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Dispensa n°8
Gv 6,7: «Filippo gli rispose: “Duecento denari di pane non basterebbero perché
ciascuno ne possa avere qualche pezzetto”».
Illogicità della risposta
Esposizione
di Luigi Bracco:
Oggi
approfondiamo questo versetto: “Filippo gli rispose:
Duecento denari di pane non basterebbero perché ciascuno ne possa avere qualche
pezzetto”.
Abbiamo
già notato l’incongruenza tra la domanda che fa Gesù e la risposta che dà
Filippo; perché pone il problema: “Dove potremo comprare del
pane per sfamare tutta questa gente?”, Filippo non risponde al “dove” ma al “come” fare perché
ognuno ne possa avere qualche pezzetto. È come se noi ci trovassimo in un paese
straniero e chiedessimo a un passante dove poter comprare del pane e lui ci
rispondesse che per comprarlo ci vuole tanto denaro. La risposta sarebbe
illogica! C'è un’incongruenza tra la domanda e la risposta. Qui ci sono due
argomenti da tenere presente.
Il primo
argomento è che Filippo va fuori tema e non risponde all’interrogazione di
Gesù. Gesù chiede: “Dove possiamo trovare del
pane?”.
La volta
scorsa abbiamo detto che Gesù parla sempre nel pensiero del Padre, quindi quel
“dove” in Gesù, non poteva intendersi altro che il Padre. Sapendo ciò che stava
per fare, Gesù interroga i discepoli per portare il pensiero, soprattutto nei
riguardi di Filippo, dei suoi apostoli presso il Padre.
Dice San
Bernardo: “La parola di Dio è la sorgente di tutto; la lezione provvede il cibo”.
Cioè la parola di Dio provvede il cibo.
Gesù
chiede “Dove
troveremo noi del pane?”,
poco prima Lui aveva detto alla gente “Non preoccupatevi del mangiare e del vestire ma cercate
prima di tutto il regno di Dio”. E loro stavano cercando il regno di Dio, stavano seguendo
Lui; per cui adesso Gesù non può fare il discorso di preoccuparsi di dove
trovare il pane, il mangiare, il vestire.
Siccome lo
spirito di Dio è uno solo, con quel “dove” intendeva sollecitare, anzi provare
il pensiero dei suoi apostoli, se i suoi apostoli erano nel pensiero che Lui
aveva affermato. Se fossero rimasti nella parola di Dio i discepoli avrebbero
dovuto dirgli: “Ma come mai tu prima ci hai detto di non preoccuparci del
mangiare e del vestire, adesso ci vuoi preoccupare del mangiare?”, oppure: “Tu ci hai insegnato che a chi cerca prima
di tutto il regno di Dio tutto il resto gli viene dato in soprappiù, quindi non
ci preoccupiamo”. Evidentemente qui erano scivolati dalla parola sul piano
umano, e quindi salta fuori il problema del denaro: duecento denari.
Il secondo
argomento è questo: Filippo rivela un’impotenza.
L’uomo
constata l’impotenza a soddisfare il suo bisogno principale. Anche noi
constatiamo che con tutti i nostri mezzi, non possiamo soddisfare la fame
dell’uomo.
L’uomo
porta con sé una fame essenziale che nessun mezzo, nessun argomento umano né
sociale, può riempirgli l’anima. L’uomo ha fame di assoluto, essenzialmente
vive di assoluto.
Abbiamo
questi due temi da tenere presente:
·
prima
di tutto l’illogicità della risposta rispetto a quello che chiedeva Gesù;
·
e
poi il tema dell’impotenza umana nel soddisfare la fame dell’uomo.
Questa
tanta folla è l’espressione della tanta fame di uno solo, di ogni uomo. Perché
la quantità è per esprimere la qualità che ogni uomo porta in sé di qualche
cosa.
Dio
estende in orizzontalità, moltiplica in quantità quegli argomenti che sono in
verticalità.
Siccome gli argomenti che sono espressi in verticalità, in qualità, noi siamo
duri ad intenderli, ecco che Dio moltiplica in massa.
Quante
volte a noi sfugge un avvenimento singolo, non ci fa riflettere! Se invece
quello stesso avvenimento tocca milioni di persone ci impressiona. Presso Dio
non dovremmo avere questa grossolanità di mente, di cuore, da aver bisogno che
un fatto interessi milioni di persone per colpirci; altrimenti non ci colpisce
se interessa soltanto una persona singola. Questo è per esprimere che data la
nostra grossolanità di mente, il Signore moltiplica i fatti, li ripete per molte
volte, per molte persone, in modo da preoccuparci, in modo da interessarci.
