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Gv 5,13: 13Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse;
poiché Gesù si era allontanato dalla folla raccolta in quel luogo».
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
L'argomento
che stasera il Signore ci offre per la nostra meditazione e approfondimento lo
traiamo dal versetto 13. Colleghiamolo con l'argomento di domenica scorsa, cioè
con l'interrogazione che i farisei fecero al paralitico guarito da Gesù: “Chi è quell’uomo che ti ha detto: prendi il tuo letto e cammina?”.
Gli
avevano chiesto chi era che gli aveva ordinato di prendere il lettuccio, poiché
quest’uomo, ai loro occhi, stava violando la legge. Qui il Vangelo ci dice che il
paralitico non sapeva chi fosse Gesù, e dà una ragione strana poiché
dice: “non sapeva chi fosse, perché Gesù si era
allontanato dalla folla”.
È
su questo argomento che dobbiamo soffermarci.
Ogni
scena del Vangelo contiene una lezione per la nostra vita personale, poiché è
scena presentataci da Dio, è lezione di Dio. Dio parla personalmente ad ognuno
di noi. Cerchiamo di vedere che cosa Dio voglia insegnare a noi presentandoci
un uomo che è stato guarito (quindi ha avuto la vita da Gesù), che stava
camminando, ubbidendo a Colui che l'aveva guarito e ubbidiva in modo tale da
resistere all’autorità dei Farisei, che rappresentavano l'autorità della Legge,
presa alla lettera (come abbiamo visto la volta scorsa), con tutte le
conseguenze.
Quest’uomo,
guarito da Gesù, che ha ricevuto la vita da Lui, che incarna
La
folla è un motivo di conoscenza e di individuazione.
Quando
Gesù si allontana dalla folla, noi non sappiamo più chi sia.
Ecco
la lezione da approfondire, le domande da porci:
1) Che cosa
significa questa folla?
2) Quand’è che
per noi Gesù si trova in mezzo alla folla?
3) Quand’è che
per noi Gesù non è più tra la folla?
4) Perché Gesù
che in un primo tempo viene in mezzo a noi tra la folla, in un secondo tempo, non
si fa più trovare tra la folla?
Ognuno
faccia un po’ di meditazione personale (per almeno cinque minuti) preceduta da
queste due preghiere di Sant’Anselmo: “Io non oso
Signore penetrare la tua abissalità, poiché non
ritengo assolutamente rapportabile ad essa il mio intelletto. Io desidero
soltanto comprendere in qualche misura la tua Verità che il mio cuore crede ed
ama”.
“La mia anima si tende per
vedere di più e tuttavia non vede altro che tenebra oltre ciò che vede. O no! Essa
non vede tenebra, poiché in Te non vi è tenebra, ma vede che non può vedere di
più a causa della propria tenebra”.
Ora fermiamoci
sugli argomenti presentati:
1) Che cosa
significa questa folla?
2) Quand’è che
Cristo viene in mezzo a noi con la folla e ci guarisce, ci dà la vita? (per cui noi possiamo aver ricevuto la vita e non sapere chi
ce l'ha data)
3) Quando Gesù si
allontana dalla folla e ci mette nell’ignoranza, nella notte, nella tenebra?
4) Qual è lo
scopo, la funzione di questo suo allontanarsi dalla nostra folla, per cui noi
non lo conosciamo più?
5) Inoltre
chiediamoci: quand’è che noi conosciamo Dio in rapporto alla folla?
6) Quand’è che la
folla non ci dice più niente nei riguardi di Dio? E quale sia lo scopo? Poiché lo
scopo ci fa intravedere l'opera e i tempi di Dio in mezzo a noi.
È
l'argomento dell’illuminazione, argomento della conoscenza, attraverso la quale
Dio ci porta alla conoscenza essenziale.
Prima
c’è una conoscenza relativa (conosco in rapporto alla folla), poi si arriva
alla conoscenza essenziale.
Pensieri tratti dalla
conversazione:
Rina:
Bisognerà lasciare la folla.
Luigi:
Infatti lui lascerà la folla e Gesù lo ritroverà nel Tempio. È per
questo che dico che è un argomento molto bello.
Pinuccia
B.: Dio parla fuori (la folla) e parla dentro (Tempio, interiorità). Tutto il
linguaggio di Dio “fuori” è il linguaggio relativo al nostro io, nel nostro io.
La folla rappresenta il parlare di Dio fuori di noi, che è un invito ad entrare
“dentro”. Gesù entra nella folla e guarisce il paralitico dicendogli: “Levati!”,
cioè invitandolo a guardare in alto, all’interiorità. Però la “folla”, Gesù
nella folla, non può far altro che ripetere quest’invito; non ci può dare di
più. Questa è la funzione della folla, cioè di tutto ciò che Dio ha messo
attorno a noi, fin dall’infanzia. Se accogliamo quest’invito, ad un certo punto
dobbiamo distaccarsi dalla folla, per poterci incontrare con Dio.
Luigi:
Per incontrarci bisogna staccarci. Però qui si dice che Gesù prima che noi
ci distacchiamo se ne va dalla folla, cioè non lo troviamo più.
Pinuccia
B.: E’ proprio per obbligarci a cercarlo altrove.
Luigi:
Quindi Lui se ne va via! Il che vuol dire che nella folla non c’è più. E cos’è
questo passaggio?
Pinuccia
B.: E’ lo stesso passaggio che propone quando dice: “E’ necessario che io me ne vada”, come presenza fisica.
Luigi:
Proprio così. Teniamo anche presente le parabole dei talenti e delle mine, in
cui si dice che “il Signore se ne andò in un
paese lontano per ricevere l’investitura del Regno”. È molto
profonda questa affermazione: Lui si allontana dalla folla per ricevere
l’investitura del Regno, l’investitura dei cuori.
Nino:
Che cosa intendi per investitura dei cuori?
Luigi:
Quand’è che un cuore dice: “Tu sei il mio Re”? Intendo la dedizione, l’apertura.
Pinuccia
B.: Se ne va per “obbligarci” a fare anche noi questo passaggio.
Luigi:
Ecco, Cristo se ne va per “obbligarci” a trascendere.
Pinuccia
B.: Ci lega a sé e poi se ne va.
Luigi:
Quindi Dio ci lega a Sé prima che noi lo conosciamo, dandoci la vita,
guarendo i nostri mali, parlando nel nostro io. Il nostro io è fatto di folla,
fatto di tanti. Lui parla nella nostra molteplicità, nel nostro mondo
(la folla è il nostro mondo) e noi lo conosciamo in relazione al nostro mondo. Però
c’è una ben altra conoscenza. La maggior parte di noi passa tutta la vita
vivendo della prima conoscenza. Anche quando dice di credere in Dio, vive solo
della conoscenza di Cristo in relazione alla folla, “uno fra i tanti”.
Pinuccia
B.: Ma se Lui non si fa più trovare, si può ancora parlare di conoscenza?
Luigi:
Se non si fa più trovare è perché ci chiede di andare oltre.
Pinuccia
B.: Eppure se noi stiamo tutta la vita nella conoscenza della “folla”, è perché
ci illudiamo di conoscerlo; non percepiamo che Lui si è allontanato, se no lo
cercheremmo altrove.
