è in superficie; noi vediamo i miracoli in superficie. Ora, tutto quello che vediamo in superficie possiamo rivestirlo della nostra intenzione; invece la Verità è in profondità e giunge a noi solo attraverso la parola.

La parola è un qualche cosa di strabiliante. Quando abbiamo parlato della parola, si è detto che tutto l’universo sta diventando parola: o parola dell’uomo o Parola di Dio. Tutto si trasforma in parola. Come noi vediamo una cosa, subito applichiamo su quella cosa la parola. Però non dovremmo parlare la nostra parola; noi di fronte alle cose dovremmo applicare la parola di Dio.

Noi parlando cosa diciamo? Se andassimo a fondo delle nostre parole, anche dei nomi, vedremmo che c’è la nostra intenzione, c’è un verbo, il nostro verbo. Invece noi dovremmo cercare in tutte le cose il Verbo di Dio, dovremmo applicare a tutte le cose il Verbo di Dio. Ecco, ad un certo momento tutte le cose ci confondono perché sono parole di uomini. E allora abbiamo bisogno di fare tutta un’opera di traduzione; bisogna prendere tutte le parole e ritradurle in un linguaggio nuovo, in una lingua nuova, nella lingua di Dio.

Se impariamo la lingua di Dio ci accorgiamo che tutte le parole diventano luce, sono illuminanti. Invece ascoltando le parole che diciamo noi, parole di uomini, quelle ci accecano, non ci fanno capire. E non ci fanno capire perché c’è l’intenzione dell’uomo. Dicendo: “Questo è bello; questo è buono; questo mi piace”; è sempre un parlare di uomo; e quello non è illuminante. Ciò che è illuminante è la parola di Dio. Per cui bisogna sempre fare questo passaggio: recuperare l’intenzione di Dio. Perché c’è l’opera di Dio: per cui su tutti i segni, i sigilli (e qui la pietra che viene ribaltata), quindi su tutte le parole che gli uomini pongono su tutta la creazione di Dio, ad un certo momento Dio sovrappone la sua Parola: e abbiamo la Resurrezione, e abbiamo la pietra ribaltata.

Maria di Magdala in un primo tempo dice “Hanno portato via il Signore, non c’è!”, parla il linguaggio dell’uomo; va a cercare il corpo di Cristo, la pietra è ribaltata e il corpo non c’è, non lo trova e dice che è l’uomo che l’ha fatto, “Hanno portato via il Signore e non so dove sia”. Ma quando vede il Signore che le parla, capisce. Quindi quello che fanno gli uomini non resta fatto; quello che io dico non resta detto. Ad un certo momento, sulle nostre parole, sui nostri fatti, sulla pietra che abbiamo posto a sigillare la sua morte, Dio opera il suo segno, ribalta la pietra, dice la sua parola, e tutta la nostra parola cade in confusione. Tutto il nostro mondo di parole in cui abbiamo creduto viene ribaltato.

Cristo recupera tutto! Per questo dico che la parola di Dio non può essere strumentalizzata. Può essere strumentalizzata l’incarnazione, il corpo, il segno che è in superficie. La parola invece non la possiamo strumentalizzare, perché arriva a noi con un sigillo tale da non poterla cancellare. “Tu hai sentito la mia parola? È finito! Il tuo mondo è cambiato! Tu non sei più innocente. Un momentino fa eri innocente, perché non avevi ancora sentito la mia parola. Adesso che hai sentito la mia parola non sei più innocente”. Succede un terremoto nella nostra vita. Perché la parola di Dio ci mette a contatto con Dio. La caratteristica della parola di Dio è che ci presenta Dio, ci fa pensare Dio. E dal momento che ce Lo fa pensare, facciamo una scelta: “si” o “no”. Non possiamo farne a meno. Di fronte a quello che la parola di Dio ci propone, e ci propone l’Assoluto, ci propone l’essenziale, non possiamo non dare una risposta; in un modo o nell’altro rispondiamo, siamo responsabili, siamo personalizzati, non possiamo più dire “non sapevo”. “Hai visto!”. L’abbiamo visto soltanto come un lampo, un lampo di luce fotografico. “Hai visto!”. Non possiamo più dire: “non ho visto!”, perché abbiamo visto. Prima potevamo dire “non ho visto”, adesso non lo possiamo più dire. Sì, lo possiamo dire a parole, ma dentro qualcosa urla “hai visto!”. “Sì, ho visto!”. E in quanto abbiamo visto siamo responsabili, siamo legati a quel lampo di luce che abbiamo visto.