Basterebbe
un filo d’erba per aprirci all’interesse per Dio, invece Dio deve creare distese
infinite di fili d’erba per colpire il nostro pensiero.
Allora, se
nel primo argomento abbiamo l’illogicità nella risposta, questa evasione di
Filippo in quello che è l’argomento, dobbiamo cercare di capire quale sia il
suo significato. In sostanza ci chiediamo: come mai l’uomo può sbagliare?
Qui rivela
che lo sbaglio dell’uomo sta nel non rispondere al Pensiero di Dio.
Ogni
giorno siamo interrogati da Dio, Dio pone a noi dei problemi. Dio per noi è una
fonte di problemi, però noi rispondiamo evadendo il problema. Come può avvenire
questo? E che cosa si richiede affinché noi restiamo nel pensiero di Dio,
nell’interrogazione che ci fa Dio, coerenti cioè con quello che ci chiede Dio?
Qui si
rivela la possibilità dell’uomo, di Filippo, quindi di ognuno di noi, di non
rispondere al problema o di rispondere male (ed è poi la stessa cosa). Come mai
Dio ci interroga su qualche cosa, ci pone il problema, e noi evadiamo,
rispondiamo malamente, cioè non rispondiamo?
In un
primo tempo, avevamo detto, siccome Dio continuamente ci fa delle proposte,
rispondiamo “si” oppure “no”. Invece qui approfondiamo il fatto che il nostro
“no” assume una sfumatura diversa; è un po’ il “no” di Filippo che risponde
evadendo; crede di rispondere ma è una risposta evasiva, cioè non coglie il
pensiero.
Abbiamo
detto che prima che l’avvenimento avvenga, il Signore ci mette alla prova, per
insegnarci ad interrogare il suo pensiero, a chiedere qual è il suo pensiero,
non a rispondere secondo il nostro pensiero. Qui Filippo risponde secondo il
suo pensiero, non risponde secondo il pensiero di Gesù. Ecco, noi abbiamo la possibilità
di sfuggire al Pensiero di Dio.
L’errore
nasce in noi dal fatto che non interroghiamo il pensiero di Dio, non cerchiamo il pensiero di Dio e
affermiamo il nostro pensiero.
Filippo
aveva un certo suo pensiero, ed era il pensiero del denaro: per avere del pane
bisogna comperarlo. Perciò risponde secondo il suo pensiero. Non ha chiesto a
Gesù. Perché se avesse chiesto avrebbe incentrato la sua attenzione sul “dove”.
“Dove poter
ottenere, dove poter comperare tanto pane per…”. Avrebbe potuto dire: “Ma io non
capisco cosa vuoi dire”, poteva anche non capire il pensiero di Gesù; o poteva
capirlo, ma per capire avrebbe dovuto uscire dal pensiero di se stesso.
Dio parla
a noi un linguaggio umano, usa dei segni, però attraverso questi segni pone a
noi il problema di sé.
In quel “dove” c'è il problema del Padre, il luogo in cui abita il Figlio.
Il Figlio
vive del Padre, ottiene dal Padre il cibo di vita. Ogni figlio di Dio ha il suo
cibo di vita dal Padre. Ed è la parola di Dio che provvede il cibo all’uomo.
Gesù lo precisa nella tentazione quando dice a Satana che non di solo pane vive
l’uomo ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio. Ecco il luogo: la bocca di Dio è il luogo dove noi
possiamo trarre il cibo di vita. E questo è Gesù che lo dice chiaramente.
Conversazione:
Teresa:
Filippo pensava al denaro, quindi era nel pensiero del suo io.
Luigi:
Ognuno di noi, senza accorgercene, di fronte agli argomenti che propone Dio,
risponde sempre secondo i suoi argomenti. Dio ci propone una cosa e noi pensiamo
ai nostri mezzi, o a come noi siamo. Dio non ti sta chiedendo di arrivare
alla meta, Dio ti sta chiedendo che tu faccia conto su di Lui per quello che ti
propone. Dio ti propone argomenti di fede, cioè ti propone che tu faccia
conto su Dio. “Signore, io non so fare assolutamente niente, ma se tu mi
proponi questo, fai Tu, io non metto ostacoli”.