Luigi:
Certo, noi non percepiamo nemmeno l’esistenza di un’altra conoscenza.
Crediamo che tutta la conoscenza, che tutta la realtà sia lì.
Pinuccia
B.: Ma allora cosa vuol dire “rimane nella prima conoscenza”? Vuol dire che Lui
non si è ancora allontanato?!
Luigi:
No. Lui si allontana; siamo noi, come i farisei (perché questo è rapportato
all’argomento di domenica scorsa) che rifiutiamo di andare oltre. I farisei
credevano di essere con Dio, e, abbiamo visto, non riescono più nemmeno a
vedere l’opera di Dio, non riescono più a vedere il miracolo, avevano svuotato
la Legge dell’interiorità. Abbiamo detto che quando la Legge non ci porta a
cercare Dio, la legge stessa ci mette in conflitto con Dio.
La
folla, se non ci porta a cercare Dio, ci porta in conflitto con Dio; così tutte
le opere di Dio. Dio è presente nelle sue opere. Ma se l’opera di Dio è
svuotata di anima, resta a noi il guscio e il frutto lo perdiamo. Noi
crediamo di trattenere la vita, l’essenziale, la Verità, e abbiamo tra le
nostre mani soltanto un guscio vuoto, la scorza.
Nino:
Rimaniamo con le creature e non cerchiamo Dio.
Pinuccia
B.: Così perdiamo anche le creature.
Luigi:
E crediamo di essere con Dio. I Farisei credevano di essere con Dio. Difendevano
Dio e mandavano a morte Dio. Mandavano a morte Dio, perché avevano già ucciso
Dio dentro di sé. Ecco l’illusione che si può formare in noi. Il che vuol dire
che il principio della Verità in noi e quindi la liberazione dall’erranza,
dall’illusione è sempre il Pensiero di Dio.
Se la legge
non ci porta a cercare Dio, ci mette in conflitto con Dio e ci porta ad
uccidere Dio, perché già l’abbiamo ucciso dentro di noi: non abbiamo infatti
messo Dio prima di tutto, non abbiamo cercato Dio.
La legge ci è
stata data per cercare Dio. Noi l’abbiamo presa come lettera, come regola di
vita e l’abbiamo imposta agli altri, e abbiamo perso Dio. Quando perdiamo Dio,
cioè quando non teniamo conto di Dio, uccidiamo Dio. Facciamo infatti fuori Dio
dalla nostra vita; ci resta la regola ma non Lui!
A che vale
avere tante regole di vita, tanti bei principi e non avere Lui? È come avere
tante fotografie di una persona amata, ma non la persona amata. È meglio avere solo
Lui solo e non avere nessuna fotografia.
Emma:
Gesù viene in mezzo a noi che siamo dispersi in tanti pensieri terreni (la
folla). Ci porta il desiderio della pace, che si trova solo conoscendo Lui,
perché per Lui siamo stati creati.
Eligio:
La “folla” può significare il parlare esterno di Dio a noi, ma io l’ho pensata
come somma di individualità e quindi di volontà che possono anche essere
staccate da Dio e che, operando autonomamente, creano dispersione, disorientamento
o addirittura opposizione a Dio. Da questa dispersione ci raccoglie Gesù,
sempre in mezzo alla folla (cfr. guarigione del paralitico). Cristo è sempre
nella nostra dispersione per guarirci e darci la possibilità di accedere
alla vera vita (questa è la funzione dell’incarnazione), ad un rapporto
personale. Spiritualmente ho paragonato la folla al terreno sassoso o spinoso
della parabola del seminatore, in cui la parola di Dio muore. L’incontro
personale con Gesù che ci coglie in questa dispersione (malattia) ci dà la
possibilità di scoprire dov’è il terreno buono o il luogo in cui c’è l’Autore
della vita.
Luigi:
Cioè, Lui si allontana da questo nostro primo terreno.
Eligio:
Viene esclusivamente perché la nostra dispersione è arrivata ad un punto tale
da costringere Dio a manifestarsi fisicamente in mezzo a noi, per la nostra
incapacità di portarci là dove Lui abita. Ma quando incontra la disponibilità
(cfr. Andrea e Giovanni: “Dove abiti?”) ci porta a
vedere dove Lui abita (“Venite e vedete”), cioè dov’è
quel terreno che è al di fuori della folla.
Luigi:
La presenza di Dio tra noi è dinamica. Lui viene tra noi, scende nel
nostro mondo, però non rimane. Viene e ci precede. E siccome ci precede, per
noi c’è la notte; perché ogni suo passaggio crea in noi una tenebra, una
notte. Così accade che in un primo tempo, lo troviamo e siamo contenti e siamo
illuminati, poi ci troviamo di nuovo persi e piombiamo nella notte. Ma la
notte c’è perché Lui ha fatto un passo avanti ed noi siamo rimasti fermi al
luogo di prima. La sua azione è dinamica in quanto ci porta alla vita
eterna.
La vita eterna è un rapporto personale, e quindi è
entrare in quella vera conoscenza che è vita eterna. Qui scopriamo che come ci
sono due vite, due nascite, due pani, due acque (come abbiamo visto nelle
conversazioni precedenti) così ci sono anche due conoscenze. C’è la
conoscenza di Dio, del Creatore, in relazione a tutto il nostro mondo (e questa
non è la conoscenza essenziale), ed è la conoscenza tra la folla, una
conoscenza relativa; per cui lo conosciamo in quanto “eccolo là”. Ma come facciamo
a dire “eccolo là”? Lo diciamo in quanto è in relazione a tutti gli altri.
Dicendo: “nessun uomo ha mai parlato come Te”, lo confrontiamo
con tutto quello che dicono gli altri. Ma è sempre un uomo tra tanti. Questa è
una conoscenza relativa. Quando diciamo: “Dio esiste, è il Creatore di tutte le
cose”. Lo conosciamo perché “Creatore di tutte le cose”, cioè lo conosciamo in
relazione a tutte le cose. Esistono le cose, Lui è il Creatore delle cose. Questa
non è ancora la vera conoscenza, perché se non ci fossero le cose non
conoscerei Dio. No, Dio non è in funzione delle cose.
Piuttosto dobbiamo
arrivare al punto in cui conosceremo le cose in funzione di Dio; ed è l’altra
conoscenza. Dio ci chiede di entrare nella
conoscenza di ciò che Egli è in Se stesso, non di ciò che Egli è in
rapporto alle cose.
“Dio è colui
che mi ha guarito!”, allora se tu non fossi guarito non conosceresti Dio. “Dio
è Colui che mi ha creato”, allora se tu non esistessi non conosceresti Dio. No,
Dio opera in mezzo a noi (crea il mondo, la folla), per portarci a conoscere
ciò che Egli è in Sé. Lui supera il mondo, supera la folla e ci invita ad
entrare in ciò che Egli è.
È il passaggio
dall’essere con Dio al vivere in Dio, a penetrare in Dio, nell’essenza
della Vita divina. Perché qui ritroviamo la conoscenza eterna.
