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Dispensa n.36
Incontro n°235
Domenica 20.01.1980
Gv 6,18: “Intanto già
si era fatto buio; Gesù non era ancora tornato a loro e poiché soffiava un
vento impetuoso, il mare si agitava”.
Esposizione
di Luigi:
La volta
scorsa ci siamo soffermati sul ritorno dei discepoli alla prima sponda; e
abbiamo concluso che quando non si comprende non si può trattenere, non si
può restare.
Qui non
avevano compreso o non si erano interessati per comprendere il segno che Gesù
aveva fatto loro; e proprio per questo Gesù si era ritirato solo, in preghiera,
su un monte. E la folla, compresi i discepoli, erano rimasti soli, senza di
Lui. E quando si è soli, senza di Lui, non si può restare sulla sua sponda,
cioè sulla sponda della vita spirituale, della vita eterna; bisogna
ritornare nel mondo, necessariamente si ritorna nel mondo, il mondo di prima
riprende. E questo è significato dal ritorno dei discepoli in barca verso la
sponda dalla quale erano partiti.
Questa
sera proporrei di soffermarci sul fatto a cui avevamo già accennato domenica
scorsa. “Intanto già se era fatto buio; Gesù non
era ancora tornato a loro e poiché soffiava un vento impetuoso, il mare si
agitava”.
Ecco, ci
soffermeremo su questa scena della notte che scende, di Gesù che non è ancora
tornato, quindi evidentemente lo aspettavano e del vento che si alza, del mare
che si agita.
Vorrei
proporre di approfondire se questa scena ha un significato o no, in rapporto
allo stato di anima dei discepoli, dello stato di anima di quella gente, che
era stata tutto quel giorno con Gesù. Vorrei approfondire il rapporto che
passa tra noi e l’ambiente in cui ci troviamo, o meglio, tra l’interiorità e
l’esteriorità, tra ciò che portiamo dentro di noi e ciò che è fuori di noi;
cioè se c’è un rapporto tra queste cose e quale esso sia.
Teniamo
presente che Gesù dice che: “Colui
che fa l’interno è lo stesso che fa l’esterno”. Allora quando invitava a non
preoccuparsi di pulire l’esterno, anzi diceva Voi
siete ipocriti
quando vi preoccupate di pulire l’esterno del bicchiere, anziché l’interno. Già qui metteva in rapporto l’esterno
con l’interno; anzi, stabiliva una dipendenza dell’esterno dall’interno.
Quindi con questo primo insegnamento possiamo già intuire che:
· l’interno rispetto
all’esterno è privilegiato;
·
e che l’esterno non
deve essere tanto curato da noi, perché pulire l’esterno è caratteristica
dell’ipocrisia, cioè del ricercare la figura. Ed è quello che Gesù dice: “Sepolcri
imbiancati, dentro siete tutto marciume, fuori siete tutti puliti”.
Evidentemente
il bicchiere per essere veramente pulito, deve essere pulito dall’interno. “Pulite
l’interno e vedrete che anche l’esterno diventerà pulito” dice Gesù.
Torniamo a
questa scena: abbiamo di fronte avvenimenti naturali: scende la notte, le
tenebre, il vento che soffia, il mare che si agita. Generalmente gli uomini si
fermano a questi eventi, perlomeno li ritengono opera del caso o opera della
natura o fatalità. Quante volte anche noi accettiamo gli eventi come fatalità,
come necessità a cui ci dobbiamo sobbarcare. E la reazione istintiva nostra è
sempre quella di sottrarci alla pressione degli avvenimenti; più che cercare di
intenderli, di comprenderli. Ecco, è proprio il comprendere che ci fa fare un
altro raffronto. Per cui direi che questa è la giornata della comprensione e
delle conseguenze della non comprensione.
Non è che
l’uomo possa comprendere i segni o pretendere di comprendere i segni, ma
costoro sono responsabili per non aver interrogato Gesù per comprendere quello
che Lui aveva fatto loro, per intendere il significato che aveva voluto dare
nel moltiplicare per loro i pani. Già in questo si è rivelato un difetto tale
per cui i discepoli sono costretti a tornare nel mondo di prima.
E ci
accorgiamo che portando il problema sul piano di ogni uomo, come di fronte
all’avvenimento esterno, generalmente l’uomo si impaurisce, o cerca di reagire
cercando di cambiare l’avvenimento esterno, ma non si preoccupa di
comprenderlo.
Ecco, non
possiamo accettare l’avvenimento che accade nella natura, nel mondo o
nell’ambiente in cui ci troviamo attorno a noi, come opera del caso, come opera
della natura, come necessità, come destino, come fatalità. Perché? Perché abbiamo
già visto che Dio, in quanto esiste, non è soltanto il Creatore all’inizio; Dio
essendo fuori del tempo, al di sopra del tempo, è un Creatore universale di
ogni avvenimento, dal più piccolo al più grande.
Tutto è
opera di Dio perché Dio è il Creatore, nulla sfugge alla sua creazione. Quindi
ogni avvenimento che accade di fronte ai nostri occhi è ed appartiene alla
creazione di Dio; quindi non è effetto del caso. È effetto di un Essere
intelligente, libero, con una volontà libera. Quindi l’evento non è necessario,
non è fatale. Allora non dobbiamo considerarlo tale; è opera di un Essere
intelligente che crea e opera; per che cosa? Per dialogare con noi.
Dio opera
per manifestare se stesso, quindi opera per manifestare qualche cosa di sé a
noi. Allora in ogni avvenimento noi dobbiamo sempre cercare di mantenere il
fatto unito a Colui che lo fa, per cercare di comprendere il significato che
Dio vuole manifestarci attraverso questo fatto. Quindi non dobbiamo
preoccuparci tanto degli avvenimenti; perché noi, considerandoli in sé, siamo
portati a considerarli come causa su di noi. Per cui piove: è una causa che
provoca su di noi certi effetti, per cui cerchiamo di ripararci; fa caldo:
un’altra causa. Il mare si agita allora si cerca di arrivare presto al porto: è
una causa che determina su di noi certe reazioni. Invece non è causa, ma
effetto, perché è opera di Dio. E quando ci troviamo davanti ad un effetto non
ci dobbiamo preoccupare tanto di cambiare l’effetto, ma dobbiamo preoccuparci
di arrivare alla causa di esso.
Perché noi
lo vediamo in tutti i campi: quando operiamo solo sugli effetti non è che
possiamo modificare qualche cosa in verità, in realtà; anzi, forse aggraviamo
di più la situazione. Se davanti ad una malattia operiamo solo sugli effetti non
possiamo arrivare a scoprire la causa di essa. Siccome tutti gli avvenimenti
sono opera di Dio, e Dio opera per parlare a noi, tutti gli avvenimenti
sono effetto di qualche cosa nel rapporto che passa tra Dio e la nostra anima;
tra ciò che Dio vuole comunicare a noi e ciò che noi comprendiamo o non
comprendiamo di ciò che Egli ha detto.
Qui ci
troviamo con una situazione ambientale paurosa: la notte che scende, le
tenebre, il mare che si gonfia, il vento che soffia. Ecco, una situazione
paurosa che non dobbiamo considerare in sé, tenendo presente che è Dio che
opera. Anche qui dobbiamo rapportare questa scena, questo fatto ambientale,
all’anima di coloro che si trovavano in questa situazione, in questa scena:
cioè l’anima dei discepoli.
Cosa c’era
nell’anima dei discepoli? C’era l’avvenimento del giorno. E in questo
avvenimento del giorno che cosa c’era?
Teniamo
presente che dobbiamo sempre considerare ogni cosa, perché ogni pagina del
Vangelo è carica di significato, è carica di vita per ognuno di noi, per
insegnare a noi come dobbiamo comportarci riguardo all’ambiente, alla
situazione ambientale in cui veniamo a trovarci, cioè al rapporto che passa tra
il nostro mondo interiore ed il mondo esterno degli avvenimenti; avvenimenti
naturali, incontro con le persone, disgrazie, gioie. In tutte le cose noi siamo
fatti di interiorità e di esteriorità, di tutte le cose che accadono
esteriormente a noi.