Bisogna imparare a fare conto su Dio:
questo è l’argomento della fede. Dio ci propone questo! Nient’altro!
Teresa: Ci
chiede di fare un salto nel buio.
Luigi: Ma
Dio non è il buio! Sia ben chiaro! Il buio è in noi. Dio non è il buio, perché
Dio è luce e far conto su Dio non far conto sul buio! Quando tu fai conto sul
denaro, fai forse conto sulla luce?! No, fai conto sul buio! E sarai smentita.
Teresa:
Noi facciamo conto sulle nostre sicurezze.
Luigi: Le
nostre sicurezze sono sempre fasulle. E un giorno Dio ci smentirà in tutte le
nostre sicurezze. E’ logico. Qui Filippo sarà smentito dall’opera che Dio sta
per fare. Evidentemente qui il Signore ci educa ad imparare che la vera
sicurezza noi la dobbiamo mettere in Lui. Quindi Lui deve essere la nostra
sicurezza, Lui deve essere colui su cui facciamo conto.
Siccome Lui non è mai noi, non dobbiamo
mai identificarci con Dio; si richiede sempre da parte nostra questo
superamento del pensiero di noi stessi e di tutto quel mondo sperimentato dal
pensiero del nostro io; come il denaro, che rappresenta tutte le nostre
sicurezze.
Dio, ponendoci dei problemi, parlando
con dei segni nel nostro mondo, parlando con segni umani, ci invita a fare
questo superamento, a passare al suo Spirito, che è divino. Noi corriamo sempre
il rischio di fermarci ai segni e di rispondere secondo il nostro io; è lì che
evadiamo dal problema. In sostanza noi diciamo “no” alla sua questione. Perché
Lui ci propone di superare il pensiero di noi stessi per guardare Lui. Soltanto
guardando Lui noi possiamo capire che la fonte del non sbagliare (in termini
teologici si chiama la “inerranza”), sta nel guardare Dio. Ma se noi non
guardiamo Dio, di fronte a tutti i problemi che Lui ci pone, il nostro io
diventa il “non guardare Dio”.
Il nostro io di per sé non guarda Dio,
ma guarda se stesso, e questa è la fonte dell’errore, la fonte dell’evasione
dal problema. Per cui noi rispondiamo in modo sbagliato, cioè diciamo di “no”.
Come sta facendo Filippo, che evade col
problema del “dove”. Gesù lo sta impegnando seriamente sul “dove”, gli richiede
un impegno, un superamento di tutti i suoi schemi, perché gli sta imponendo un
problema che a Filippo pareva misterioso. Avrebbe dovuto ricordarsi delle
lezioni precedenti di Gesù; sia la lezione del pane, sia che il vero pane ci
viene dato da Dio. Ma questo è possibile soltanto se uno resta nelle parole del
Maestro; ma per restare bisogna superarsi continuamente, altrimenti si scivola
nell’io. Gesù chiedeva a Filippo questo impegno.
Quindi Dio ponendo a noi un problema,
pone a noi un impegno di superamento per restare nelle sue parole precedenti
che sono quelle che ci illuminano sull’argomento che Lui oggi ci sta proponendo.
In caso diverso usciamo dall’impegno e rispondiamo come Filippo, che facilmente
risponde: “Duecento
denari…”,
ma non si impegna nell’argomento che Dio gli pone.
Nino: E
Dio ci dirà che abbiamo risposto di “no”, ma noi gli diremo: “Quando?”, perché
non ce ne siamo resi conto.
Luigi:
Certo, perché noi evadiamo il problema, l’essenza del problema, senza
rendercene conto.
Eligio:
Penso che ci sia una certa responsabilità da parte nostra anche se non ce ne
rendiamo conto pienamente.
Luigi: Noi
rispondiamo di “no” mentre crediamo di aver risposto di “si”.
Teresa:
Diciamo di “no” quando non ci impegniamo a conoscere Dio.
Nino:
Prima di rispondere a Dio dobbiamo chiedergli: “Dio, qual è il tuo pensiero?”.
Luigi:
Perché se non facciamo questo scivoliamo, evadiamo dall’essenza del problema;
per cui alla domanda di Gesù rispondiamo che la soluzione è il denaro. Crediamo
che Gesù ci ponga un problema affinché noi lo risolviamo materialmente, con i
nostri mezzi umani.