Riconoscendo Dio
per quello che Egli è, ci agganciamo alla Vita eterna, cioè alla Verità
immutabile; quella Verità di cui parlava S.Anselmo e
di cui le nostre tenebre ci impediscono di vedere di più. Le nostre tenebre,
non le sue, perché Dio è Luce. Ma la troppa luce sua impedisce a noi di vedere,
ci acceca. Qui scopriamo la nostra debolezza: sono le nostre tenebre che
impediscono di godere di Lui. Anche per vedere abbiamo bisogno di Lui. Ma
Lui c’è e ci purifica fino ad allargare la nostra anima a quella dimensione da
poter contemplare il suo Infinito.
La nostra
anima è fatta per contemplare l’Infinito, ma il suo Infinito è ciò che Egli
è in Sé, la sua gloria. Gloria di ciò che Dio è in Sé stesso, non di ciò
che Egli è in funzione delle cose che abbiamo o che riceviamo.
Eligio:
Ed è questo il passaggio più difficile?
Luigi:
E’ il passaggio più difficile. A questo punto possiamo dire che Cristo aveva
guarito quel paralitico, ma non l’aveva ancora guarito, in quanto ci sono
due guarigioni.
Nino:
Lui avrebbe potuto fermarsi a quanto aveva ricevuto, considerando Dio come colui
che ci dà la fortuna in terra. Se Lui non si trascendeva e non si recava al
Tempio, non poteva riconoscere il Cristo.
Eligio:
Son sempre due passaggi.
Nino:
Come ci sono due pani, due acque, ecc.
Luigi:
Sì, è la meraviglia dell’opera di Dio; perché ci fa scoprire come Dio regna tra
noi. Molte volte crediamo di averlo trovato, perché scopriamo il miracolo,
perché Dio ci ha dato questo, ci ha fatto trovare quell’altro, perché Dio è
buono, ma è una visione incompleta di Dio, relativa all’io. Dio parla nel Pensiero di Dio.
Nino:
Per tanti anni per pregare Dio dovevo avere qualcosa che mi angustiava.
Luigi:
Perché conoscevi Dio in funzione di-. E’ necessario questo, è il primo passo.
Nino:
Quello su cui Dio viene ad agganciarci.
Luigi:
Eh già, ci aggancia.
Eligio:
Cioè, la folla.
Luigi:
Per cui possiamo capire anche tutto il significato dell’incarnazione e perché
il Verbo di Dio si fa uno di Noi. Praticamente significa tutta l’opera del
Regno di Dio. Dio ci aggancia in quel modo; poi, agganciati, incomincia la
tribolazione, ma ormai siamo agganciati.
Nino:
La salvezza sta nel non rifiutare almeno quel minimo.
Luigi:
Certo.
Eligio:
Se si rifiutasse, si rimarrebbe folla, nella dispersione.
Emma:
Abbiamo bisogno di una religione. Si parte da una religione naturale.
Luigi:
Tutto è religione. L’uomo è religioso per natura, perché è tutto
inserito in un programma religioso.
Nino:
Può farsi degli idoli.
Luigi:
Può farsi degli idoli. Abbiamo visto domenica scorsa come seguendo la Legge
possiamo dimenticare Dio, perché ci vantiamo di essere dei puri, degli onesti
dei giusti (“Io pago le imposte, io sono virtuoso, io non faccio questo, non
faccio quell’altro, ecc.”), e intanto dimentichiamo Dio, cioè dimentichiamo lo
scopo stesso della legge. La legge ci è stata data per cercare Dio prima di
tutto, e invece ci vantiamo, in quanto facciamo della regola un motivo di vanto
in mezzo ai nostri fratelli, in mezzo agli altri; ci confrontiamo con gli altri,
ed è un errore. E così anche per tutte le creature.
Le creature ci
sono state date da Dio affinché noi eleviamo i nostri occhi a Lui. Se invece
noi usiamo le creature senza pensare a Dio, svuotiamo l’opera di Dio della sua
anima; e svuotandola della sua anima, entriamo in conflitto con Dio stesso.
Pinuccia
B.: Non ho capito bene quanto hai detto: “Dio è Colui che mi ha creato: allora
se tu non esistessi non conosceresti Dio!”. Non capisco, perché se Lui non ci
avesse creati, non potremmo conoscerlo. Non capisco come ci possa essere
un’altra conoscenza di Dio che non nasca da questa creazione che Dio fa del mio
io. Cioè, anche la conoscenza di ciò che Dio è in Sé, presuppone sempre la
prima conoscenza: “Dio è Colui che mi ha creato”.
Luigi:
Certo. La base è la creazione. Noi cominciamo da una conoscenza: “Dio è il Creatore”. Questa è la base, l’inizio del colloquio. “Dio all’inizio creò l’universo”. Perché lo creò? Cosa vuol dire
creare l’universo? Ha scritto la Bibbia!
L’universo è
il primo libro scritto da Dio per farsi conoscere. Poi abbiamo
un secondo libro: la Bibbia. E poi abbiamo un terzo libro: il Cristo. E il
Cristo ci porta al Padre: un’altra conoscenza. Il Cristo dice: “Se io non me ne vado…”; ma in lui abbiamo il terzo libro.
Ora, se Cristo dice: “Se io non me ne vado, non
può venire in voi lo Spirito di Verità”, siccome Lui è il terzo libro, cioè
la conclusione di tutta l’opera di Dio (uno, due, tre), è come se dicesse: “Se
tutto il mondo, se tutta la creazione (primo libro) non se ne va, lo Spirito
non può venire in te. Se tutta la Bibbia non se ne va (secondo libro), lo
Spirito non può venire in te. Se io (terzo libro) non me ne vado, lo Spirito
non può venire in te”. Quindi abbiamo una prima conoscenza con-; ma questa
conoscenza con-, va considerata in Cristo che parla a noi e dice: “E’ necessario che io me ne vada, affinché venga in te lo Spirito di
Verità che ti porta a conoscere tutta la Verità”. Ed è la vera
conoscenza. Lo chiama Spirito di Verità perché è vera conoscenza: è la
conoscenza dell’Essere in Sé, di ciò che Dio è.
È logico, noi
non potremmo arrivare a quello che Dio è in sé, se non ci desse l’esistenza; ma
dandoci l’esistenza, ci rende partecipi nel pensiero dell’io. E allora abbiamo
tutto l’universo, tutta la creazione. In questa creazione abbiamo il secondo
libro, la Scrittura, la Parola di Dio. Ogni dono di Dio rischia, nel pensiero
dell’io, di essere trattenuto come lettera ed essere svuotato di anima. Subentra
allora il terzo libro, che è il Cristo. Però la conclusione è sempre la
rivelazione di ciò che Dio è in Sé. Quindi dobbiamo tendere lì. Per cui: “Nessuno può venire a Me (come anima), se non è attratto dal Padre”, cioè se non guarda a questa seconda
conoscenza, a questo fine.
Rina:
Noi vediamo Gesù tra la folla quando prima l’abbiamo incarnato in noi. Solo in
questo caso possiamo riconoscerlo negli altri. Viene tra la folla quando c’è
in noi il desiderio di vederlo. Si allontana quando noi ci allontaniamo da
Lui, e più niente ci parla di Lui.