 

Pinuccia B.: Gli apostoli dicono a Gesù: “Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua?”, in realtà non è che noi dobbiamo preparare la Pasqua al Cristo, ma siamo noi che dobbiamo fare la Pasqua.

Teresa: Siamo noi che dobbiamo preparare la Pasqua. Siccome Pasqua vuol dire passaggio, non è Dio che passa, ma siamo noi invitati a passare con Lui?!

Luigi: Il passaggio è in Dio, certo. Dio viene a noi per farci passare, non è che Dio abbia bisogno di passare. Proprio in quanto viene a noi, propone a noi la Pasqua. Fare Pasqua vuol dire passare a vedere l’intenzione del Padre. Cristo viene a noi affinché noi facciamo questo passaggio. Noi diciamo: “Cristo è la nostra Pasqua”. Perché? Perché senza di Lui noi non possiamo arrivare al Padre. Cristo è la nostra Pasqua, però Lui venendo a noi, invita noi a fare questa Pasqua, a preparare a Lui questa Pasqua; cioè preparare a Lui il passaggio al Padre. Perché Lui venendo dal Padre ritorna al Padre, però non ritorna al Padre senza di noi. Per cui invita noi a preparargli questa Pasqua. Perché se noi prepariamo questa Pasqua, intendiamo la sua Pasqua. Ma dobbiamo prepararla. Prepararla dove? Prepararla presso il Padre; dobbiamo cioè renderci conto dove Lui va, perché Lui ritorna al Padre. Infatti Gesù rimprovera i discepoli: “Poiché io vi ho detto che vado, voi vi rattristate e non mi interrogate: dove vai?”; cioè: “Avete pensato a voi stessi e non vi siete preoccupati di interrogarmi sul luogo dove io vado”; perché è questo che sta a cuore a Gesù. Il Cristo viene proprio per parlarci del Padre, per farci capire dove noi dobbiamo andare.

Noi dobbiamo fare la Pasqua in tutti i segni, e il Cristo è ancora un segno tra noi. Come “fare Eucarestia”, che vuol dire “rendere grazie”, cioè cercare l’intenzione del Padre in tutte le sue opere. Ecco, questo vuol dire “fare Pasqua”.

“Dove dobbiamo preparare la tua Pasqua? Dove dobbiamo preparare il tuo passaggio?”. E Lui dice: “Andate e troverete una stanza alta”. E la “stanza alta” è il simbolo di quell’infinito, di quell’altezza che portiamo dentro di noi; perché è qui che c’è il Pensiero del Padre, ed è qui che dobbiamo preparare la Pasqua al Cristo.

Invece di preparare questa Pasqua, noi abbiamo preparato al Cristo un’altra pasqua, che è la Pasqua della morte in croce, del seppellimento. Per cui, se noi non prepariamo questa Pasqua al Cristo, prepariamo un’altra pasqua al Cristo, necessariamente, non possiamo farne a meno.

Pinuccia B.: Comunque sia la Pasqua che prepariamo al Cristo è la Pasqua che prepariamo per noi.

Luigi: Sì, è logico, perché Cristo viene per noi. Perché noi da soli non possiamo fare Pasqua. Soltanto se facciamo fare la Pasqua al Cristo, facciamo la nostra Pasqua. Cioè soltanto se riportiamo al Padre, se vediamo il sigillo di garanzia del Padre nel Cristo, allora facciamo Pasqua. Altrimenti Pasqua non la facciamo. Celebriamo il rito, la funzione, ma non facciamo Pasqua!

“Se siete risorti con Cristo, non vivete più per le cose della terra, ma vivete per le cose del cielo, dove Cristo è alla destra del Padre”. Cerchiamo di intendere cosa vogliono dire quelle parole. “Alla destra del Padre” vuol proprio dire vedere l’intenzione, il segno di garanzia del Padre. La destra è proprio il segno di privilegio, il segno di garanzia; è il momento privilegiato, è il luogo privilegiato. Il Cristo è un luogo privilegiato in tutta la creazione. Rispetto a tutti gli altri segni il Cristo è un segno privilegiato, ha una garanzia tutta sua, perché è Parola che parla, è il Verbo che parla tra noi. Tutte le altre cose, per vederle come parola di Dio, richiedono da parte nostra il riportarle al Padre, riportarle a Dio. Il Cristo tra noi è il Verbo che afferma, che parla; anche senza di noi fa giungere a noi la Verità.

Visto che noi non abbiamo unito il segno al Creatore, il Creatore unisce a sé; come farà poi all’ultimo con tutte le cose. Ha sposato per sé un suo segno, e su quel segno ha detto “Questo è mio”, ha posto il suo sigillo, la sua parola.