Nino: Alla
base di questo errore c'è la poca fede che abbiamo in Dio.ù
Teresa:
Alla base di tutta c'è l’ignoranza.
Luigi: No,
non è l’ignoranza che può giustificare la nostra riposta errata.
Cina: E’
tanto facile evadere…
Luigi: Ma
certo, naturalmente noi evadiamo, in continuazione. Perché per restare ci vuole
il Pensiero di Dio. Nel pensiero del nostro io, per natura, siamo degli
evasori, sfuggiamo l’impegno. Da soli non possiamo restare, ci vuole il
Pensiero di Dio. Noi corriamo sempre, saltiamo da una cosa all’altra.
Nino:
Filippo risponde evadendo, ma non lo fa con malizia, non si rende conto di
essere nel pensiero del suo io.
Luigi:
Certo. A volte capita di parlare con delle persone che saltano da un argomento
all’altro e ti viene di dire loro: “Fermati un momento!”, e noi profondamente
siamo così nei riguardi di Dio. Sfuggiamo sempre da quello che è l’impegno
essenziale, l’unica cosa necessaria e opponiamo sempre altri impegni, altri
lavori, altre giustificazioni. E non ci accorgiamo che stiamo dicendo di “no” a
Dio. Ogni giorno Dio ci propone un’essenzialità, una cosa sola. Se noi
non cerchiamo il Pensiero di Dio, evadiamo il problema.
Teniamo presente che qui è Filippo, è un
discepolo, questo è impressionante. I discepoli sono coloro che avevano
lasciato tutto. E qui sbagliano, E vedremo quante volte sbaglieranno, Pietro,
Giuda. Non basta essere discepolo di Gesù. Infatti Gesù dirà: “Sarete veri miei discepoli…”; vuol dire che si può essere anche
discepoli fasulli.
Non basta lasciare tutto per essere
discepoli di Gesù. “Sarete
veramente miei discepoli se resterete nelle mie parole”. Ecco ciò che caratterizza il vero
discepolo. Il vero discepolo non è vero perché ha lasciato tutto per seguire
Gesù, non è quindi per un aspetto negativo. Il vero discepolo è colui che resta
nelle parole del Signore.
Quando parliamo di vita e di vera vita è
perché ci può essere una vita fasulla. Così si parla di falso discepolo e di
vero discepolo; cioè si può ritenere di essere discepoli e poi si prendono
delle cantonate. Allora la fonte dell’errore è nel non tener presente Dio, nel
non restare nelle parole di Dio. Quando non restiamo immediatamente apriamo in
noi la sorgente dell’errore.
La sorgente della Verità, cioè della
possibilità di cogliere lo Spirito di Dio nelle cose, sta nel passare sempre
dal pensiero nostro o delle cose che abbiamo presente al Pensiero di Dio. E’ il
Pensiero di Dio in noi la sorgente della Verità. Se in noi non c'è la presenza
del Pensiero di Dio, in noi c'è una fonte inquinata, che ci fa travisare le
cose, ci fa evadere dal problema, ci fa rispondere in modo sbagliato. Per cui
ci troviamo con delle parole sbagliate, che poi ci condurranno, perché
diventiamo figli delle parole che abbiamo detto, all’errore, all’affermazione
falsa. Siccome la parola di Dio può essere intesa soltanto con lo Spirito di
Dio, se non lo teniamo presente nasce la fonte dell’errore. Da quell’errore al
peccato il passaggio è rapido.
Teniamo presente che Adamo ed Eva non
hanno cominciato il loro peccato commettendo un assassinio (come l’ha commesso
Caino; l’assassinio è avvenuto dopo il peccato, non è stato la fonte del
peccato), ma il peccato è stato nel non tener conto di Dio, nel pensare a se
stessi. Quello è stato l’inizio, poi è stato commesso l’assassinio.
L’assassinio viene dopo. Dobbiamo sempre tenere presente questo fatto: la fonte
del peccato: è quasi sempre “innocente” il fatto di non riportare, il fatto di
non trasferirci dal pensiero del nostro io al Pensiero di Dio. “Sarete simili a Dio”, Dio li ha creati per diventare simili
a Lui; “Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, quindi il pensiero è quasi identico, perché il demonio
propone loro di essere simili a Dio. Invece loro pensano a se stessi, ed è
finita! Lì comincia l’errore e di conseguenza si arriva all’omicidio.