Luigi:
Quando tutta la folla non dice più niente, si svuota, è perché Cristo si è
allontanato dalla folla. Noi tratteniamo la folla. Questo ammalato guarito
ad un certo momento si trova soltanto più immerso nella folla, ma Gesù si
allontana. Direi che c’è quasi un rimprovero del Signore: lui guarito non
doveva allontanarsi da Gesù, ma doveva corrergli dietro, perché Gesù è uno che
cammina. Invece per i problemi che gli facevano i Farisei, ecc., si è trovato
solo con la folla e non più con Gesù. E quando gli dicono: “ma chi è?”, lui
guarda e non c’è più. E’ il rischio in cui ci troviamo: con facilità si
perde di vista Lui!
Rina:
E’ questo che non capivo: lui ha incarnato il Cristo con la guarigione e poi l’ha
lasciato.
Luigi:
Lui ha incarnato il Cristo che l’ha guarito. Infatti domenica scorsa abbiamo
detto che questo ammalato guarito rappresentava il Cristo, perché era
l’incarnazione della Parola. Infatti portando il suo letto dice: “Io faccio quello che mi ha detto Colui che mi ha guarito”; e lo
incarnava. Eppure non lo conosceva. Credeva di conoscerlo. Addirittura lo
incarnava. Ma preso dai problemi che gli hanno posto i Farisei, ha perso di
vista Gesù. Ecco con che facilità ci smarriamo.
Anche nel
nostro mondo incontriamo il Cristo, poi, preoccupati dei problemi che si pongono
intorno a Dio, le cose, le creature, ecc., lo perdiamo di vista. Il Cristo è
Uno che viene tra noi per impegnarci a tempo pieno. Lui è uno che cammina.
Non è uno che dice: “Beh, adesso sei guarito, stattene tranquillo”.
L’uomo non è
mai guarito. Infatti qui scopriamo che non è guarito. Colui che incarnava il Cristo,
adesso non lo incarna più, perché non lo vede più. E quando gli chiedono: “Chi è?”,
lui guarda e non lo vede più. È il problema di Giuseppe e di Maria. Si fanno
una giornata di cammino con Gesù bambino. Alla sera Lo cercano: “E Gesù?”.
Non c’è più. Essi erano con la comitiva e credevano che Gesù fosse con loro. L’errore
grosso è questo: noi crediamo di camminare con Dio, crediamo che sia nella
nostra comitiva, nelle nostre associazioni, nelle nostre regole, ecc., andiamo
avanti così, e alla sera lo cerchiamo e Lui non c’è più! Lui non è più tra
la folla. E’ andato oltre. In quanto va oltre ci impegna a correre dietro a Lui,
a non perderlo mai di vista. “Restate sempre davanti a
Me”.
Non perdetelo
mai di vista. E’ meglio perdere il mondo, dimenticare i problemi che ci fa il
mondo, superare, avere il coraggio di chiudere gli occhi di fronte a tutte le
cose che ci pongono gli altri, ma non perdere di vista Lui!
Pinuccia
B.: Non è Dio stesso che ha suscitato questa problematica dei farisei? E Lui ha
affrontato questi problemi con lo spirito del Signore, testimoniando di
appartenere a Lui.
Luigi:
Certo.
Pinuccia
B.: E nonostante questo l’ha perso di vista.
Luigi:
E’ così. L’ha perso di vista. Son tutte lezioni.
Nino:
Dio ci aggancia venendo in mezzo al nostro mondo, però noi, pur ricevendo un
miracolo da Lui, corriamo il rischio di perderlo di vista, se non Lo seguiamo.
Infatti lui lo ritrova quando ha trasceso ed è passato nel Tempio, cioè ha
avuto il desiderio di ritrovare Dio. Viene sempre a prenderci da dove siamo per
portarci su (due acque, due vite, ecc.) dove Egli è.
Luigi:
Non dobbiamo mai avere paura di chiudere gli occhi dopo aver visto il mondo,
perché Dio parla attorno a noi in tutto, ma non si fa conoscere se non
quando chiudiamo gli occhi e ci raccogliamo internamente, dentro di noi. Perché
Dio abita nell’interiorità dell’uomo. “Dio è Spirito”. Lo Spirito
parla anche nella materia, e attraverso la materia ci aggancia.
Nel libro
della Sapienza si parla della divinità come la Sapienza che abita nella
cittadella e manda le sue ancelle su tutte le strade a chiamare. “Venite dalla Sapienza!”. Quindi abbiamo la Sapienza che è
chiusa, abita in una cittadella, ma manda tutte le ancelle lontane a chiamarci:
“Venite subito alla Sapienza!”. Ecco tutta l’opera di Dio “fuori” (nel pensiero
dell’io) che parla a noi; è tutta la creazione, ecc.
Dio manda la
sua Parola, però non si fa trovare. Lui parla in tutto, ma non si fa trovare
nelle cose “fuori”. Lui manda e ci invita. Ecco il passaggio: ci invita ad
entrare nella spiritualità, nell’interiorità, nella cittadella; in quel “chiuso”,
perché è lì che si fa conoscere.
Quindi, abbiamo
una prima conoscenza esterna; però non dobbiamo fermarci lì. Invece la maggior
parte di noi passa tutta la vita ferma in questa conoscenza, ritenendo che
tutto stia lì; non immagina nemmeno che esista un’altra conoscenza, che è poi
la vera conoscenza, alla quale non si accede se non ci si trascende, se non si supera
se stessi. Ecco, qui troviamo la porta delle pecore, attraverso la quale si
passa per entrare nella Città di Dio; quella famosa porta che richiede il
rinnegamento, il superamento di noi stessi e di tutto il nostro mondo, di tutta
la nostra folla per passare attraverso essa. Se non lo facciamo (perché lì è la
vera difficoltà dell’uomo) restiamo fuori.
La vera
difficoltà dell’uomo non è arrivare alla porta, non è incontrare il Cristo,
perché è Cristo che si fa trovare ovunque noi ci troviamo. Se anche fossimo
immersi nel fango di tutto il mondo o nel peccato più grave, Lui scenderebbe
nel nostro peccato, e si farebbe trovare. La difficoltà non sta nel trovare Lui,
la difficoltà sta nel camminare con Lui, nel passare attraverso la porta.
E’ lì che si diventa malati, perché lì la nostra vita, sotto la pressione
dell’esigenza dell’amore (l’amore che richiede il superamento di noi stessi),
si arresta. Come il cammino della vita si arresta, incomincia a crescere la
malattia dentro di noi; cioè comincia a respingerci il regno di Dio.
C’è un’azione
di rifiuto da parte del Regno di Dio di tutti coloro che di fronte alla
richiesta di amore non hanno risposto. Come l’anima non entra, il Regno di
Dio comincia la sua azione di rigetto, di rifiuto, di dispersione. Allora la
creatura non ha più in sé la capacità di resistere alla pressione di tutto il
mondo, di tutte le creature; tutti la portano via, diventando dei necrofori.
Quello che in un primo tempo (il mondo, la creazione) era motivo di
sollecitazione alla vita, in un secondo tempo, se la vita non è sgorgata in
noi, diventa motivo di sepoltura di tutta la nostra vita; perché la vita ha
fallito. Tutti se ne portano via un pezzo e la disperdono.
Pinuccia
B.: Però anche questa azione dei necrofori è opera di misericordia di Dio?!