Pinuccia B.: Il suo corpo.

Luigi: La sua Parola.

Pinuccia B.: Volevo dire che il Padre ha sposato un suo segno a Sé, si è incarnato.

Luigi: Sì, ma attraverso il suo corpo abbiamo la parola che parla. Attraverso l’incarnazione Lui ci fa vedere un corpo; non è che ci faccia vedere una statua. Perché anche una statua sarebbe un corpo. Il Cristo non è una statua, ma è un corpo. E un corpo non è soltanto da guardare, perché non che guardandolo mi salvi; quel corpo parla e parla un linguaggio ben caratteristico, perché il corpo è di uomo ma il linguaggio è della persona divina, la parola è di Dio. È lì il segreto del Cristo: come corpo è uomo e come parola è Persona divina. È la Persona Divina che parla.

Tutte le creature sono corpi, ma nelle creature non abbiamo la Persona divina che parla.

La Persona divina che parla, parla direttamente con me, e mi dice delle parole che sono parole di Dio, non sono parole di uomo. E abbiamo visto che c’è una diversità enorme tra la parola di uomo e la parola di Dio. La sua è parola di Dio, perché in Cristo abbiamo la presenza della Persona divina. Ed è quella parola di Dio che ci impegna nella Pasqua, che ci impegna cioè a passare dalle cose della terra alle cose del cielo.

Quando Gesù ci dice “Non preoccuparti del mangiare e del vestire ma preoccupati prima di tutto del regno di Dio”, c’è la parola di Dio. E noi dobbiamo dire: “Se Dio esiste questa sua parola è giusta: io mi devo occupare prima di tutto di Dio e non mi devo preoccupare del mangiare e del vestire”. Non possiamo incrinare, non possiamo infirmare quella parola.

Eligio: Ma quando mi arriva questa parola di Dio, a me che non conosco Dio, posso dire che è vera, ma non so come fare.

Luigi: Il segreto della parola di Dio è questo: in quanto ti parla ti fa pensare Dio e ti obbliga a ragionare con Dio. Facendoci dire “se Dio esiste…”, questa parola ci obbliga a pensare Dio. “Dio esiste o non esiste?” e ci impegna ad occuparci di Dio.

Se io dico la mia parola superba, devo stare attento, perché mi sto giocando la vita. Perché sono messo di fronte alla parola di Dio, non sono libero. Le parole degli uomini non mi portano alla presenza di Dio, anzi, gli uomini presentano gli uomini, il mondo, la natura. Dio mi riporta in continuazione alla presenza di Dio, e mi dice: “Decidi!”. Come distingui la parola di Dio dalla parola dell’uomo? La parola di Dio ti presenta Dio; e in quanto ti presenta Dio ti impegna ad occuparti di Dio. E Dio è una verità che non puoi negare; non la conosci, però ti impegna a conoscerla.

Eligio: Ma siccome non la conosco, come posso impegnarmi? E poi a volte siamo superbi ma in modo inconsapevole.

Luigi: La superbia nasce sempre da una dimenticanza, da una rottura di una cosa che appartiene ad un altro. Tu dici: “Questo è mio”; adesso lo prendi e te lo porti via. Hai fatto una rottura su una cosa che sai che è di un altro; lì c’è la tua superbia.

L’atto di superbia è sempre una rottura; una rottura in una cosa che noi sappiamo. La creazione non è nostra, le creature non le abbiamo fatte noi; quindi portano un sigillo. Il sigillo di tutta la creazione è questo: le cose non sono tue perché non sei tu che le hai fatte, è un Altro che le ha fatte. Anche se tu non sai chi sia quell’Altro; basta questo! Tu devi rispettare la cosa; la cosa non è tua. E quando fai un atto superbo, ti appropri, cioè metti il tuo nome sulla cosa.

Per esempio: questa cosa è di Nino e io dico: “Questo è mio”. Metto il mio nome su una cosa che non è mia, e faccio una rottura. Lì faccio l’atto superbo, poi questo atto superbo mi condurrà alla rottura.

Amalia: L’ignoranza non è mai scusabile.

Luigi: Non è mai scusabile; è un furto. Non faccio un furto quando ignoro che la cosa è di un altro, ma faccio un furto quando so che la cosa è di un altro. Tutta la creazione è sigillata da Dio con questo segno: “Non sei tu che l’hai fatta”. Questo ci impegna a rispettare, a cercare l’intenzione di quell’Altro che l’ha fatta, anche se non sappiamo chi sia. Qui si sta camminando su un terreno minato, perché il terreno è sacro.

Pinuccia B.: Ma come faccio a dedicarmi a Uno che non conosco?