Nino:
Direi che non c'è nemmeno bisogno di pensare a se stessi: non pensare Dio già
ci porta fuori, c'è l’automatismo.
Luigi: Il
non riportare a Dio già ci impedisce di-. Per questo diciamo che presso Dio non
c'è automatismo, perché si richiede sempre questa presenza di pensiero che in
noi non è naturale, perché è una presenza attuale che richiede una
partecipazione di pensiero. In caso diverso scivoliamo nel pensiero dell’io. Ed
è un impegno, uno sforzo, un superamento. Ecco perché parlo di evasione, perché
scarto un lavoro con una scusa.
Ora, Dio dandoci un lavoro e mettendoci
alla prova, ci propone sempre un impegno, un lavoro. Ed è questo il vero lavoro
per il quale è stato creato. L’uomo può lavorare da mattina a sera, sudare
sette camicie, faticare tutta una vita e poi sentirsi dire da Dio: “Hai fatto
niente per tutta la vita perché senza di me non potete fare niente”. Tutto
quello che facciamo è niente. D’altronde: “Il Figlio non può fare niente se non lo vede fare dal Padre”. Allora tutto quello che facciamo senza
vederlo fare dal Padre è niente; e toccheremo con mano che abbiamo fatto
niente. Qui si comincia a scoprire la vera fatica: “Guadagnerai il tuo pane con il sudore della tua fronte” è questa la fatica! Per cui quello
che sta in una trappa, in un monastero a cercare il Signore, a pensare il
Signore, fatica, suda con la fronte, per il suo pane, molto di più di chi
fatica da mattina a sera per fare dei proseliti o per conquistare il mondo.
Anche in nome di Dio! Perché il vero lavoro sta lì.
Il vero lavoro sta nel portarci
sull’altra sponda per vedere le cose secondo lo Spirito di Dio: questa è la
vera fatica che Dio chiede all’uomo e per il quale l’uomo è stato creato. È
diventato un lavoro faticoso in conseguenza del peccato. Mentre all’inizio era
una gioia poter pensare Dio, colloquiare con Dio, riferire tutto a Dio,
unificare tutto nel Pensiero di Dio. Ed è una gioia che noi verifichiamo ancora
adesso quando, superata una certa fatica, superato tutto il nostro mondo, le
nostre sicurezze, cominciamo a scoprire qualche cosa in Dio. E’ una gioia che
ci fa cantare. Ed era la gioia che era all’inizio in Adamo, prima del peccato,
quando c’era il Verbo che colloquiava.
Il Verbo colloquia ancora adesso, però
noi abbiamo altre presenze, per cui è richiesta una fatica, in conseguenza di
questa colpa. “Guadagnerai il tuo pane con il sudore della tua fronte”. Prima
no, perché Dio ha creato tutte le cose per la gioia.
La partecipazione alla vita di Dio è
tutta una festa. Siccome diventiamo figli delle nostre colpe, avendo detto una parola
sbagliata, per rimangiarcela c'è una fatica. E questo ci porta lontano. È come
andando in montagna: se si fa un bel scivolone, si fa poi una certa fatica a
ritornare in cima. Così è lo stesso. Però quando si è sulla Vetta,
contemplando il panorama, si prova una grande gioia.
Superando la fatica, quando in noi si
forma un po’ di luce su qualche problema che il Signore ci ha posto, la nostra
anima prova gioia. E questa è la vera gioia. Questo ci fa capire qual è il
lavoro essenziale che Dio chiede a noi. Per cui è giustificata Maria nei
riguardi di Marta, perché Maria fa il vero lavoro, il lavoro essenziale; mentre
Marta, agli occhi di Dio, fa meno. Eppure lei chiedeva aiuto a Maria, credendo
di far di più di Maria. Ecco per cui Gesù si rifiuta di ubbidire a Marta, o di
autorizzare Maria. Perché Maria sta facendo un lavoro più grande, più
impegnativo di quello che sta facendo Marta.
Pinuccia
B.: Dobbiamo approfondire quale sia questo fraintendimento in noi.
Luigi: Si,
sostanzialmente quale è la fonte dell’errore in noi, per cui noi evadiamo da
quello che è la prova che Dio ci mette, dal problema che Dio ci pone. E noi
magari crediamo di rispondere a questo problema invece evadiamo dal problema;
cioè rispondiamo in termini umani e non ci accorgiamo invece che non
rispondiamo al problema che Dio ci propone.