Luigi:
Certo, anche la nostra morte è opera di misericordia; per dirci: “non
sei passato attraverso la porta”. Però nulla vi è di automatico, e si può
restare morti eternamente. Ora la morte è dispersione totale di tutto il
nostro essere; e noi diventiamo un’inconsistenza, un’incapacità di amare; è
il terribile che grava su di noi! Diventare incapaci è sentire il bisogno di
amare, ma non riuscirci; perché per amare bisogna avere la capacità di amare,
ma la capacità di amare richiede la capacità di donarsi, superarsi, di
restare. “Avendo conosciuto Dio non
l’hanno glorificato e allora Dio li ha abbandonati al desiderio del loro cuore”. È
profondissima la lezione di S.Paolo nella prima lettera
ai Romani: “Avendo conosciuto la Verità di Dio non
l’hanno glorificata”,
perché conoscendo che Dio esiste, subentra da parte di Dio la richiesta a
noi di superare noi stessi per glorificare Lui, per testimoniare Lui.
Testimoniarlo, cioè entrare nella vera conoscenza.
Avendo
conosciuto che Dio esiste (Dio esiste perché c’è il mondo, Dio esiste perché mi
ha guarito) siamo impegnati ad entrare nella seconda conoscenza, cioè a
glorificare Lui per ciò che Egli è, non per ciò che abbiamo (il mondo, la guarigione,
la vita). Bisogna passare dall’avere all’Essere. È lì che inizia la vera
conoscenza. Ma questo passaggio è legato alla richiesta d’amore. E amare vuol
dire far essere l’altro, vivere per l’altro, cioè superare il nostro io, superare
noi stessi. Se questo superamento non avviene c’è il fallimento della vita; la
vita è interrotta. Come la vita è interrotta, manca in noi l’incentivo a
vivere. Ma se manca in noi l’incentivo a vivere, ci sentiamo come se
qualcuno ci svuotasse la volontà del motivo di volere. Se alla volontà uno
toglie il motivo per volere, la volontà non può più volere. E cosa vuole
allora? Vuole soltanto ciò che incontra. E tutto allora la porta via.
La volontà è
forte in quanto ha in sé il motivo per volere, è presa da un fine. Ma se il
fine ci è tolto, cioè se ci tolgono la possibilità di arrivare alla meta, siamo
messi in balia di tutto il resto. La volontà può volere solo in quanto ha la
possibilità di vedere accessibile la meta. Ma quando, avendo rifiutato di
superare noi stessi, ci verrà detto: “Non puoi entrare”, anche insistendo due,
cinque, cinquanta volte, la nostra volontà non riuscirà più a volere. Ci accorgiamo
ormai che lavoriamo a freddo, e in quanto lavoriamo a freddo siamo in balia
della volontà degli altri. Tutte le creature ci portano via. E portandoci via
succede che ci indeboliscono sempre di più. Apparentemente sembra che ci diano
dell’entusiasmo e che l’amore verso la creatura sia più entusiasmante
dell’amore verso il Creatore; ma è sentimento, è impressione, ed è indebolimento
dell’amore. In tal caso l’amore si indebolisce progressivamente fino ad
arrivare alla morte.
In un primo
tempo abbiamo il passaggio dall’amore unico (la richiesta di Dio) all’amore
moltiplicato. Questo amore moltiplicato porta all’incapacità di amare. La
creatura incapace di amare diventa una creatura morta e non risponde più.
Pinuccia
B.: Però c’è sempre la possibilità di risurrezione. Perché fossimo anche
immersi nel peccato più grave, Dio ci raggiunge. Ora la dispersione è il
peccato più grave.
Luigi:
Sì, però teniamo sempre presente che la vita passa e che il tempo diventa
eterno. C’è un punto in cui la creatura è finita, non ha più la possibilità;
cioè si può aprire l’inferno.
Pinuccia
B.: Il peccato più grosso è la dispersione massima?
Luigi:
La dispersione è una conseguenza del peccato grosso; l’incapacità di amare è
una conseguenza. Il peccato sta nell’io preferito a Dio.
Pinuccia
B.: Dio però può liberarci da qualsiasi peccato.
Luigi:
Però non può accadere automaticamente.
Pinuccia
B.: Quindi mi può liberare anche dalla dispersione più grande.
Luigi:
Sì, ti può liberare dalla dispersione più grande fintanto che c’è in te
qualche argomento per superare te stessa; cioè hai tale possibilità. Quando
questa possibilità non c’è più, non ti può liberare. “Colui che ti ha creato
senza di te, non ti può salvare senza di te”. Se il Signore parla di un
inferno è perché il rischio dell’inferno grava sulla creatura, altrimenti non
ne parlerebbe. E dobbiamo tenerlo presente. Cioè il tempo, la prova, non
è prolungabile al’infinito. Non possiamo dire: “io non ho risolto oggi, risolverò domani”. No, se non abbiamo
risolto oggi, domani ci riuscirà più difficile risolvere, dopo domani ancora
più difficile; il terzo giorno è finita, perché diventiamo figli delle nostre
opere. E se la nostra opera è rifiuto di Dio, diventiamo figli di quest’opera.
Ora, essere figlio vuol dire non essere più disponibile per-. C’è una
chiusura, c’è un qualche cosa che ci chiude sempre di più e ci rende sempre più
difficile il superamento.
Se non abbiamo
amato nelle condizioni migliori per amare, a molto maggior ragione non faremo quell’atto
di amore quando le condizioni ce lo rendono più difficile.
Nino:
La conoscenza di Dio è una conoscenza di un Essere infinito, quindi non finisce
mai. Dio continua a perdonarci, ad agganciarci, a darci la possibilità di
ritornare a Lui, di conoscere Lui; però purtroppo un giorno questa possibilità
si ferma.
Eligio:
Cioè non abbiamo prove di appello all’infinito.
Nino:
Con Dio non dobbiamo mai fermarci. A noi sembra già di sapere tante cose; ma
leggendo per es. questo libretto “Dalla prigione alla lode”, capisco che
quest’uomo conosce Dio molto meglio di me, se no agirei come lui.
Luigi:
Certo.
Nino:
I miei interessi dovrebbero essere tutti lì, e non lasciarmi frenare dalla
famiglia o altre cose. Dio ci impegna sempre.
Luigi:
Dio ci impegna a tempo pieno. Dio è un infinito che ci deve impegnare a
tempo pieno: 24 ore su 24. Cioè deve essere tutto. Se la ricerca di Dio non
è qualcosa di talmente reale da impegnarci in ogni istante della nostra
giornata (per cui Dio è l’Essere che determina tutta la nostra vita, che ci sta
più a cuore continuamente) la ricerca di Dio diventa una cosa astratta.
Eligio:
Dobbiamo convincerci che è l’unico affare da perseguire nella nostra vita.
Luigi:
E’ l’unica cosa: siamo stati creati per quello.
Eligio:
Il resto, le altre soddisfazioni, la carriera, ecc. è dispersione, folla.