Eligio: Teniamo conto che noi siamo nati in una società che è basata sul diritto di proprietà, per cui quello che ho è mio. Per cui passare al “tutto è di Dio” è molto difficile per noi.

Luigi: Però se anche fossi l’abitante dell’isola più sperduta di questo mondo, so che il filo d’erba non l’ho fatto io. Anche se io fossi preceduto da millenni di diritto, anche se fossi un essere rozzo al massimo, il filo d’erba non l’ho fatto io.

Eligio: A parte che l’indigeno che vive su un’isola sperduta magari non si pone neanche il problema se ha fatto o non ha fatto lui il filo d’erba; non gli interessa neppure. Non possiamo procedere nelle anime altrui.

Luigi: No, però il fatto è questo: apparteniamo tutti ad una creazione e questa creazione non l’abbiamo fatta noi. Il selvaggio adorerà il sole perché pensa che sia il sole ad aver fatto il filo d’erba. Non potrà scoprire che è Dio che ha fatto il filo d’erba, però certamente si accorge di vivere in un alloggio che non è suo. Perché Dio parla con tutti.

Eligio: Ci sarà un momento di crisi in cui anche il selvaggio capisce che c’è un Altro al di fuori di lui.

Luigi: Il momento di crisi sta in questo: Dio è colui che parla personalmente con noi. Noi siamo alla presenza di Uno che sta parlando con noi e che non possiamo ignorare. La crisi sta lì. “Se Io non fossi venuto e non avessi parlato non sarebbero in colpa ma dal momento che ho parlato…”, qui abbiamo la parola di Dio, il Verbo di Dio che sta parlando. “Io ho parlato” qui nasce la colpa. Perché io non posso ignorare una persona che mi sta parlando. Se una persona mi ferma per strada e mi chiede un’indicazione, io non posso ignorare quella persona che sta parlando con me; si, la posso mandare a quel paese, la posso maltrattare, ma non la posso ignorare. Dio è la Persona che sta parlando con noi; e ci mette in crisi.

Eligio: Ma una anima rozza non può vedere quel sigillo di Verità che hanno persone come noi che per tanti anni cerchiamo di ragionare sulla Verità di Dio. Per cui non può dire: “Non tengo conto di quello, per cui ho offeso la verità”.

Luigi: Non in quei termini, perché quelli sono termini convenzionali. Però non è il consiglio della creatura ma è Dio. Per cui anche se io fossi un selvaggio nel luogo più sperduto, Dio non mi ignora, Dio parla personalmente con me; e in quanto parla personalmente con me io non posso ignorare Dio. Dio è l’Essere che nessuno può ignorare, ma difficilmente si conosce. Nessuno Lo può ignorare perché sta parlando con ognuno di noi. Una persona che parla con me, anche se non so chi sia, non la posso ignorare. Dio sta parlando con ogni uomo personalmente; Dio è Colui che nessuno può ignorare. Però quando l’uomo vive come se Dio non ci fosse, ignorandolo, entra in crisi, perché si frattura, perché va contro se stesso.

Eligio: Ma qual è l’elemento di crisi per cui la creatura prende coscienza che esiste Dio?

Luigi: Dal momento in cui siamo nati Dio parla con noi, perché la nostra stessa nascita è Lui che sta parlando con noi. E in quanto parla non possiamo ignorarlo. È vero che per un lungo tempo della nostra vita riempiamo, attenuiamo questa sollecitazione di Dio, questa presenza di Dio, con altre presenze. Per cui scambiamo la presenza di Dio con altre presenze. Viviamo di uomini, di cose, di affari; però questo non è che ci renda innocenti. Perché Dio ci sta parlando.

Anche se ci siamo riempiti di tutte altre creature, se abbiamo messo la creatura al posto del Creatore, arriva un momento in cui Dio ci toglie quelle creature che abbiamo messo in mezzo, e allora il rapporto con Dio scaturisce. Ma il rapporto esisteva già prima.

Il rapporto che Dio ha stabilito con la nostra anima viene fuori di botto, e ad un certo momento ci troviamo di fronte a Lui. Perché Dio ci toglie tutto quello che prima ci attenuava questa sua Presenza, ma non ce l’annullava; perché avevamo messo altre presenze in mezzo. Certamente Dio recupera tutto e recuperando tutto ci allontana tutte queste creature che abbiamo messo in mezzo. E ci troviamo “a tu per tu” con Lui. E quando scopriamo l’“a tu per tu” con Lui, scopriamo un “a tu per tu” che era fin dall’inizio; per cui è lì che la creatura piange, perché scopre Uno (non è che scopre Uno in quel momento) che è sempre stato con lei, che è sempre stato con sé.