Dio ci propone Se stesso, noi invece
pensando ad un nostro modo di essere ci mettiamo a correre, pensando che Dio ci
dica di correre.
Non ci rendiamo conto di quello che Dio ci sta ponendo. Per cogliere questo
dobbiamo pensare Dio, altrimenti non cogliamo il Pensiero di Dio.
Eligio:
Secondo me il Signore avrebbe dovuto dire a Filippo: “Non ti ho chiesto quanto
occorre per comprare il pane, ma ti ho chiesto dove potremo trovare il pane.
Non uscire dall’argomento!”.
Luigi: Lui
richiamerà con i fatti.
Nino:
Perché Gesù ci impegna a pensare.
Luigi:
Filippo è un discepolo, e non risponde con malizia, né mettendosi in contrasto,
anzi crede di essere sulla linea. Però se approfondiamo, vediamo che è tutt’altro
che sulla linea di Gesù. Questo per dire con che facilità noi usciamo dal
problema che Dio ci propone.
Stai attento perché tu sei sempre in una
situazione di risposta a Dio. Non sei tu che devi scegliere la prova, perché è
Dio che inizia e, iniziando, ti mette alla prova, ti propone qualche cosa. L’iniziatore
di tutta la nostra attività è sempre Dio. Direi che tutte le nostre scelte,
tutte le nostre iniziative (che crediamo siano nostre iniziative) sono sempre
risposte a problemi di Dio. Quando diciamo: “Adesso mi è saltato in mente”, no,
non ci è saltato in mente ma è Dio che ci sta interrogando. Sollecitati da Dio,
evadiamo sempre dall’essenza del problema se non cerchiamo il pensiero di Dio
di fronte al problema che Dio ci pone. L’essenza ci sfugge se non
interroghiamo Dio.
Pinuccia
B.: L’essenza del problema è un richiamo a pensare a Lui.
Luigi:
Stiamo in questo argomento. Se quello che ci spinge a fare una scelta (ad
esempio andare fuori a cena con la propria moglie) è motivato da Dio, stiamo
rispondendo al problema di Dio. Dobbiamo convincerci che noi continuamente
siamo interrogati dal Signore. Questa interrogazione da parte del Signore, in
noi si afferma come problema. In questo problema Lui ci sta proponendo Se
stesso, l’essenziale, la cosa principale. Per poter cogliere quello che Lui ci
propone, dobbiamo cercare il suo pensiero; in caso diverso noi evadiamo dal suo
problema. In conseguenza di questo diamo delle risposte errate; da queste
risposte errate ne derivano tutte le conseguenze.
Nino: Ad
esempio se uno lascia nel testamento che vuole lasciare la casa in beneficenza,
e i parenti contestano, bisogna cercare quale sia la volontà di Dio.
Luigi:
Abbiamo in aiuto la parola chiara del Signore: “Se uno vuole contendere con te l’abito tu dagli anche il
soprabito”.
Questo è l’argomento più convincente per chi non si preoccupa di fare la
volontà di Dio. Perché se uno contende, esalta la loro distrazione a Dio,
testimonia che quello è il loro vero bene. Se Gesù ha detto quello è perché
è l’argomento migliore per aiutare il fratello, non per aiutare noi.
Dobbiamo aiutare questi nostri fratelli che non capiscono, fanno pena…
Pinuccia
B.: Dio ci chiede di non giudicarli.
Teresa:
Anche questo è un modo per dare testimonianza.
Luigi:
Certo, ogni giorno, se noi teniamo presente il Pensiero di Dio, Dio ci
presenta delle occasioni per dare testimonianza. E se noi stiamo attenti
alla parola di Dio, rispondendo alla parola di Dio, diamo la vera testimonianza
e anche il migliore aiuto per il fratello.
Nino: Uno potrebbe
anche decidere di rinunciare all’eredità per non avere delle noie, ma a motivo
della parola di Dio.
Luigi:
Certo. Eppure è necessario fermarci a tavolino, lo dice Gesù stesso: “Fate bene i conti a tavolino”. Abbiamo visto che quando siamo su
questa riva e Dio ci propone l’altra riva, si può arrivare all’altra riva solo
col pensiero. Quindi siamo a tavolino. Perché è proprio fermandoci a pensare
nel silenzio, come si svolge la vita, diversa da quella in cui ci troviamo, che
prepariamo il nostro animo per la nostra vita futura. Ma se non ci
prepariamo in precedenza, ci troveremo spaesati sull’altra sponda. Come ci si
trasferisce sull’altra sponda? Solo con il pensiero, perché il mondo attuale è
diverso.