Questi
discepoli portavano nell’anima una giornata vissuta con il Signore, ma conclusa
con una incomprensione,
l’opera di Dio non era stata capita. Insisto su questo fatto perché avremo la
versione esatta il giorno successivo, il mattino dopo, che dirà che non hanno
visto i segni, che non hanno capito i segni. Quindi quella giornata si è
conclusa con dei segni non capiti. In conseguenza del fatto che non avevano
capito il segno, sono costretti a tornare nel mondo di prima. Però avviene una
scena di paura. Una scena attraverso la quale l’animo di questi discepoli resta
scosso; tant’è vero che quando Gesù si avvicinerà a loro, lo riterranno un
fantasma. Infatti si vedono i fantasmi quando l’animo nostro è carico di
paure.
Ora,
perché il Signore operò a loro questa scena di paura, mentre c’era questo
ritorno nel mondo di prima? Qui, visto il rapporto che passa tra quello che è
stato e quello che avviene, possiamo intuire che il parlare di Dio assume due
aspetti:
·
abbiamo l’aspetto positivo, l’aspetto attraverso il quale Dio parla
interiormente alla nostra anima, per manifestare se stesso, per farsi
conoscere. L’aspetto positivo è: Gesù con noi che opera. Gesù in quel
giorno operò con i suoi discepoli e operò con la folla, per moltiplicare loro i
pani, per introdurli al desiderio di approfondire la parabola che Egli aveva
fatto loro, perché tutto è parabola di Dio. Per suscitare in loro
un’interrogazione. Allora qui abbiamo un primo parlare di Dio, direttamente con
l’anima nostra, interiormente, in noi, per rivelare Se stesso.
·
Quando
l’anima non si apre all’interrogazione, alla ricerca, e quindi rivela un non
interesse per Dio, e si ferma soltanto ai doni che ha ricevuto, allora il
Signore ha ancora un altro linguaggio: ed è il linguaggio dell’esteriorità:
opera fuori di noi, attorno a noi, per insegnare, per richiamarci
all’essenzialità che abbiamo trascurato.
Se prima
la scena durante il giorno fu: amicizia col Signore, dialogo col Signore,
presenza del Signore tra loro, abbondanza di cibo, tanto da creare
un’esaltazione, da arrivare al punto dal volerlo come loro re. Qui ci troviamo
con una scena al rovescio: con Gesù che non c’è, l’assenza; l’ambiente, invece
di essere un ambiente felice, di pace (c’era molto erba, c’era il riposo, c’era
della vita) è un ambiente che si avvicina alla morte. Tutto questo è segno di
Dio per richiamarli dall’esterno, poiché interiormente non si sono aperti a
Lui, al suo vero problema.
Il
rapporto che passa tra l’interiorità e l’esteriorità è questo: interiormente
Dio parla personalmente a noi per suscitare in noi interesse per sé, in
modo da formare in noi, nella nostra anima, l’interrogazione circa le cose che
Lui dice a noi, e per poterle intendere (perché per poterle intendere bisogna
interrogare). Perché colui che parla a noi non spiega a noi le sue parole se
non vede in noi l’interesse, la fame, il desiderio di conoscere. I doni veri di
Dio, che sono doni di luce, si concludono con il dono di se stesso, la
rivelazione della sua Verità, la vita eterna, vengono dati solo a coloro che
hanno sete e fame di Lui.
Quindi Dio
opera parlando, per suscitare in noi sete e fame, per suscitare in noi
l’interrogazione, il desiderio. Se questo non si forma, Dio opera per farci
toccare con mano che non avendo interrogato, l’ambiente, la scena, il luogo
della nostra vita, si fa pesante su di noi, si fa pauroso, fino a farci
scendere verso la morte.
Quindi non
è che in un primo tempo Dio abbia fatto la morte; non che Dio in un primo tempo
abbia fatto la paura. Non è che Dio in un primo tempo ferisca l’uomo. No, in
un primo tempo Dio opera con l’uomo felicemente. Egli viene a noi con
parole di pace, con parole di gioia,0 come fece in questo giorno moltiplicando
i pani per tutta quella gente, dando loro un luogo con molta erba; un luogo di
pace, un luogo di riposo; Lui presente con loro; ecco, un ambiente sereno, di
pace, di distensione, di libertà, di vita. L’ambiente successivo è già
conseguenza di una colpa. Dio però non abbandona l’uomo alla colpa, e allora
ecco che richiama.
Nel primo
capitolo del profeta Isaia c’è una pagina che è molto eloquente su questo
fatto: Dio rimprovera il suo popolo, dice: “Le
vostre città sono devastate; è tutto una rovina; i vostri campi sono sterili;
voi siete tutta una ferita dalla punta dei capelli fino ai piedi: e ancora non
comprendete? Non so più dove colpirvi”. Il richiamo è questo: “Ancora
non comprendete?”.
Il che vuol dire che tutto Dio fa perché noi comprendiamo; quindi anche
questo buio che scende sui discepoli, che scende nella nostra vita, questo
vento che si alza, questo mare che si agita, non è per incutere paura, ma è perché
noi comprendiamo. E’ Dio che ferisce il suo popolo perché comprenda, perché si
volga verso di Lui. “Voi invece di rivolgere verso di
Me il vostro volto, mi avete volto le spalle”, cioè “siete scappati”; ecco la fuga,
il ritorno cioè alla prima sponda.
(19:15)
Conversazione:
Pinuccia
B.: La volta scorsa si era detto che i discepoli non erano in grado di andare
dietro a Lui; dovevano per forza ritornare indietro, sull’altra sponda.
Luigi: Si.
Pinuccia:
Invece adesso hai detto che Dio dice: “Invece di
tornare indietro avreste dovuto ritornare a Me”.
Luigi: Sì,
è un’apparente contraddizione. Cerchiamo di approfondire.
Amalia:
Non ho capito.
Pinuccia:
Dio dice: “Invece di tornare a Me siete tornati al
vostro mondo, allora patite tutte queste conseguenze”. Invece la volta scorsa si era detto
che non potevano fare a meno di ritornare al loro mondo. Infatti avevo chiesto:
“Come mai i discepoli non sono andati
con Gesù che era salito sul monto a pregare?”. E mi è stato risposto: “Non avendo capito, non potevano andare con
Gesù, per cui sono stati costretti a tornati al mondo di prima”. Ora Dio
rimprovera: “Perché siete tornati?
Perché non siete venuti a Me?”. Ma se non potevano…
Luigi: Si,
qui Gesù fa tutte queste cose perché comprendano. Adesso abbiamo un episodio di
distanza e di ricerca. Anche l’episodio di Giuseppe e di Maria quando
smarriscono Gesù a Gerusalemme è un episodio di ricerca, però la situazione è
opposta: loro ritornano a cercarlo. Riceveranno anche il rimprovero, “Perché eravate angosciati? Non
sapevate?”,
quindi dicendo “Non
sapevate?”,
intende dire “Dovevate
saperlo”.
Quindi noi dobbiamo saperlo dove Lui si trova. Però non sono fuggiti: si
accorgono che Lui non è più con loro, ma non ritornano a Nazareth, non restano
con la carovana.
Qui abbiamo un ritorno che è un po’ il
rovescio di quest’altro ritorno. Se fossero stati Maria e Giuseppe, penso che
sarebbero saliti sul monte a cercare Gesù. Qui invece troviamo i discepoli con
la folla, e ad un certo momento partono tutti, perché “Non c’è Gesù, cosa
stiamo qui a fare? Ritorniamo nel mondo di prima; altrimenti qui si inaridisce:
è un deserto! Non possiamo trovare la vita!”. Con Lui si trova la vita, ma
senza di Lui no! Non si può restare: quindi c’è il ritorno.
Pinuccia B.: E perché non l’hanno fatto?
Luigi:
Perché non erano Maria e Giuseppe. E’ mancata l’interrogazione, non hanno
interrogato Gesù, per cui si sono trovati in una situazione…
Pinuccia
B.: Perché anche se non avessero capito, non sarebbero stati in colpa, ma
poiché non hanno capito e non hanno interrogato, sono in colpa.
Luigi: La
colpa non sta nel non capire. Benché in Isaia venga detto che è colpa il non
capire. La colpa non sta tanto nel non comprendere ma nel non desiderare di
comprendere. Noi non possiamo restare, trattenere un argomento quando non
lo comprendiamo o quando non lo desideriamo, quando non desideriamo
comprenderlo.
La comprensione è dono libero di Dio; è luce, quindi è dono libero di Dio.