Silvana: Però c’è un momento prima in cui deve dargli fiducia, perché altrimenti resta sempre il dubbio.

Luigi: Certo, la creatura può essere orgogliosa al punto da seppellirsi in un dubbio eterno, perché dice “sono io che penso”. Teniamo sempre presente che il dubbio nasce quando noi opponiamo a Dio, Principio di tutto, un altro principio di tutto che è sbagliato, che sappiamo che è sbagliato. “Io sono creatura, certamente sono creatura, non mi sono fatto da solo”. Quando stabiliamo il nostro io come principio, o del nostro pensare o del mio amare o del mio vivere o del mio ragionare, opponiamo, allora entriamo in dubbio, perché “sono io che faccio, sono io che penso”. Ma certamente mettiamo un altro io, che è creatura. E quindi opponiamo un opposto sbagliato.

Noi dobbiamo sempre partire dal Principio. “Sei tu che hai fatto le cose?”. E per questo basta un filo d’erba. “Sei tu che hai fatto il filo d’erba?”, “No, non sono io che l’ho fatto!”. “Infatti non sei tu che l’hai fatto; a molto maggior ragione non sei tu che hai fatto il tuo cervello, non sei tu che hai fatto il tuo pensiero, allora stabilisciti in periferia. È un Altro che ti ha fatto ed è un Altro che fa. Parti sempre dal Principio, recupera sempre il Principio”. Nel momento in cui ti accorgi che questo Principio si allenta, sospendi tutto e ritorna a recuperare il Principio, perché ti stai seminando il dubbio. Perché il dubbio sorge quando mettiamo come principio una cosa che sappiamo certamente che non è il principio. Qui c’è il peccato.

Se io affermo che questo è nero quando so che è bianco sono in colpa. Non c’è nessuna differenza nel dire “questo è nero”, mentre è bianco, e il dire “questo si è fatto da sé”, o dire “sono io che penso”, “sono io che faccio”. So che non sono io che faccio. Io non mi sono fatto; se non mi sono fatto vuol dire che un Altro mi ha fatto.

Certamente le cose attorno a noi non siamo noi ad averle fatte, è un Altro che le ha fatte. Allora dobbiamo sempre partire da questa posizione. Altrimenti seminiamo il dubbio.

Il dubbio viene dalla parola “due”; vuol dire che noi affermiamo una cosa opposta ad un’altra; allora subentra il dubbio. Le cose non vanno messe una contrapposta all’altra.

Il Principio è uno solo, Dio è uno solo, quindi stabilisci i veri valori: al di sopra di tutto metti Dio. Quindi non sta nell’opporre le cose tra loro ma si tratta di subordinare.

Una delle prime cose di cui dobbiamo preoccuparci è quella di stabilire ordine dentro di noi; soprattutto nei nostri pensieri. Mettere al di sopra quello che va messo al di sopra. Invece noi inconsapevolmente, non è che lo facciamo di proposito, mettiamo come principio altro da Dio. Ad un certo momento siamo in un labirinto, non capiamo più niente. Non abbiamo più un punto fisso a cui appoggiarci nella nostra vita. Perché non abbiamo più questo punto fisso? Perché non abbiamo seminato Dio.

Dio non semina i dubbi. Siamo noi che seminiamo altro da Dio. E siccome diventiamo figli delle nostre opere, se diciamo una parola sbagliata nasce il dubbio. Per cui abbiamo la parola vera (perché la parola vera è superiore a noi, non possiamo annullarla) e abbiamo la parola sbagliata.

Se noi potessimo annullare la parola vera, resterebbe soltanto la parola sbagliata, per cui saremmo sicuri, certi della nostra parola sbagliata. Ma siccome la parola vera non la possiamo annullare, c’è la parola vera di Dio, c’è la mia parola sbagliata, e le due parole sono in contrapposizione. Siamo in conflitto.

Per eliminare il dubbio dobbiamo mettere una parola al di sopra e una al di sotto; cioè dobbiamo derivare una dall’altra, far derivare una dall’altra, dobbiamo subordinare una all’altra. Quindi la certezza è effetto di ordine; l’ordine però presuppone la coscienza di quello che vale più di tutto. Quello che vale più di tutto devo sempre metterlo prima di tutto; è un principio delle cose.

Il Principio si annuncia in tutte le cose. Tutte le cose portano questo segno di Dio: “Non sei tu che hai fatto le cose, è un Altro che le ha fatte”. Ci rivelano il Principio. Quindi tutta la creazione di Dio è la prima vera, grande rivelazione di Dio. Ma che cosa ci rivela? Ci rivela il Principio. Ci rivela il Principio affinché lo mettiamo come Principio.