Luigi:
Per cui non dobbiamo dire: “Ho dedicato al Signore un’ora, per oggi sono a
posto”. No, Dio in quest’ora ci ha dato più vita per impegnarti ancora di
più. Cioè, o abbiamo capito che dobbiamo impegnarci molto di più o non abbiamo
capito quello che Dio è. Perché più noi ci avviciniamo a Dio e più comprendiamo
(ed è Dio che si rivela) l’infinito valore che Egli è per noi. Ma quanto
più noi capiamo il valore infinito che Egli è per noi, tanto più sentiamo il
desiderio di pensare a Lui, di non lasciarlo più. Ma se invece diciamo: “Sono
stato un’ora con Lui e ora me ne vado con altri”, significa che non abbiamo
capito niente. Perché Lui ci ha parlato affinché restassimo di più con Lui, non
perché facessimo una parentesi per poi dedicarci ad altro. Lui è vita
eterna. Vita eterna vuol dire vita piena.
Nino:
Noi a volte facciamo altro e facendo altro dimentichiamo Dio, mentre dovremmo
sempre averlo presente.
Luigi:
Non dovrebbe mai esserci l’altro, perché l’altro dovrebbe esserci sempre
come opera di Dio. In tutto dobbiamo poter dire: “Dio mi sta presentando
questo, quindi mi sto occupando di questo” perché è Dio che ce lo presenta. Non
è mai l’altro; è sempre Dio.
Emma:
Pensare Dio 24 ore su 24, cioè pensarlo in tutto ciò che faccio perché è Lui
che me lo presenta, è dura.
Luigi:
Non bisogna aver paura di entrare in rapporto diretto con Lui, perché Lui fa tutte
le cose per sollecitarci ad entrare in casa sua, ad avere questo rapporto
intimo e personale; non dobbiamo temere di chiudere gli occhi. Stiamo attenti a
dire: “Dobbiamo imparare a stare con Dio in tutte le
cose”,
perché lì c’è un rischio. Dio ci mette davanti a tutte le cose affinché capiamo
che dobbiamo entrare in intimità con Lui. Per cui ad un certo momento dobbiamo
chiudere gli occhi a tutte le cose. Tra Marta e Maria, Gesù dice che “Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”; cioè che Maria
è quella che opera di più, che fa di più. Sembrava che Marta faccia molto.
Invece chi fa di più è Maria. E cosa fa Maria? Sta seduta ai piedi di Gesù e Lo
ascolta; fa più di Marta. Lo dice Gesù. Maria è più operante nella Volontà
di Dio. Quindi il fare secondo Dio non è quello che crediamo noi; “fare”
per Dio è imparare a restare seduti ai suoi piedi ad ascoltare Lui che parla,
cioè ad entrare in rapporto diretto, e quindi a chiudere gli occhi alle pretese
di Marta, alle pretese dell’altro, degli altri; perché la vera conoscenza è ciò
che Egli è.
Dio opera in
tutte le cose (dobbiamo sempre tener presente questo) per sollecitarci,
affinché capiamo che dobbiamo chiudere gli occhi a tutte le cose, alla folla,
per entrare nel suo Tempio. Dio (e siamo alle nozze di Cana) in un primo tempo
viene tra noi come “Uno tra tanti”, allora lo
conosciamo perché è migliore di tutti, perché parla meglio di tutti, perché è
Quello con cui si sta meglio; però lo confrontiamo con gli altri. E lo amiamo
confrontandolo con gli altri: gli altri sono così, Lui è così; gli altri - Lui.
Non è vera conoscenza.
Lui viene tra
noi come uno tra tanti; ma poi sparisce, ci mette in crisi. In quel punto non
Lo conosciamo più, non Lo vediamo più, non Lo troviamo più. Perché fa questo? Fa
questo per diventare il solo.
Primo tempo:
Uno tra tanti.
Secondo tempo:
Lui è l’unico.
Per diventare
l’Unico, si allontana dai tanti, con cui è venuto per chiamarci. E’ quello che
dice il Signore attraverso la Bibbia: “Ti condurrò
nel deserto per parlare al tuo cuore”. Quindi Lui viene dove non è deserto
(la folla, la città, il mondo), viene nel nostro mondo, tra tanti, e poi dice a
noi: “Adesso ti condurrò nel deserto, ti condurrò lontano
da tanti, dalla folla, per parlare al tuo cuore; perché se non parlo al tuo
cuore, tu non mi puoi conoscere”. Egli ci porta in questo segreto, in
questa intima stanza, per farsi conoscere; perché è lì che noi ci agganciamo
alla vita eterna, è in questo deserto che Lo conosciamo. Lì Lui diventa
l’Unico.
C’è poi un
terzo tempo in cui tutto diventa opera sua.
Prima
avevamo Uno tra tanti, poi in un secondo tempo diventa l’Unico, e poi i “tanti”
diventano opera sua: Lui in tutto. Qui abbiamo allora il Cantico delle
Creature, in cui S. Francesco chiama la morte “sorella nostra morte corporale”,
diventa Lui in tutto. Non c’è più il “con”, ma tutti sono suoi. Tutto è parola
sua.
Ma
non arriviamo al “tutto opera sua, tutto parola sua” (per cui si loda e si
glorifica Dio per tutte le cose e in tutte le cose) se non passiamo attraverso
Lui l’Unico. Ci dev’esser questo passaggio. E Lui opera affinché avvenga. La
vera conoscenza si ha in questa intimità, in questo rapporto diretto personale
a tu per tu, tra la nostra anima e Lui, in questo deserto.
Luigi: Eravamo partiti chiedendoci che cosa è la
folla.
Emma: Sono i nostri pensieri?
Luigi: Sì, folla è anche la molteplicità dei
nostri pensieri. Tutto quello che abbiamo con noi. Ecco, Dio viene in questa
folla, perché noi siamo folla. Noi iniziamo essendo folla, poiché siamo incapaci
a restare con l’Unico. Dio ci crea per restare con L’Unico, ma ne siamo
incapaci. Nella nostra incapacità diventiamo “tanti”: abbiamo tanti nomi, tanti
pensieri, tanti amori. Il nostro nome non è unico. Abbiamo tanti nomi, cioè
abbiamo tante facce, non abbiamo una faccia unica. Dio viene in questa
molteplicità, ci raccoglie e ci fa desiderare la vita semplice con Lui, e poi
se ne va. Ci fa desiderare di avere un nome unico, avere un volto unico, un
unico amore. Questo è simboleggiato dal matrimonio sulla nostra terra: c’è l’amore
che inizia: uno tra tanti; poi uno più di tutti; poi matrimonio: permanenza per
la conoscenza. Tutto è segno di Dio e dei rapporti della nostra anima con
Lui.
Cina: In tutto questo discorso mi pare di sentire
una voce sola di Gesù che dice: “Vieni!”. Ma possiamo
rispondere in cordata con l’aiuto degli altri, perché salendo manca il fiato.
Luigi: Più si va su invece, più si respira
meravigliosamente bene.
Eligio: Si può anche scivolare.
Luigi: Si scivola quando si discende.
Cina: Si soffre nella molteplicità, ma è una
malattia. Si ha bisogno di una cosa sola, perché si sente che è vita, mentre la
dispersione è morte.