Però in quanto Lui parla, si aspetta l’interrogazione, cioè si aspetta che la
creatura si interessi di quello che Lui fa, che la creatura non dica “Grazie
Signore che mi hai dato il pane” e poi se ne va. No! “Io ti ho dato il pane per comunicarti qualche cosa, non per soddisfare
la tua fame materiale”. Ecco, c’era un’attesa, un’attesa disattesa.
C’era un’attesa da parte di Gesù: ha
fatto un miracolo, una cosa meravigliosa, adesso si aspetta che loro dicano:
“Spiegaci, perché hai fatto questo? Cosa hai voluto significarci?”.
Chi ha presente Dio non può fare a meno
di cercare l’intenzione di Dio in ogni avvenimento; chi non ha presente Dio, di fronte
all’avvenimento, o si esalta o ha paura o scappa, cioè reagisce secondo
l’impressione che riceve. Perché il mondo esterno opera su di noi per
impressione, invece Dio opera interiormente per comprensione, per
rivelazione. Però la rivelazione presuppone sempre, da parte della
creatura, l’apertura, il superamento di se stessa, quindi l’interrogazione, il
desiderio di capire.
“È Lui che l’ha fatto! Perché l’ha
fatto?”. “Perché Signore hai fatto questo? Che cosa hai voluto dirmi?”. Abbiamo
detto che tutta l’opera di Dio, tutta la creazione è una parabola; e ogni
giorno che noi viviamo è una parabola che Dio narra a noi. Di fronte alla
parabola di Dio, Dio dice: “Perché non mi chiedi il significato? Io ti ho
parlato e perché tu non ti volgi a Me? Anzi, poiché ti ho parlato tu mi volgi
le spalle!”. Ecco la reazione sentimentale. Perché chi volge il volto verso il
Signore ha interesse per-, interroga, alza gli occhi a Colui che gli ha
parlato. Invece l’altro scappa, volge le spalle, c’è una reazione di
sentimento. Ecco, il Signore ci rimprovera questo, ci rimprovera il non
interesse per le cose che Lui ci fa: “Io
ti ho ferito dalla punta dei capelli fino ai piedi e ancora tu non ti volgi a
Me”.
Quindi Lui non ferisce per punire o per allontanare, Lui ferisce per
richiamare. Ma prima di ferire, Lui parla e parla con gioia.
Lui è venuto con parole di pace: ecco
che abbiamo la moltiplicazione dei pani, abbiamo la giornata serena con Lui, abbiamo
Lui stesso che si interessa di tutti i nostri bisogni. E questo è il piano
iniziale, fondamentale di Dio.
Dio all’inizio non ha creato la morte,
non ha creato la paura, non ha creato la ferita, non ha creato il tormento, non
ha creato l’angoscia. Però anche la paura, le ferite, i tormenti, le
angosce, sono il linguaggio successivo alla prima parola; parola che però
non ha suscitato interesse, interrogazione. Allora Lui richiama attraverso
l’opera esteriore, perché l’opera interiore è fallita.
Pinuccia
B.: Anche se la moltiplicazione dei pani è già un’opera successiva, perché non
avevano già capito la domanda che aveva fatto Gesù, “Dove troveremo il pane per sfamare tanta gente?”.
Luigi:
Certo, vedi come Dio opera per gradi?! Dio opera per concessioni, discendendo,
fino ad arrivare al punto della paura, della morte. Come a dire: “Vicino a Me c’è la felicità, c’è la vita,
c’è la pace, c’è l’abbondanza; cercate prima di tutto il regno di Dio e tutto
il resto vi sarà dato”. Viene a noi. Dio opera così con noi; non opera per
incuterci la paura.
Abbiamo visto che la prima parola è per
sollecitarci a cercare il luogo dove c’è il Padre, il luogo dove troviamo il
pane di vita. Vedi come Dio opera?! Dio opera così. Poi opera sempre più
esternamente, sempre più esternamente, fino a farci toccare con mano che
lontano da Lui, senza di Lui c’è solo morte, c’è solo angoscia, c’è solo
terrore, c’è l’inferno. E anche questo è tutto un richiamo di Dio. “Ecco, tutto il tuo corpo è
ferito; e tu ancora non ti volgi a Me”.
Amalia: Si
può dire che tutto è grazia.
Luigi:
Tutto è grazia, ma tutto sollecita noi a comprendere. “E ancora il mio popolo non
comprende”.
Tutto è grazia in questo senso, perché tutto è opera di Dio. E Dio opera per
salvarci, cioè per portarci alla vita eterna. E la vita eterna è la conoscenza
di Dio. Però a questa conoscenza di Dio non si giunge senza questa fame di Dio,
senza il desiderio di Dio. Dio opera in tutte le cose per suscitare in noi
questa fame, questo interesse. Quando questo interesse non si forma
interiormente, Dio opera intorno a noi con gli avvenimenti. Per cui magari
arriva la disgrazia, il dolore. E’ Dio che colpisce. Non per punire, perché noi
generalmente la consideriamo una punizione, o una fatalità. Ecco l’errore che
noi facciamo. Invece dovremmo prima di tutto, prima ancora di cercare di
ovviare alla disgrazia, alzare gli occhi a Dio, per cercare di intendere il
significato. È lì la causa, perché la causa sta in questo rapporto tra la
nostra anima e Dio; in questo rapporto si è guastato qualche cosa.
Allora “cerca subito di ristabilire
questo rapporto tra la tua anima e Dio; perché quando questo rapporto è sano,
Dio opera moltiplicando il pane, Dio opera facendoti riposare, Dio opera
pensando a te”. E l’anima si sente amata, si sente compresa, si sente guidata e
sorretta in tutto. Invece quando il rapporto si è guastato, cioè l’anima non è
più attenta a Dio, non interroga più Dio, allora Dio opera per richiamarla da
una strada errata, per farle toccare con mano che è lontana dal Signore.
Cosa vuol dire essere lontano dal
Signore? Vuol dire che il pane viene a mancare, vuol dire che non c’è più un
luogo di pace, vuol dire che si incomincia a tremare di paura; tutto che si
agita, l’ambiente che si guasta.
Amalia: Gesù
davanti al cieco dice: “Credete
che costui sia più colpevole di altri?”.
Luigi: Si,
infatti si riteneva che la malattia fosse il castigo per una colpa personale.
Invece noi non possiamo mai giudicare, perché quello a cui il Signore ci fa
assistere, ad esempio davanti a un malato, non ce lo fa assistere affinché noi
lo giudichiamo, perché quello è ancora scena per noi. Cioè noi dobbiamo sempre
tenere presente un rapporto diretto, personale tra Dio e la nostra anima.
Dio sta operando personalmente per ognuno
di noi. Dio non ci presenta dei quadri perché noi abbiamo a giudicarli, o i
malati per giudicare la loro interiorità e l’esteriorità che gli sta attorno.
Ma dobbiamo vederli come scena per noi. Per cui: non giudicare mai, perché
attraverso il giudizio tu scarichi te stesso, cioè devi la lezione che Dio ti
sta dando sull’altro. “Ah ma quello gli è successo perché lui è così!”. No,
prendila su di te la lezione, perché l’altro, così com’è, è ancora parola di
Dio per te. Quindi cerca sempre presso Dio, di comprendere, di interrogare il
Signore, circa quello che ti presenta. Perché Dio sta parlando con te e quindi
vuole che tu lo ascolti personalmente.
Tutte le opere esterne sono per
richiamarci, ed è il tema fondamentale di questa sera. Tutto quello che avviene attorno a
noi, davanti a noi, esteriormente a noi, è per richiamarci ad un rapporto
personale tra la nostra anima e Lui. È opera di Dio per richiamarci a questo
rapporto personale. Tutto il
cristianesimo è fondato su questo punto fisso: Dio abita in te; la verità la
trovi in te; rientra in te stesso.
Quando ti si dice “Rientra in te
stesso”, cosa significa? “Mettiti in rapporto personale, diretto con il tuo
Signore”. “Quando
vuoi pregare entra nel silenzio, nel segreto della tua stanza, chiudi l’uscio e
lì parla a tuo Padre”.