Certo, se io non lo metto come Principio, semino in me la menzogna. Se non credo che due più due fa quattro semino un errore che si ripercuoterà chissà quanto su di me. Però “tu sapevi”, perché tutta la creazione è rivelazione del Principio. Allora se mi rivela il Principio, devo mettere il Principio al suo posto.

 

Eligio: Ma è necessaria la creazione? Consideriamo una creatura angelica, oppure un neonato che muore prima di prendere coscienza della creazione, oppure l’angelo che della creazione non fa uso; come avviene quella possibilità di superare il punto critico al di sopra del quale l’anima incontra Dio?

Luigi: Dio non ha bisogno della creazione, ma noi abbiamo bisogno della creazione. La creazione è il nostro io; il nostro io è la creazione. Se tu dici “Non ho bisogno della creazione”, allora non esisti più.

Eligio: Ma io dicevo riguardo agli altri.

Luigi: Gli altri sono io.

Pinuccia B.: Ma il neonato non ha un rapporto con gli altri.

Luigi: Non c’è nessuna differenza tra il neonato e l’uomo adulto, l’uomo vecchio; come anima non c’è nessuna differenza.

Eligio: Allora prendiamo ad esempio la natura angelica.

Luigi: Ma anche lì è creazione. La natura angelica è creatura non è Creatore. L’angelo è una creatura, quindi è creazione. Il fatto che questa creatura sia fatta in un modo piuttosto che in un altro non interessa; il problema è: perché esiste la creazione?

Se Dio non crea c’è solo Dio. E Dio non ha bisogno di creare, perché ha una vita in sé indipendente, vive di sé. Se Dio crea, in quanto crea abbiamo Dio e la creatura. Dio crea degli esseri personali, consapevoli, per renderli partecipi di sé. Allora il termine vero della creazione è soltanto: Dio e l’io della creatura. Però tra Dio e l’io della creatura si sono i segni di Dio, nell’io, prima che l’io si superi. L’io per conoscere Dio deve superare se stesso. Dio crea l’io della creatura (che non è la creazione) per renderla partecipe di sé, per manifestare Se stesso. Dio non può manifestare altro che Se stesso, la sua Verità. Però l’io della creatura non può conoscere la Verità nel pensiero di se stessa; la Verità si conosce soltanto nella Verità. Ma per conoscere la Verità, l’io deve prima rendersi conto che deve superare se stesso e deve aderire a Dio più che a se stesso; cioè deve mettere sé subordinato a Dio. Quindi ha bisogno di lezioni di Dio che lo educhino a questa prova. Allora abbiamo: Dio, l’io della creatura e abbiamo i segni di Dio nell’io della creatura, che non sono ancora conoscenza di Dio. I segni di Dio nell’io della creatura sono la creazione.

Eligio: Ma per la natura angelica?

Luigi: C’è una creazione, per forza; che non è la creazione materiale. Ci deve essere una creazione che mette alla prova l’io angelico o l’io della persona umana, in modo che questo io metta Dio prima di tutto, che scelga Dio prima di tutto, che capisca che deve mettere Dio prima di tutto.

Pinuccia B.: Così anche per l’anima del neonato?

Luigi: Ma è così per qualunque cosa. Noi siamo materiali per cui interpretiamo qualunque cosa in questi termini. Maria di Magdala dice “Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l’hanno messo”. L’io del neonato è come un io dell’uomo di novant’anni, di cento anni. L’io è anima, persona consapevole. Questo io, di quest’anima, partecipa di tutti i segni. E’ un problema di tempo: se questo io vive naturalmente, come noi, poco per volta prende coscienza, attraverso il corpo, che esiste Silvana, che esiste Cina, Amalia; poco per volta tocca con mano, attraverso il corpo, prende contatto col sole, con la natura, e scopre. Se muore prima, l’anima immediatamente prende consapevolezza di tutto, perché la creazione esiste; sono segni di Dio. Attualmente l’anima è condizionata dal corpo; siamo noi che ci condizioniamo. Ma l’anima prende consapevolezza di tutto ciò che esiste; non ha bisogno del corpo.

È sempre il solito problema materialistico per cui: come fa uno che vive lontano, in Oceania a scoprire il Cristo? Fintanto che noi viviamo col corpo, ci auto-condizioniamo dal corpo, perché “io credo soltanto a quello che vedo, che tocco con i miei sensi”. Ma dal momento in cui uno di noi muore, la nostra anima prende consapevolezza di tutto ciò che esiste; prende consapevolezza di Dio e di tutto ciò che esiste, di tutto quel che è stato, di tutto quel che è, di tutto quel che sarà, come esistenza. E quindi questo vale anche per il neonato.