Luigi: E’ il Signore che fa sentire il bisogno di
una cosa sola; vuol dire che il Signore si è allontanato dalla nostra folla. E
allora sentiamo la sete, la fame, perché la folla non risponde più alla nostra
fame, alla nostra sete. Lui venendo tra noi, parlando con noi ci entusiasma
talmente della sua bellezza, della sua Verità, per cui quello che dicono gli
altri è più niente. E allora una profonda tristezza si forma in noi a
restare con gli altri, perché nessuno più parla come Lui, e Lui non c’è più.
Questo grande bisogno, questa grande fame aumenta, aumenta, aumenta tanto che
ad un certo momento non ne possiamo più, e dobbiamo partire da tutta la nostra
folla, perché non ne possiamo più.
E’
necessario passare ad un’altra conoscenza di Lui, perché tutte le cose Lui le
fa per portarci a conoscere Lui, per entrare nella vita eterna. La vita eterna
è conoscenza di Dio come vero Dio; non soltanto come il Creatore di tutte le
cose, come Colui che risponde ai nostri bisogni, come Colui che ci libera dal
male.
Cina: Bisogna riconoscerlo come Colui che opera in
tutto.
Luigi: Sì, c’è però un passaggio successivo,
perché Lui si conosce solo in Sé stesso. Non si conosce per quello che dicono
le creature. S.Giovanni della Croce, in una sua
poesia bellissima, dice: “Cessa di mandarmi i tuoi servi, le tue creature che
non mi possono dire quello che Tu sei, quello di cui ha bisogno l’anima mia. Io
ho bisogno di Te, non ho bisogno dei tuoi servi, non ho bisogno delle tue
creature”. Ecco, si forma nell’anima il bisogno di Lui. Non abbiamo più bisogno
che Lui ci mandi altri a parlarci di Lui, perché nessuna creatura ci può dire
quello che Lui ha da dire alla nostra anima. Tutti ci dicono qualcosa di
Lui, ma nessuno può dirmi quello che Lui solo può dire a noi. Ecco perché
la vera conoscenza ce la può dare solo Dio. Ma per darcela bisogna che noi
saliamo a Lui. Lui ci dà tanti doni, ma il vero dono, il grande tesoro, il
grande dono, non ce lo dà se noi non saliamo fino a Lui a prenderlo dalle sue
mani. Allora Lui opera in tutte le cose per suscitare in noi questo bisogno di
salire fino a Lui. Quindi c’è la necessità di chiudere gli occhi per
raccoglierci solo con Lui, “tète a tète”, in questo “rendez-Vous”.
Pinuccia B.: Hai parlato di un impegno che deve
essere continuo. Si tratta di un impegno a pensare a Dio?
Luigi: Certo, è un impegno d’amore. E l’amore cosa
fa? L’amore fa pensare tanto all’Altro. Quindi impegno continuo, non nel
senso: “Adesso io mi debbo impegnare continuamente, mi
faccio un programma…”;
ma è la carica della sua Verità, del suo Valore, del suo Infinito che ci dà
l’impegno continuo. Non è che dobbiamo programmare in modo continuo. No, è
l’innamoramento di Lui che ci impegna in modo continuo.
Vediamo
che in Lui c’è tanta di quella Luce, tanta di quella conoscenza, tanta di
quella gioia, per cui non riusciamo più a stare in altro. E’ come se avessimo
trovato una sorgente freschissima, bellissima: non c’è più nessun’altra acqua
che ci possa soddisfare. E allora stiamo lì a bere solo quella, e viviamo solo
di quella, perché ogni altra acqua non ci dice più niente. Ma come mai le altre
acque prima mi dicevano tanto, adesso non ci dicono più niente? Non è che le
altre acque abbiano cessato di dissetare, è soltanto che avendo trovato
un’acqua talmente migliore non sentiamo più il bisogno delle prime. E allora
sentiamo il bisogno di restare sempre lì, perché se ci allontaniamo troviamo
solo più fanghiglia. Quindi l’impegno continuo viene dall’innamoramento,
dalla conoscenza: più uno conosce Lui e più si sente invogliato a restare
con Lui.
Quando
trovi una cosa bellissima, chi può ancora portarti a disperderti dietro delle
sciocchezze, delle stupidaggini? Lasci tutto, perché chi te lo fa fare a
restare in ciò che non ti dà gioia?! Tutta la tua gioia è là.
Cina : E’ quello che
cambia una vita.
Luigi: Certo, è una carica di bellezza infinita
tale che cambia tutto di noi.
Cina: Però non può essere una cosa astratta, ma
calata nel concreto, se no non si può pensare, parlare, vivere.
Luigi: Lo stesso pensiero del nostro io diventa
talmente sciocco che ci si rifiuta di pensare, di parlare di sé, perché tutta
la gioia è soltanto quella di pensare e parlare di Lui; dove è tutta la Verità.
Pinuccia B.: Questo innamoramento però presuppone
una conoscenza che viene da Lui. E’ Lui che deve prenderci, non siamo noi che
dobbiamo fare qualcosa perché Lui ci prenda.
Luigi: Non c’è mai l’automatismo con Dio. Dio
ci prende, ma ci prende in quanto ci offre, ci propone un’adesione. Quindi
abbiamo sempre una proposta da parte di Dio e una risposta da parte della
creatura. “Facciamo...”. Dio non dice,
come nel creare tutte le altre creature, creando l’uomo: “Sia fatto”.
“E la luce fu, l’universo fu, il sole fu, ecc. le cose furono”. Quando crea
l’uomo dice: “Facciamo l’uomo”. Lo dice
all’uomo. Dio crea l’uomo parlando all’uomo. Ma quando uno parla a-, è
una collaborazione, è dialogo. Quindi Dio parla e la creatura sta a guardare e
riceve. E più riceve, più la creatura si forma e più cresce. E Dio parlando la
amplia, la fa infinita, e ad un certo momento diventa tutto cielo, diventa
figlia sua.
Chi
l’ha fatta figlia sua? La sua Parola, solo la sua Parola, con l’adesione della
creatura; ha aderito in continuazione. Quindi abbiamo sempre questo “facciamo”.
“Facciamo”
è un verbo che il Signore dice ogni giorno a noi. Non lo dice finito come “sia fatta la luce”, lo dice perenne. Quindi è un inizio che non termina
più. Dal momento che Dio ha detto “facciamo” lo dice in
eternità. Noi dal momento che abbiamo iniziato a vivere non siamo più
distruttibili. Dio non può più distruggerci e non lo può perché andrebbe in
contraddizione con se stesso, perché Lui eternamente dice “facciamo”.
Quindi è una partecipazione continua proprio sul Verbo di Dio che dice “facciamo”
a noi, “facciamo l’uomo”.
Pinuccia B.: Nell’inferno Dio dice ancora “facciamo”?
Luigi: Certo, dice ancora “facciamo”
e questo costituisce il fuoco. Il “facciamo” di Dio
diventa fuoco, come il “facciamo” di Dio
diventa gioia infinita, diventa luce, diventa amore in Paradiso. “Io oggi ti ho generato” dice a suo Figlio. “Oggi”
è l’oggi di Dio che è Eternità. E noi siamo chiamati a diventare figli di Dio,
cioè a sentire questo “oggi”. “Io oggi ti ho
generato”, “Io oggi ti ho fatto”. Quindi Dio in continuazione dice a
noi: “Io oggi…”.
Cioè siamo figli, e siamo figli in quanto Dio in continuazione dice a
noi: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho fatto”. E in continuazione.