Questo per dire che tutta l’opera esterna di Dio, tutta la scena in cui veniamo
a trovarci ogni giorno, è opera di Dio per sollecitarci ad entrare in questo
mondo interiore che è fatto di questo rapporto personale tra la nostra anima e
Dio. Se questo rapporto personale è semplice, genuino, cioè se in questo
rapporto noi ci rivolgiamo al Signore per cercare di intendere quello che Lui
vuol dirci, allora tutto diventa piano. Perché il Signore stesso dice: “Cercate prima di tutto il regno
di Dio e tutto il resto vi sarà dato”. “Ecco,
i vostri mali spariscono! Foste anche pieni di lebbra diventerete più candidi
della neve!”.
Perché Lui non ha nessuna difficoltà a cambiare tutto di noi. Richiede però
questo rapporto personale tra la nostra anima e Lui. Allora se il rapporto
personale si stabilisce, allora tutto diventa conferma. Quasi che il Signore ti
dice: “Bravo, così andiamo bene, cammini bene. Riposati; ti moltiplico il
pane; ti dò la vita; ti rivelo la mia presenza, parlo con te”. Se non c’è
questo rapporto diretto, genuino, semplice, autentico, ecco che allora Lui è
assente, l’ambiente si guasta, tutto si agita, aumenta il tormento, le paure e
la morte si avvicina. Ma anche questo è linguaggio di Dio per dire: “Non sono
più presente, non sono con te perché tu mi hai trascurato interiormente, non
hai cercato di comprendere”.
Teresa:
Dio crea il sole, crea le belle giornate perché noi ne siamo riconoscenti; però
se noi siamo insensibili alle sue opere, crea la notte; e nella notte noi ci
ricordiamo come era bello il sole, sospiriamo il sole.
Luigi:
Dovremmo chiedere: “Come mai, cosa è successo? Perché è arrivata la notte,
mentre prima c’era il sole?”. Non soltanto non sono stato riconoscente, ma non
ho interrogato il Signore circa quei doni che Dio mi donava; perché Dio sta
parlando, parlando ci significa. Tutte le opere di Dio sono segni, non sono
fatti, non sono cose. Le cose diventano per noi tali in quanto
dimentichiamo che c’è Dio; allora tutto diventa una realtà materiale: le persone
diventano corpi, i segni diventano cose, e noi non dialoghiamo più. E quando
non c’è più dialogo Dio ci richiama al dialogo mutando l’ambiente, facendolo
gravoso per noi. Allora ci chiediamo: “Ma come mai? Prima stavo bene e adesso
sono così? Cosa è successo?”. “Non sei entrato in dialogo o non hai mantenuto
il dialogo con il Signore; perché Dio stava parlando con te e parlava con te
con bontà, felicemente, amorevolmente, ti curava come una mamma cura il suo
bambino, senza farti del male. E come mai tu non ti sei volto verso il tuo
Signore?”.
Ecco, l’ambiente muta, non ci sentiamo
più compresi, non ci sentiamo più in dialogo, sperimentiamo la solitudine.
Teresa:
Anche se Lui non muta non ci fa sentire più il suo amore…
Luigi: No,
Lui non muta, però il dialogo si svolge essenzialmente a tu per tu tra la
nostra anima e Dio. Quando questo rapporto si interrompe tra la nostra anima
e Dio, Dio ci richiama attraverso le cose verso cui ci siamo proiettati
esteriormente. Qui i discepoli si stanno proiettando verso il mondo
esterno, allora Dio scatena nel mondo esterno quello che sta scatenando. Gesù
dice: “Camminate
fintanto che avete la luce; fintanto che sono con voi la luce è con voi”.
“Camminate affinché le tenebre non vi sorprendano”. Vedi che qui le tenebre sorprendono?!
Ora, cosa vuol dire quel camminate?
Se abbiamo con noi la luce, perché dice
che dobbiamo camminare? “Camminate,
interrogate, approfondite, cercatemi perché ho tante cose da dirvi”.
Pinuccia
B.: In realtà questa situazione paurosa, le tenebre, il vento, il mare in
tempesta, rispecchia una dimensione interiore.
Luigi:
Sono segni.
Pinuccia
B.: Sì, ma non sempre è segno, perché io posso essere interiormente unita a Dio
e fuori può scatenarsi la tempesta. Questi segni Dio li fa per farci capire che
siamo staccati da Lui interiormente.
Luigi:
Certo.
Pinuccia
B.: Ma non è detto che l’ambiente esterno rifletta sempre una dimensione
interiore, perché se io sono triste, anche se fuori c’è il sole, io sono
triste.
Luigi: Sì,
se tu sei triste, fuori può splendere il sole e tu continui a essere triste.
Però anche se sei nella tempesta puoi essere felice, perché se tu nella
tempesta vedi la parola di Dio, ti significa qualche cosa di Dio.
Pinuccia
B.: Ah, mi significa qualche cosa di Dio non più di me.
Luigi: No,
Dio in tutto significa se stesso, però in quanto significa se stesso, nel
segno, rivela anche qualcosa di me. Nel segno c’è sempre Colui che fa il segno
ma c’è anche colui che riceve il segno; altrimenti il segno non è più segno per
colui che lo riceve, non è più comprensibile. Se vogliamo entrare in dialogo
con il bambino che gioca a birille, dobbiamo
abbassarci al suo livello, al suo gioco; però poi attraverso il gioco lo
eleviamo al livello che vogliamo noi. Per lui il gioco è la realtà; noi possiamo
adoperare le birille come segno per manifestare
qualche cosa del nostro animo al bambino; adoperiamo le birille
come segno, come mezzo per comunicare. Ma nelle birille
c’è il bambino, c’è qualcosa del bambino, per cui il bambino si ritrova e
ritrova l’uomo adulto che per mezzo delle birille
entra in dialogo.
Quindi Dio opera in tutte le cose per
significare qualche cosa di sé; quindi se il segno fosse soltanto per noi,
non significherebbe qualcosa di sé; se significasse soltanto sé, non sarebbe
più segno, perché non significherebbe qualcosa di noi. Quindi in tutte le
cose ci deve sempre essere, in quanto sono segni, qualcosa della presenza della
creatura e qualcosa della presenza del Creatore. Però ci vuole l’apertura da
parte della creatura.
Pinuccia B.:
Se fuori c’è la tempesta ed io sono felice, che cosa mi significa di me la
tempesta? Di Dio mi significherà qualcosa; ma di me?
Luigi: Ma
anche di te, perché se Dio ti fa arrivare quel segno, se tu stai attenta a Dio,
trovi te stessa nella tempesta e trovi anche Dio. C’è sempre qualche cosa da
capire, anche se tu sei serena dentro. Perché Dio parla e parla personalmente
con ognuno di noi.
Rina: Dio
magari ci manda una malattia.
Luigi: Si,
ma se noi stiamo attenti a Dio, Dio ci manda le cose, non sconvolgendoci la
mente ma illuminandocela; per cui ci fa capire il segno di quello che ci fa.
Quando l’anima capisce, anche se soffre fisicamente, canta di gioia, perché
capisce; si sente pensata, si sente amata. Ho detto tante volte che noi
preferiamo essere colpiti ma pensati, piuttosto che essere contenti ma
trascurati.
Ines:
Queste cose paurose avvengono esteriormente se interiormente non abbiamo
lavorato.
Luigi: Si,
però tieni presente che Dio abita dentro di te; sei convinta che Dio abita dentro
di te? Che Dio abita nell’interiorità dell’uomo? È chiaro questo? E che quindi
il dialogo in cui si stabilisce il rapporto vero tra la nostra anima e Dio è
essenzialmente interiore?
E’ la vera preghiera interiore. Dio
salva noi attraverso questo dialogo interiore. Per cui Dio chiede a noi il
pensiero, questo rapporto interiore tra la nostra anima e Lui. Però c’è anche
tutto il mondo esterno. Allora cosa ci sta a fare questo mondo esterno se
quello interno è l’essenziale? Ha una funzione. E qual è questa funzione? È
quella di richiamarci in continuazione a questa preghiera interiore; perché
noi in continuazione ci allontaniamo, decadiamo. Anzi, se Dio non ci
riprendesse in continuazione (è Lui che con la sua parola ci sostiene),
ritorneremmo in continuazione verso il nostro nulla, cioè verremmo meno a
questo rapporto, a questa interiorità. Noi veniamo meno perché siamo niente.
Ines: Dio
non ci crea solo una volta.
Luigi: Si,
Dio ci crea in continuazione.
Ines:
Quindi noi non abbiamo colpa.