Pinuccia B.: La differenza che vedo non è in quello; volevo dire che l’anima del neonato non è condizionata da tutte le opere del suo io; invece l’anima di uno di novant’anni porta un grande peso del suo io.

Luigi: Non c’è nessuna differenza. Noi facciamo un problema di tempo, ma sostanzialmente non c’è nessuna differenza. Perché l’anima prende consapevolezza di tutto ciò che esiste, perché noi facciamo una cosa sola. Attualmente noi conosciamo per parti; ma come l’anima si libera dal corpo, prende consapevolezza immediatamente di tutto ciò che esiste, cioè del “tutto” in cui lei è inserita; è consapevolezza di tutto, cioè di tutte le opere di Dio, che noi attualmente vediamo passate, presenti e future. L’anima prende consapevolezza di tutto perché tutto esiste. Però prendere consapevolezza dei segni di ciò che esiste (e quindi anche del Cristo; e anche l’anima del neonato prende consapevolezza del Cristo, perché il Cristo appartiene alla creazione) non vuol dire già conoscere Dio, già vedere Dio; perché per vedere Dio bisogna superare il pensiero del nostro io.

Pinuccia B.: Dobbiamo pensare che esiste quel “tempo” dopo la morte fisica, in cui l’anima è soggetta alla prova.

Luigi: Ma qualunque creatura, anche l’angelo, necessariamente è soggetta alla prova. Non può farne a meno. In quanto è chiamata a conoscere Dio deve passare attraverso la prova. La prova consiste nel fatto di superare il pensiero di se stessi per mettere Dio al centro. E non c’è nessuno che possa superare quella prova al posto suo. Non c’è nessuno che possa dire: “Beh, tu non pensarci, ci penso io”. Nemmeno il Cristo.

Pinuccia B.: Anche per l’uomo adulto questo superamento dell’io può avvenire un istante dopo la morte.

Luigi: Sì, può avvenire un istante dopo la morte, come per gli angeli che non hanno avuto una vita terrena; però c’è stata la prova. Adesso noi non possiamo giudicare gli angeli, perché questo ci sfugge. Parliamo di quello che possiamo osservare. In quanto esiste una creatura, Dio ha creato una creatura, e l’ha creata per conoscerlo, l’ha soggetta alla prova; non può farne a meno. Una creatura che non sia soggetta alla prova non può conoscere Dio. Infatti abbiamo l’animale che non può conoscere Dio.

La creatura, che è stata creata per conoscere Dio, deve necessariamente passare attraverso questa prova. Non è necessariamente la crisi, ma è la prova di Adamo. Qualunque creatura deve passare attraverso la prova, attraverso la quale consapevolmente quindi liberamente, mette Dio al centro. Lì sta la prova: mettere Dio al centro di sé. Perché siccome la creatura è fatta per conoscere Dio è una creatura consapevole; ed essendo consapevole può mettere il suo io al centro anziché Dio; e lì sta la prova. La prova consiste essenzialmente tra Dio e l’io. I termini estremi sono: Dio e l’io; qui sta la prova. E questa è un’azione essenzialmente libera. Per cui tutti ti possono ammonire, tutti ti possono dire “metti Dio al centro”, ma nessuno lo può fare al posto tuo, nemmeno Dio.

Noi siamo liberi appunto perché siamo consapevoli. Quella che noi chiamiamo libertà consiste nel fatto che noi possiamo pensare a noi stessi, e il poter pensare a noi stessi è la condizione necessaria per poter conoscere Dio. Però Dio non lo possiamo conoscere nel pensiero del nostro io, quindi si richiede il superamento del pensiero del nostro io.

Il superamento del pensiero del nostro io è la prova. Ed è assolutamente necessaria per ognuno di noi, per conoscere Dio. Ed è l’atto fondamentale di giustizia, la giustizia essenziale. Se la creatura non decide nel suo intimo di fare questa giustizia, resta in un dubbio eterno, non ne può uscire. Perché la creatura ha la possibilità di pensare a se stessa, e quindi è contornata da una creazione che le conferma che lei esiste.

Io posso anche distruggermi, posso anche dire di non voler esistere, ma c’è tutta una creazione attorno che non posso distruggere, che mi dice “tu ci sei!”. La creatura che dice “io sono” è convalidata da tutto un orizzonte intorno che la guarda e che gli dice: “Tu ci sei”; e che è opera di Dio. Ma non vede Dio, non può conoscere Dio.