Noi dobbiamo poter sentire in continuazione questo Padre che dice a noi: “Sono Io che ti faccio, sono Io che ti do vita, sono Io che ti faccio
pensare, sono Io che ti rendo partecipe, sono Io che…”. E noi in
continuazione diciamo: “Signore sei Tu, Signore sei
Tu, Tu sei il mio Signore, Tu sei il mio Padre, Tu sei il mio Dio”.
Nino: Dio continuamente ci propone qualcosa e ci da delle cose in cui dobbiamo scegliere o Lui o noi. Tutte
le volte che scegliamo noi, ci fermiamo, ci allontaniamo. Tutte le volte che
scegliamo Lui, ci fa fare uno scalino.
Luigi: Certo, però c’è una soglia oltre la
quale non c’è più la scelta. C’è una soglia oltre la quale tra chi mi offre
un milione e chi mi offre le cento lire, non entra nemmeno più in programma la
scelta delle cento lire. Perché è troppo ridicolo pensare al nostro io, di
fronte alla meraviglia di luce. “Signore, facciamo tre tende,
restiamo qui”.
Ecco, uno non vuole più saperne di altro, perché prova una tal carica di vita,
una tal carica di gioia che non ha più scelta.
In
Paradiso non si può più peccare, non si vuole, è assurdo il peccare, non esiste
più la possibilità di preferire la creatura al Creatore. Qui si può peccare, ci
crediamo liberi, ed è una stupidaggine. Ci crediamo liberi perché possiamo peccare,
ma la nostra libertà è soltanto una conseguenza di ignoranza. Se noi
conoscessimo la Verità, non ce lo immagineremo nemmeno di peccare, perché la
Verità carica talmente la vita che non si vuole altro. Trovata una sorgente,
chi pensa ancora di abbeverarsi ad una pozzanghera? Si possono avere mille
pozzanghere attorno, ma non viene nemmeno l’idea di farlo, avendo acqua pura a
disposizione. Beviamo alla pozzanghera in quanto nella nostra ignoranza la
riteniamo acqua di sorgente. Se ci sentiamo liberi tra il bere alla sorgente o
il bere alla pozzanghera, questo senso di libertà è effetto di ignoranza di
quello che è la sorgente; per cui ci sembrano uguali. Nella nostra ignoranza le
vediamo uguali, ma non sono uguali. L’uguaglianza dei valori ci lascia indifferenti,
possiamo scegliere questo o quest’altro, ma l’uguaglianza è effetto di
ignoranza. L’io, mosso dal sentimento o da altro, preferisce la pozzanghera
alla sorgente perché non riesce a distinguere. Se invece fossimo tanto
intelligenti da riconoscere l’acqua della sorgente, non avremmo il minimo
dubbio, cioè non ci sentiremmo più liberi. È la vera libertà.
La
vera libertà è quella di non confondere l’acqua della sorgente con l’acqua
della pozzanghera.
Infatti: “La Verità vi farà liberi…”. In quanto
uno ha in se stesso la ragione di ciò che vuole. Ma fintanto che c’è l’incertezza,
per cui “scelgo questo o quest’altro” e dopo aver
scelto dico: “ho sbagliato!”, non siamo
libero. Perché, dopo aver scelto, tocchiamo con mano che abbiamo sbagliato. Se
sbagliamo vuol dire che non siamo liberi; ci lasciamo attrarre da dei falsi
valori che ci hanno ingannato (sentimento, ecc.), e non dalla verità.
Nella
Verità si vuol vivere secondo la Verità, non si vuole altro, quindi non si può
più peccare.
Per questo dico che c’è una soglia oltre la quale uno non se lo sogna nemmeno
più il male, l’errore, ecc.
Eligio: Ho trovato molto interessante la
distinzione dei due tempi dell’azione di Dio tra noi: del venire Lui tra la
folla per raccoglierci dalla dispersione (ed è già una grande liberazione) e
del suo allontanarsi dalla folla. Quante volte noi ci fermiamo alla prima. E
penso sia un azione sottilissima di Satana: l’anima parla bene di Dio, ma non
sale all’“in Sé” di Dio, che è la conclusione della
creazione, il nostro fine. È nostro desiderio operare il passaggio a questa
seconda fase. Se già ci troviamo tanto bene in questa prima fase in cui premono
meno su di noi gli elementi esterni (per cui ci si sente già liberi in quanto
non si vorrebbe passare alle passioni di prima), quanto infinitamente migliore
sarà il secondo momento, in cui il processo di amore diventa irreversibile, per
cui non si va più alla pozzanghera. Ma come entrare? Come distinguere questa
realtà da altre realtà (sempre di Dio ma di natura emotiva)? Gli alti e bassi,
le incoerenze, le debolezze denunciano che ancora uno non vi è arrivato, pur
desiderandolo.
Luigi: Sì, il problema di stasera è appunto
questo: proporre alla nostra attenzione l’esistenza di due conoscenze. In
quanto mi si propone una seconda conoscenza, vuol dire che dobbiamo muoverci
dalla prima. Abbiamo già visto l’esistenza di due vite, di due vini, di due
acque, di due pani. Dio opera in un primo tempo, in uno e poi…
Es.:
“Dammi dell’acqua” (e parla dell’acqua del pozzo)
e poi dice: “Ma se tu sapessi…” (e c’è una
altra acqua). Quindi Dio interviene nella prima realtà, ma intanto mi dice: “C’è altro”.
Moltiplica il pane e poi quando lo cercano per questo pane dice: “No, non mi dovete cercare per questo pane, c’è un altro pane”. E li mette
davanti a due pani. E così ci mette davanti due vite, due nascite. E adesso ci
dice che ci sono due conoscenze. Quindi non fermiamoci alla prima conoscenza
(di Dio, sia ben chiaro). Costui aveva conosciuto Dio così: Dio ti ha guarito,
Dio ti ha dato la vita, Dio ti ha dato l’esistenza, Dio ti fa camminare secondo
la sua Parola. “Guarda che c’è un’altra
conoscenza”.
Ce la presenta e ci mette in movimento. Era questo l’argomento.
Eligio: Mi piacerebbe potessimo fermarci su questo
secondo tipo di conoscenza.
Pinuccia B.: E sul come entrarvi.
Luigi: Bisogna chiederlo al Signore.
Nino: Bisogna arrivare alla Pentecoste, perché finché
noi ci troviamo a dover ancora scegliere è segno che non ci siamo ancora.
Quante volte nelle nostre scelte siamo autonomi.
Luigi: Guardate le meraviglie dell’opera di Dio,
l’unità dello Spirito. Abbiamo notato, in questo passaggio “Lui presente nella folla e non più presente nella folla”, il
parallelismo con Gesù che dice: “Se io non me ne vado, non
può venire in voi lo Spirito di Verità”. Quello che Lui dice qui in
questa scena (presente nella folla e non più presente nella folla), lo dice ai
discepoli: “Se Io non me ne vado non può
venire in voi lo Spirito di Verità”. Ed è sempre lo stesso Verbo
che parla. È bellissimo.
N.B.: Il testo, tratto da registrazione
non è stato riveduto dall'autore e
mantiene lo stile discorsivo.