Luigi: No,
infatti non è colpa che esista il mondo esterno. Questo è opera di Dio. Ed è
bellissimo. L’universo è stupendo, è opera di Dio, esterna. Ma proprio
attraverso questa opera esterna, Dio ci crea in continuazione; e opera
fino al giorno in cui saremo capaci di restare con Lui anche senza il mondo
esterno, cioè fino al giorno in cui entriamo nella sua intimità, nella sua
gloria, prima che il mondo sia, senza che il mondo sia, non abbiamo più bisogno
del mondo.
Ines:
Tutte le cose possono essere un aiuto.
Luigi:
Prima c’è stato un giorno con la moltiplicazione dei pani, ed era esterno.
C’era l’erba: “Fateli
riposare”;
c’era molta erba, quindi c’era un luogo di riposo, in quel mondo esterno. Era
un giorno di sole: luce; c’era Gesù con loro. Quindi il mondo esterno
rappresenta la Presenza di Gesù. C’è una giornata buona. Dio viene a noi
attraverso una giornata buona. Quindi tutto l’universo è una giornata buona;
non ci distoglie da Dio, perché è opera di Dio, è Dio che parla con noi, se noi
seguiamo Lui. Però Lui operando così con noi, tende a suscitare in noi uno
sguardo, un atto d’amore, un interesse, un’interrogazione. Ecco, questo è il
rapporto interiore, attraverso cui Dio tende a portarci a vedere che tutti gli
avvenimenti buoni che ci sono stati, come la moltiplicazione dei pani, hanno
avuto la funzione di far maturare in noi un atto d’amore, personale, intimo con
Lui.
Qui è successo che quest’atto d’amore
non è avvenuto. Osea racconta che Dio dice alla creatura: “Io
ti ho raccolta che eri lì tutta coperta di fango, ammalata, ti ho fatto
crescere, ti ho abbellita e quando è stata l’ora di donarti a Me, tu ti sei
data a tutti, ti sei prostituita, anziché amarmi”; è l’episodio della parabola della
vigna. “L’ho curata, l’ho protetta con la
cinta, l’ho lavorata e poi, ditemi voi, gente di Gerusalemme, invece di darmi
uva buona mi ha dato uva acerba”.
Vorrei precisare questo: Dio
attraverso tutta la sua creazione, ed è una creazione continua, il mondo
esterno a noi, tende a formare in noi lo sguardo verso di Lui, questo sguardo
che interroga Lui, perché ha dei doni che non può darci esteriormente.
Tutti i doni che Lui ci dà esteriormente sono ancora niente rispetto ai veri
doni che Lui ha da darci interiormente e che però presuppongono la fame,
l’interesse, il desiderio, l’amore per Lui. Perché se non si forma questo, Lui
i veri doni non li può comunicare; perché noi non possiamo mangiare un pane se
non abbiamo appetito. Allora Dio lavora tutto intorno a noi per formare in noi
l’appetito di quel pane; può avvenire che dopo aver lavorato tanto, l’appetito
non si sia formato. Allora abbiamo la seconda giornata, o la notte con il mare
che si gonfia, con i venti che soffiano, con le tenebre che scendono nella
nostra vita; ancora per richiamarci, per dirci: “Guarda che in te non si è
formato quello che io volevo formare; quello che ho fatto di tutto per formare”.
Ines:
Allora per Maria invece il mondo esterno a cosa serviva?
Luigi: Maria
è voluta da Dio in funzione di una redenzione; come possiamo dire anche del
Cristo. Dio in loro ha fatto tutto per noi. Non è che Maria non abbia sofferto,
non abbia tribolato; e tante cose non le capiva ancora, perché non era ancora
arrivata a Pentecoste. È una creatura privilegiata, costruita ad hoc da Dio,
per insegnare a noi quella essenzialità. Maria è la figura esemplare messa
sulla cima della montagna, per dire a noi: “Guarda che tu devi essere così, la
tua anima deve essere così”; è un campione per ognuno di noi. Dio magari ci
ferisce, ci mette in un ambiente che ci agita, che ci carica di paura, ma noi
non capiamo niente. Noi magari scappiamo, oppure cerchiamo di modificare
l’ambiente in modo che ci incuta meno paura; cerchiamo di proteggerci. E invece
non capiamo che è una lezione di Dio, che chiede a noi, ancora, di volgerci
verso di Lui, per cercare di capire perché fa così con noi. E allora abbiamo la
figura della Madonna, in cima a tutta l’opera di Dio, che rappresenta la nostra
anima, la creatura come deve essere secondo il disegno di Dio. Per cui quando
la Madonna si accorge che Gesù non è più con lei, ritorna a cercarlo a
Gerusalemme. Invece qui i suoi discepoli non erano come la Madonna.
La Madonna è la lezione per dire a noi
che siano nel pensiero dell’io, perché noi nel pensiero dell’io ritorniamo nel
nulla. “Guarda che tu devi essere così! Devi essere disponibile così! Devi
preoccuparti di questo”. Dà a noi la lezione di come noi dobbiamo essere. E poi
abbiamo il Figlio di Dio, che è il Figlio della Madonna, che parla a noi. Però Colui
che parla a noi, richiede da noi il silenzio, l’attenzione, l’interrogazione,
la disponibilità, cioè richiede a noi la Vergine.
La Madonna rappresenta quello che noi
dovremmo essere per ricevere bene le lezioni di Dio, le lezioni ambientali che
Dio crea intorno a noi. Quindi tutto, all’inizio, prima del peccato, e quindi
prima che si formi in noi il peccato, era fatto molto bene da Dio per noi.
Perché? Perché era fatto per suscitare in noi un atto di attenzione, diretta,
personale, d’amore verso il Creatore. Quindi era fatto bene, non c’era niente
che turbasse questo. Quindi non è che ci sia un difetto da parte di Dio nel
fare le cose. Dio ha creato il sole, le stelle, la luna, ha creato le
piante, ha creato l’acqua, gli animali, per suscitare in noi questa apertura
verso di Lui. Tutte le cose dicono a noi: “Cerca il tuo Signore; non siamo
noi il tuo Signore, cerca Dio! Interroga Lui, guarda Lui, conoscilo!”.
Tutte le cose sono fatte molto bene. E
abbiamo la giornata della moltiplicazione dei pani. Però può accadere che in
noi non si formi questo sguardo verso di Lui. Allora abbiamo l’opera
successiva: tutta la natura si guasta. Ed è ancora lezione di Dio per farci
capire che non abbiamo capito.
Ines: Se è
così allora noi siamo tutti infedeli.
Luigi: Si,
noi siamo tutti infedeli; perché la fedeltà è Lui. Fintanto che noi non
impariamo a restare con Lui, in continuazione siamo infedeli; non dobbiamo
stupirci della nostra infedeltà; siamo creature, non possiamo pretendere di
essere perfetti.
Ines: Però
il Signore ha presentato tutto bene.
Luigi: Si,
però non è che questo bene dia luogo ad un fatto automatico; “mi ha presentato
un bel distributore e adesso da questo distributore mi deve venire fuori il
caffè!”. No!
Ines:
Forse Maria sì.
Luigi:
Ecco, Maria sì, e gli altri fanno come possono. Non è automatica la cosa.
Certo, se io ho un distributore automatico, automaticamente eroga il caffè. Tutto
il mondo automatico (e l’esterno è tutto un mondo automatico) è per
formare in noi una consapevolezza, e quindi un atto libero, con cui passiamo
dalla coscienza del nostro io alla coscienza di Dio. C’è questo atto
libero.
Teresa:
Dio ci ha fatto bene e adesso vuole realizzare quello che ha pensato.
Luigi: Si,
però non è che avvenga necessariamente. Non è che necessariamente siamo
salvati. Non necessariamente, perché non è automatico, nonostante tutta l’opera
di Dio. Lui vuole salvarci e fa di tutto per salvarci.
Abbiamo due opere di Dio:
·
abbiamo tutta la creazione di Dio, molto buona, Lui stesso lo
riconosce: “E’
fatta molto bene”.
Ma molto bene per che cosa? Per salvare l’uomo.
·
E
poi abbiamo l’opera di Dio successiva al peccato dell’uomo; cioè all’uomo che
non ha superato se stesso, che si è fermato il suo io. E in questa seconda
opera c’è il Cristo che muore in croce, in conseguenza del peccato; perché
l’uomo si è fermato all’io e non si è aperto a Dio.