Rina: La proposta può venire coscientemente o anche non coscientemente?

Luigi: L’atto di mettere Dio al centro è sempre un atto cosciente, non può avvenire incoscientemente, perché è un atto essenzialmente personale; è un atto d’amore, un atto essenzialmente personale, è un atto di giustizia, di verità, con cui riconosco la verità di Dio e che io sono creatura. Quindi metto l’io dopo e metto Dio prima; metto il Pensiero di Dio prima di me. Allora ho la possibilità di conoscere Dio e di conoscere il mio io. Ma se metto il mio io prima non posso conoscere né Dio né il mio io. Perché non è che io possa conoscere il mio io; non posso nemmeno conoscere me stesso.

Per cui la creatura che cerca di conoscere se stessa entra in confusione. Se mette Dio al centro ha la possibilità di conoscere Dio e anche il suo io; se mette il suo io al centro semina il dubbio e non può conoscere né Dio né l’io.

Perché nel pensiero del nostro io non possiamo conoscere Dio. Quindi non conosciamo Dio ma non conosciamo nemmeno il nostro io.

 

Rina: Se una creatura si converte all’ultimo momento…

Luigi: Dio fa tutto per convertire anche all’ultimo momento, fosse anche nel momento in cui muore; perché Dio anche la morte la fa per salvare l’uomo. Il che vuol dire che anche all’ultimo istante Dio offre la possibilità. A meno che uno voglia essere stolto, che una volta capito in che cosa consista la verità non la metta prima di tutto e continui a sbagliare.

Per cui se uno non è stolto non aspetta all’ultimo momento a interessarsi della verità. Quando si sente dire: “Ah quello lì ne ha fatte di tutti i colori e poi all’ultimo momento si è salvato!”. Poverino! Vuol dire che tutta la sua vita l’ha sprecata in niente. Per cui c’è da commiserarlo, non c’è da invidiarlo. Per cui questo mina tutta la nostra mentalità.

Rina: Dobbiamo cambiare mentalità.

Luigi: All’inizio Dio presentò ad Adamo tutta la creazione affinché Adamo le desse il vero nome, alla presenza di Dio: l’intenzione di Dio in tutte le cose. “Quello che Adamo diede, quello era il vero nome”. Noi invece diamo tutto un altro nome, perché riferiamo tutte le cose in rapporto al nostro io.

Quando lavoravo in banca, a tutte le cose si dava il nome in rapporto al denaro; e il nome era il nome del denaro; anche le persone valevano per il denaro. Ognuno di noi vede le cose secondo l’angolazione del suo io. E questo è tutto un linguaggio da recuperare, perché altrimenti ci acceca. Perché tutti i nomi che diamo alle cose, siccome sono in rapporto al nostro io, seminano dei dubbi e quindi ci accecano.

Se vogliamo entrare nella Luce dobbiamo recuperare tutte le parole che abbiamo detto, rimangiarcele, e recuperarle secondo Dio, alla presenza di Dio; cioè vedere secondo Dio che cosa significano. C’è tutto un linguaggio da rivedere.

D’altronde, quanto più uno ha peccato, cioè ha messo il suo nome sopra le cose, tanto più se lo deve rimangiare. L’adorazione del vitello d’oro: Dio gliel’ha fatta rimangiare. Dio ha obbligato Mosè a fondere il vitello e a farlo bere al popolo. Sono lezioni di Dio, non per loro, ma per ognuno di noi. Quindi ogni adorazione contraria te la devi rimangiare, quindi è dolorosa!

 

Cina: Il Signore ci offre la sua parola...

Luigi: …che ha la garanzia della verità per ogni uomo, anche per i pagani. Perché anche i pagani che sono stati mandati ad arrestare il Cristo, ma ritornano dicendo: “Nessun uomo ha mai parlato come Lui”. La verità non ha bisogno dell’uomo religioso. Anche il pagano di fronte alla parola di Dio può constatare la verità.

Cina: Questo anelito che abbiamo per le cose vere, purtroppo lo perdiamo…

Luigi: Dobbiamo sempre avere la pazienza di ricollegarci con il Principio. Tutte le volte che ci accorgiamo di perderlo di vista, dobbiamo lasciare tutto per riprendere il contatto con il Principio.

Pinuccia B.: Ci è sempre data questa possibilità?

Luigi: Sempre no! Fintanto che il Signore vuole; il “sempre” non si può dire. Ad un certo momento c’è un salto.

 

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N.B.: Il testo, tratto da registrazione,

         non è stato rivisto dall'autore e mantiene lo stile discorsivo.

 

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