Ora, il passaggio dall’io a Dio è un
atto essenzialmente libero, che non si fa senza di noi. Senza di noi si
forma il pensiero di noi stessi, il nostro io; il superamento del pensiero del
nostro io non si fa senza di noi. Tutti ci possono dire: “Superati! Non
fermarti a te stesso!”, ma se noi non ci decidiamo a superarci, non c’è nessuno
che ci possa far superare il pensiero del nostro io.
Teresa: Comunque
non ci dobbiamo scoraggiare; perché se ci confrontiamo con Maria...
Luigi: Ma
un momento, sia ben chiaro: se Dio ha fatto Maria, non l’ha fatta per Maria,
non l’ha fatta per farci dirci “Io sono capace a fare questo!”. Dio ha fatto
Maria per noi; questo vuol dire che ci offre la possibilità di diventare come
Maria.
Spiritualmente parlando dobbiamo
diventare come Maria; perché non si entra in Cielo senza questa purezza.
Se non arriviamo a dire “Sia
fatta di me secondo la tua volontà, secondo la tua parola”, come disse Maria, in Cielo non
entriamo. Perché in Cielo si entra in quanto si è completamente dipendenti
da Dio. Il regno di Dio richiede questo, la conoscenza della Verità
richiede questa sottomissione, in modo da nascere da Dio. E’ una nascita da
Dio. E come si nasce da Dio? “Si
faccia di me secondo la tua parola”! Quindi non secondo le mie parole, non secondo le parole che
mi dicono gli uomini ma “Secondo
la tua parola”.
È la creatura che si dispone a nascere da Dio.
Teresa:
Noi dobbiamo essere disponibili ad essere secondo Dio, ma non ci può essere
spazio alla disperazione.
Luigi: Un
momento: la disperazione può esserci se dimentichiamo Dio, se trascuriamo Dio.
Teresa: Se
non vogliamo aderire.
Luigi:
Però noi possiamo anche ritenere di essere in grado, di far conto su noi
stessi, “Sono io che mi devo dare da fare”. No! Tu fai conto su Dio! Aderire
vuol dire tener conto di Dio, pensare Dio. Con Dio non c’è assolutamente
disperazione, perché con Dio, anche la disperazione è opera di Dio, per cui non
è più disperazione.
Teresa:
Si, ma parlando terra-terra in cui io mi trovo, posso disperarmi.
Luigi: Per
quanto tu possa essere terra-terra, hai la possibilità di pensare Dio. Se hai
la possibilità di pensare Dio, hai la possibilità di superare ogni disperazione,
perché la disperazione inizia quando non hai più la possibilità di pensare
Dio. Siccome Dio è con noi in ogni situazione, possiamo essere nella
situazione più disperante, ma Dio è con noi. Perché Dio è dappertutto; in
quanto è dappertutto, dà a noi la possibilità. Non è detto che noi facciamo,
però Lui dà a noi la possibilità di agganciarci a Lui.
Noi possiamo agganciarci a Dio, possiamo
pensare Dio in qualunque situazione in cui ci troviamo. Se possiamo pensarlo, possiamo anche
trovarlo, perché Dio opera per salvarci.
È solo nel pensiero del nostro io che,
trascurando Dio, le cose diventano tragiche in noi.
Teresa:
Quindi non dobbiamo invidiare Maria.
Luigi: No,
l’invidia è nel pensiero dell’io.
Pinuccia
B.: Se Dio ci avesse fatti tutti come Maria, non è detto che…
Luigi: Dio
ha fatto Maria per noi.
Pinuccia
B.: Non possiamo chiederci “Come mai non ci ha fatti tutti come Maria?”. È per
capire qualcosa di più.
Luigi: Dio
ha fatto Maria per noi.
Pinuccia
B.: Ma Dio l’ha lasciata libera.
Luigi: Per
favore: Dio ha fatto Maria per noi. Capisci cosa vuol dire?! Quindi non
giudicare Maria, e non invidiare Maria. Prendi Maria da Dio. Dio ha fatto
Maria per noi. Non ce l’ha presentata affinché noi avessimo ad ammirare Maria,
ad invidiare Maria. Maria è per noi. Lui l’ha fatta per noi, per salvare noi.
Quindi non l’ha fatta perché noi avessimo ad invidiare lei. “Io ti ho presentato come deve essere la tua
anima; come deve essere tua madre; te l’ho presentata; per darti la possibilità
di salvarti!”. È l’Immacolata Concezione che Dio ha di ognuno di noi. Cioè:
è il disegno puro che Dio ha per ognuno di noi nel volerci, spiritualmente
parlando, come anima.
Dio ha fatto la Madonna per noi. Come Cristo
è venuto per noi. Per cui il problema non sta nell’imitare Il problema sta nel
capire la funzione di quello che Dio ha fatto per la nostra anima. Perché anche
Maria è opera, quindi è parola di Dio per noi, affinché noi ci volgiamo a Lui
per capire. Lui vuol essere compreso in quello che ci fa. Lui vuole essere
conosciuto.
“E ancora il mio popolo non
capisce?”.
Tutto il rimprovero sta lì: “Perché
non capite?”. “Nelle vostre cose siete stati intelligenti; perché non siete
altrettanto intelligenti nelle cose mie?”. È il rimprovero di fondo, perché
rivela questa mancanza di amore, questa mancanza di attenzione, questo peccato
originale.
Teresa:
Non abbiamo nessuna scusa!
Luigi: No,
non ci sono scuse. Chi avanza delle scuse non ha amore. L’amore non si scusa.
Il vero amore non si scusa mai. Anzi, trova sempre il difetto. L’amore si
riconosce sempre in difetto.
Teresa:
Dio opera per interiorizzarci.
Luigi: Si,
Dio opera tutto per interiorizzarci. Ci dice: “Passa sempre dall’esterno al tuo
interno; e nel tuo interno entra in rapporto personale con Dio; cioè supera il
tuo stesso interno per dialogare con Dio, per rivolgerti a Dio”. E’ il
linguaggio essenziale, è il processo intimo della salvezza, ed è il processo
che opera il Cristo attraverso la morte di sé, che è poi la morte al nostro io,
per portarci a Pentecoste. E la Pentecoste è proprio questa scoperta
interiore della Presenza di Dio in noi.
(1:01:50)
Silvia:
Dobbiamo prendere esempio dalla Madonna.
Luigi: Si,
perché lei è il prototipo e quindi ha una lezione molto profonda per ognuno di
noi da comunicarci. Certo, se noi non la teniamo presente, tante cose le
perdiamo per strada; perché se ci chiedessero: “Come si comporterebbe la
Madonna?”, salta subito in evidenza questo fatto. Però la lezione essenziale
della Madonna è proprio questo capire la lezione che Dio volle e vuole darci
attraverso sua Madre, la Madonna; che si concentra poi in questo: la Madonna
essenzialmente ha detto solo due frasi. La Madonna ha detto all’Angelo: “Si faccia di me secondo la tua
parola”;
poi agli uomini: “Fate
tutto quello che Egli vi dirà”. Tutto il resto è silenzio. Sì, c’è il Magnificat.
Questo
deve essere il linguaggio essenziale della nostra vita: verso Dio: “Si
faccia di me secondo la tua parola”; verso
gli uomini: “Fate tutto quello che Lui vi
dirà”
(non “che io vi dico”, ma “che
Lui vi dirà”).
E’ questo rivolgere tutta l’attenzione verso Dio, non a se stessa. “Non
guardate me”.
La Madonna, quando è intervenuta con il
Signore, il Signore ha dato delle lezioni molto severe come figlio, verso sua
madre, che sembrano quasi assurde. A dodici anni ha dato una rispostaccia; alle
nozze di Cana ha dato un’altra rispostaccia; e quando Maria e i parenti si
presentano a Lui per dirgli: “C’è fuori tua madre”, Lui ha dato un’altra
rispostaccia. Tutto questo l’ha fatto per noi, l’ha fatto per insegnare a noi,
perché se Lui avesse valorizzato il rapporto figlio – madre, noi avremmo
valorizzato il rapporto figlio – madre come un rapporto assoluto, da arrivare a
dire: “io devo ubbidire a mia madre prima di tutto”. No! Prima di tutto tu
devi guardare a Dio. E nemmeno devi assolutizzare i rapporti più sacri che
Dio ha stabilito. I rapporti madre, padre, figlio, genitori, sono rapporti
stabiliti da Dio, sono rapporti sacri, eppure: “Non vivere per-”. Gesù stesso
non è vissuto per sua madre, pur essendo sua madre; per non mettere in noi il
dubbio, il principio di un errore.
Noi dobbiamo guardare essenzialmente a
Dio. “Chi viene a
me e non odia suo padre, sua madre, i suoi parenti, non è degno di me”. Privilegiare sempre questo rapporto
personale tra noi e Dio. “Uno
solo è il tuo Maestro; guarda sempre a Lui, volgiti sempre a Lui”. Ci vuole questa essenzialità. E la
Madonna in sé insegna questo: apertura alla parola di Dio e a guardare Dio.
Basta, tutto lì! Tutto il resto sarà poi il Verbo di Dio a parlare; ma la
creatura, come creatura, deve avere in sé questa attenzione a Dio. Perché (e
questo sembra quasi assurdo) Dio ci ama personalmente, non ci ama come massa,
come umanità. “Siamo tutti uomini”, non ci ama così. Ci ama personalmente, ci
chiama personalmente per nome, tratta personalmente con ognuno di noi, e per
ognuno di noi crea tutto l’universo, fa tutte le cose per ognuno di noi e le
muove personalmente per ognuno di noi. Non è morto per l’umanità o per una
nazione, ma personalmente “per me”. E vuole che noi consideriamo tutto
quello che Lui fa, personalmente “per me”.
Non dobbiamo dire: “Questo l’ha fatto
per gli altri”, oppure: “Questo l’ha fatto per tutti”; no! L’ha fatto per te! E
solo per te! E vuole che consideriamo tutte le cose sempre in questo rapporto
personale con Lui; bisogna imparare a dialogare con Lui.
Il problema della salvezza non è un
problema di dottrina, di nozioni, di teorie, è un problema di rapporto
personale di dialogo a tu per tu tra noi e Lui. La salvezza viene da questo
rapporto personale. Per cui bisogna imparare a ascoltare Lui personalmente e a
dialogare con Lui personalmente. Quindi a raccogliere e a riferire tutto a Lui
per ricevere da Lui la luce su ogni cosa che Lui ci fa o che Lui dice a noi.
Perché Lui chiede a noi questo. Gesù stesso ad un certo momento dice: “È necessario che Io me ne vada
perché altrimenti lo Spirito non può venire in voi”. Quasi a dire: “Io ti ho condotto fino alla Sorgente; adesso mi ritiro perché tu possa
bere personalmente alla Sorgente e gustare quanto è buono il tuo Padre”; e
Lui stesso si ritira, si mette da parte, perché noi possiamo attingere
direttamente. Vedi l’opera che fa il Signore con noi?!
Teresa: Se
si toglie Lui per non ingombrare, tanto più tutte le cose devono passare.
Luigi:
Pensa un po’! Quindi bisogna imparare, capire come ognuno di noi non deve
ingombrare questo rapporto tra l’anima e Dio. Anche tra l’anima degli altri e
Dio. Non dobbiamo metterci in mezzo. “Stai attento, non metterci le mani,
perché lì c’è Dio che sta parlando personalmente con l’anima!”. Quindi se Dio
ci chiama a dire qualche cosa, a dare un aiuto, si deve dare sempre in questo
rispetto essenziale di un luogo sacro.
Ogni creatura è sacra; ma perché è
sacra? Perché c’è Dio presente che sta parlando con lei. E’ lui il Maestro, non
sei tu il Maestro. Tu tutt’al più fai il bidello, ma non sei l’insegnante. Il
Maestro è Lui! Quindi eventualmente puoi invitare l’anima e dire: “Fa
attenzione che il Maestro sta parlando; fa tutto quello che Lui ti dirà;
ascolta, cerca di capire quello che Lui ti dice”. Questo può essere l’aiuto, ma
non dobbiamo mai metterci in mezzo al dialogo che Dio sta facendo personalmente
con l’anima.
Teresa:
Maria ha detto: “Si
faccia di me secondo la tua parola”.
Luigi:
Certo, perché l’unica parola che lei può dire agli uomini è “Fate tutto quello che Lui vi
dirà”;
perché lei ha fatto e fa tutto quello il Signore le dice, cioè c’è questa
apertura.
Amalia:
Pensavo che il nostro linguaggio dovrebbe essere come quello della Madonna.
Luigi: Si,
con due frasi risolve tutta la vita; due frasi essenziali. Basterebbe adoperare
quelle due frasi davanti a tutto il mondo. Non c’è bisogno di dire tante
parole.
Teresa: “Fate tutto quanto Lui vi dirà”, ma se Lui parla continuamente, come
facciamo?
Luigi: Lui
parla in continuazione perché se tacesse un istante noi cadremmo nel nulla.
È la sua parola che ci sostiene, che ci dà vita e ci porta alla presenza del
Padre. La sua parola è una scala su cui noi ci possiamo appoggiarci per salire
dal nostro nulla al Cielo di Dio. Ma se Lui non parla ci mancano i gradini; non
possiamo salire. C’è solo da ringraziare che Lui parli in continuazione, perché
noi ci sosteniamo solo sulla sua parola.
Pinuccia
B.: Pensavo a questa scena: al buio, al vento, alla tempesta e anche a Gesù che
non è ancora venuto. C’è questa attesa. Ma c’è sempre nell’anima questa attesa
che Gesù venga?
Luigi:
Ritengo che sia abbastanza sbagliato il fatto di aspettare che Gesù venga;
perché sono loro che dovevano andare a Gesù.
Pinuccia
B.: Ma loro danno quasi per scontato che Lui venga.
Luigi: Si,
infatti quando Lui viene lo scambiano per un fantasma.
Pinuccia
B.: Quindi non lo aspettavano.
Luigi:
Gesù non erano ancora tornato a loro, quindi lo aspettavano. Perché Gesù stava
operando tutto quello per attirarli a sé. Perché noi possiamo anche illuderci,
o possiamo anche pretendere che Dio venga a noi mentre siamo noi che dobbiamo
andare a Lui. E Dio fa tutto perché non siamo ancora andati a Lui. Lui è sempre
con noi. Il difetto è sempre nostro. Il difetto non è da parte di Dio; non è
Lui che manchi all’appuntamento, siamo noi che siamo sempre in difetto verso di
Lui. Lui c’è sempre.
Teresa: “Il mare era agitato perché
soffiava un forte vento”.
Luigi: Ah
beh, quello è naturale. Bisogna che soffi il vento perché si agiti il mare; se
il vento non soffia le onde non si formano. Trovi strano che ci sia questa
dipendenza?
Teresa:
Avrei capito meglio se dicesse: “Il mare era agitato perché Gesù non era ancora
con loro”.
Luigi: Si,
il mare si agita in conseguenza del vento, prima c’è il vento. Il vento è
quello che si scatena nella nostra vita, è quello che ci porta via.
Teresa: Lì
c’è l’agitazione, lì c’è il mare agitato, perché c’è il vento.
Luigi: Il
vento è quello che ci porta via. Adesso tu chiedi una significazione. In natura
il mare è agitato in quanto c’è il vento che soffia. Ma anche questo, in quanto
Dio l’ha fatto, ha una certa significazione. Questo per dire che l’agitazione
nella nostra vita è la conseguenza del soffiare di certi venti. Ma i venti
si scatenano quando per noi Dio dorme, quando per noi Dio è assente. E allora
c’è qualcosa che porta via. Per cui non possiamo resistere alla pressione
dell’avvenimento stesso. Si scatenano delle forze, degli avvenimenti, dai quali
noi non ci possiamo sottrarre e che agitano poi la nostra vita. Chiamiamolo
pure lo spirito del mondo. Perché quando per noi non c’è la presenza di Dio,
restiamo in balia degli elementi del mondo. Della figura nel mondo, ecc. E
quello ci agita.
Teresa:
Perché c’è una cosa che fa scattare l’altra.
Luigi: Ah
sì, è tutta una dipendenza. Per cui noi non possiamo resistere. Invece Dio è
luce, Dio è la calma; incomincia la notte, per cui incominciamo a sentire
bisogno di guardare il mondo, perché altrimenti ci sentiamo morire, quindi di
ritornare alla sponda di prima. Ma più ci volgiamo verso le creature e più
soffiano i venti, cioè siamo in balia dello spirito del mondo che ci porta alla
morte. E’ un lavorio di morte. È la morte che incomincia a lavorare su di noi. Dio
è ordine, è luce, è pace, è vita.
Pinuccia
B.: In un’altra pagina Gesù paragona il vento allo Spirito di Dio.
Luigi: E poi
c’è anche il vento dello Spirito di Dio. C’è un vento dello Spirito e c’è un
vento del mondo. Il vento del mondo è una significazione. Soltanto che, trascurando
Dio, tutti i segni di Dio diventano contrari a noi; mentre con Dio, tutte le
opere di Dio sono favorevoli a noi. Separati dallo Spirito di Dio tutte le
opere di Dio, tutti i segni, i frammenti, diventano per noi motivo di
dispersione, di rovina, di distruzione nostra. Eppure sono ancora opere di Dio;
ma siccome Dio opera per richiamarci ad una cosa che abbiamo trascurato, ecco
che questi ci portano alla rovina. Perché se presso di Lui c’è la pace, c’è la
felicità, è logico che lontano da Lui ci deve essere l’infelicità,
l’inquietudine, il tormento. Ma anche il tormento, l’infelicità, l’inquietudine,
sono un segno di Dio per dire a noi: “Guarda che sei lontano da me”. Perché se
noi, essendo lontani da Lui, trovassimo la felicità, la gioia, la pace, sarebbe
una grande rovina; non ci accorgeremmo di essere lontani da Lui. E allora
sprofonderemmo nell’inferno senza rendercene conto.
Eligio:
Sulla sponda del mondo sono andati i discepoli; e tutta la folla che ha
assistito alla moltiplicazione dei pani che è tornata sull’altra sponda?
Luigi:
Arriva, arriva! Vedremo dopo che arrivano, arrivano tutti.
Eligio: Ma
perché anche i discepoli sono andati sull’altra sponda?
Luigi:
Forse perché i primi, sono i più vicini; forse per dirci che quand’anche
fossimo molto vicini, siamo i primi a sentire il bisogno del mondo; perché non
possiamo restare là dove non vediamo più Gesù, non vediamo più il Signore. Là
dove c’è il Signore, fossimo anche in un deserto, troviamo sovrabbondanza di
vita; ma là dove non c’è il Signore, fossimo anche in un giardino, non
possiamo restare, perché troviamo in tutto un motivo di sofferenza, di
tristezza, di morte. E allora dobbiamo chiedere aiuto alle creature, dobbiamo
tornare nel mondo di prima, non possiamo farne a meno.
Eligio:
Penso che la Madonna sia un passaggio necessario, perché ci vuole una
disponibilità totale interiore per poter generare il Pensiero di Dio.
Luigi:
Certo, sono tutti passaggi, pasque, per portarci alla vita vera, alla vita
eterna, che è poi questo rapporto personale con il Padre.
Teresa: Si
ripete sempre la parabola del tralcio staccato dalla vite.
Luigi: Si,
è sempre la stessa lezione, perché lo Spirito che parla è uno solo. Parla lo
stesso Spirito con linguaggi diversi, per convincerci sempre di più; la
creazione è molteplice ma lo Spirito è uno solo. L’essenziale è quello.
L’essenziale non è rimediare, scappare dal sole, scappare dalla pioggia, dalla
terra, dal fango. L’essenziale non sta lì! Perché anzi, tutto ti aiuterà, se tu
sei unito alla vite, a produrre i frutti. Ma se sei staccato dalla vite, per
quanto tu cerchi di rimediare, di scappare dal sole che ti fa seccare,
dall’acqua che ti fa marcire, per quanto scappi da una cosa cadi nell’altra;
perché il difetto è altrove. Bisogna convincerci di questo: “Senza di me non potete fare niente”, quindi “non preoccuparti di altro, ma preoccupati di essere con me”.
Eligio:
Gesù è sempre presente con me, dovunque e comunque. Qui invece vediamo che Gesù
si sottrae a loro. Quindi non possiamo dire che Gesù è sempre presente.
Luigi: Gesù
è sempre presente però noi sperimentiamo l’assenza.
Eligio: Ma
come fa ad essere presente se Lui andando solo sul monte loro restano soli?
Luigi:
Tieni presente che tutto quello che fa Gesù lo fa per noi, e lo fa
immedesimandosi in stati d’animo che passiamo noi. Per cui siccome noi
sperimentiamo l’assenza di Dio, nella presenza di Dio, perché Dio è sempre
presente, ma non sempre noi siamo presenti a Lui. Perché? Perché basta che
noi facciamo qualcosa in modo autonomo, un pensiero, una parola detta secondo
il nostro io, senza tenere presente Dio, che questo ci divide da Dio, ci fa sentire
l’assenza di Dio; sperimentiamo l’assenza. Nota che noi sperimentiamo
l’assenza nella presenza di Dio. Perché per sperimentare la presenza
dev’esserci la sintonia degli animi.
Quando il mio animo è in sintonia con
Dio, sperimento la presenza di Dio. Perché la presenza è la sintesi di due
fattori; non basta che Dio sia presente.
Noi siamo tutti presenti attorno al
tavolo, ma non è detto che tutti siamo presenti l’un l’altro; perché ognuno col
pensiero può essere chissà dove, ed essere assente. Per cui noi siamo presenti
fisicamente ma il nostro pensiero può essere altrove. Ora, Dio è sempre
presente con noi, ma noi siamo assenti. Allora sperimentiamo l’assenza; per
cui Lui parla e noi siamo chissà dove. Allora in conseguenza dell’esperienza di
questa assenza, Cristo ci presenta delle scene in cui Lui è assente; per farci
capire cosa succede quando Lui è assente. Ora, dico che Lui è assente come
quando dico che il sole gira intorno alla terra; mentre non è vero che il sole
gira intorno alla terra. E così qui è lo stesso. Lui si assenta, ma non è
perché Dio si assenti da noi, ma perché siamo noi che ci assentiamo. Allora,
per farci toccare con mano quello che si sperimenta con la sua assenza, in modo
che noi ci ritroviamo, Lui si assenta e ci fa vedere le conseguenze. Noi le
conseguenze le subiamo perché siamo assenti da Dio. “Sappi che se le tenebre
crescono nella tua anima, sappi che è segno della tua assenza da Dio” e quindi
è un richiamo per dirci: “Fai presto!”.
Teresa: È
un’assenza sì e no perché Lui continua sempre a pensarci.
Luigi: Dio
è sempre presente; non è presente sì e no. Non c’è luogo, ma neanche
nell’inferno, che Dio non sia presente. Siamo noi che sperimentiamo
l’assenza. Perché siccome noi diventiamo figli delle nostre opere, se le nostre
opere non sono secondo Dio, queste opere creano la distanza tra noi e Dio. Ma
Dio non è distante. Siamo noi che siamo distanti.
Nella Bibbia è scritto: “Sono le vostre colpe, sono i
vostri peccati che hanno creato i muri di distanza tra me e voi!”. Perché noi diventiamo figli di opere,
di fatti, di pensieri, di parole non secondo Dio. Ma questo succede già tra le
persone. Quando uno pensa in modo diverso dall’altro, parla cose diverse
dall’altro, si crea assente all’altro; anche se è nella stessa famiglia, anche
se è vicinissimo. Eppure si creano muri di distanza. Con che cosa? Basta avere
una mentalità diversa, un pensiero diverso e già si creano le distanze. Il
padre magari è vicinissimo al figlio e invece il figlio è lontanissimo dal
padre. Ma perché? Perché le distanze avvengono sul piano dello Spirito. La
presenza, la vicinanza è una sintesi della presenza di due fattori; non basta
che ci sia uno presente, bisogna che l’altro sia presente come il primo è
presente. Ecco perché dico che Dio, essendo presente a noi, opera affinché
noi siamo presenti a Lui come Lui è presente a noi. Lui ci ama prima di
noi; ma opera nel suo amore, affinché noi lo amiamo come Lui ama noi; affinché
siamo una cosa sola, affinché siamo dove Lui è.
Lui è
presente dappertutto e vuole che anche noi siamo presenti con Lui, ma si
richiede questa sintonia. Fintanto che questa sintonia non c’è, noi
sperimentiamo l’assenza. E allora abbiamo lezioni di assenza nel mondo.
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N.B.: Il testo, tratto da
registrazione,
non è stato
rivisto dall'autore e mantiene lo stile discorsivo.