Le vergini sagge sono state intelligenti
nel prevedere quello che sarebbe avvenuto. E come potevano prevederlo? Con
l’intelligenza, col pensiero. Mentre le vergini stolte non hanno previsto;
nella pratica c'è tutto: c'è la verginità, c'è la fede, c'è l’andare incontro
allo sposo, c'è tutto. L’unica distinzione è che alcune hanno previsto, mentre
le altre non hanno previsto. Cosa vuol dire prevedere? Pensare l’avvenimento,
come sarà secondo Dio la vita sull’altra sponda. E questo è espressione di
amore. Perché quando uno ama precede i tempi. Proprio questi tempi anticipati
rendono la nostra anima capace di vivere sull’altra sponda, rendono l’anima
intelligente di intendere lo Spirito di Dio e di non uscire da quello che è il
dialogo di Dio con noi, dal problema che Dio ci pone. Altrimenti diventa un dialogo
tra sordi, perché Dio propone e noi rispondiamo un’altra cosa.
Noi non evaderemo mai dalla volontà di
Dio, perché Dio arriva anche nell’inferno; però risponderemo sempre in modo
sbagliato nei riguardi dell’interrogazione di Dio. Dio ci dice: “Sta fermo” e
noi capiamo che dobbiamo correre. Anche chi corre cammina nel regno di Dio,
però non fa la volontà di Dio; perché Dio ha detto di stare fermo.
Per rimanere nello Spirito di Dio
bisogna rispondere ai problemi che Dio pone, non rispondere secondo le nostre
impressioni, i nostri pensieri, i nostri desideri, i nostri schemi. Per questo
si richiede sempre questa attenzione. Perché Dio sta parlando con te. E tu
dove sei?
Pinuccia
B.: Tutti i problemi che Dio ci pone sono sintetizzati in quel “dove?”.
Luigi: In
tutti i problemi che Dio ci sta ponendo, sta proponendo a noi Se stesso, per
insegnarci a vivere con Lui, nel suo Spirito, nel suo Pensiero. Da noi si
richiede la percezione dell’essenzialità: la vita nostra è Lui, è in Lui; che è
quel “dove” che Lui propone.
Pinuccia
B.: Chi muore è già arrivato a quel “dove”?
Luigi: Non
sappiamo, non possiamo dirlo.
Teresa:
Non abbiamo parlato del versetto 8.
Luigi:
Siamo ancora nel versetto 7, dobbiamo ancora considerare il secondo argomento
che tratta dell’impotenza dell’uomo. Oggi abbiamo trattato l’argomento in cui
l’uomo ha la possibilità di deviare dal problema che Dio pone, qual è la fonte
dell’errore.
Nino:
Dovremmo trovare il modo, per tutta la settimana, di capire quando sono nel
Pensiero di Dio e quando nel pensiero dell’io.
Pinuccia
B.: Bisogna trasformare il “come” in “dove”.
Nino: Ma
possono essere solo parole. Proviamo a pensare quando facciamo qualcosa se lo
facciamo nel Pensiero di Dio o nel pensiero dell’io.
Teresa:
Vorrei sapere perché evadiamo.
Luigi: Evadiamo
perché non cerchiamo il Pensiero di Dio ma ci affidiamo subito a quelli che
sono i nostri impulsi, i nostri sentimenti, le nostre convinzioni, i nostri
modi di giudicare, le nostre sicurezze.
Nino: Si,
perché noi evadiamo senza rendercene conto.
Luigi:
Infatti qui Filippo non ha detto “io voglio evadere”, ma evade nolente lui.
Teresa:
Per evadere ci giustifichiamo.
Luigi: Ah,
ma ci giustifichiamo noi, non è Dio che ci giustifica. Se è un’evasione Dio non
ci giustifica, perché la giustificazione avviene nel Pensiero di Dio.
Teresa:
Comunque vediamo che anche gli altri discepoli non rispondono alla domanda di
Gesù secondo il Pensiero di Dio.
Luigi: E
Gesù, come conclusione, non discute (e qui si vede la pazienza che ha Gesù), ma
dice: “Fateli sedere”; quasi a dire che se gli uomini si
fermano il pane arriva. Il pane non arriva perché gli uomini si agitano.
Siamo sempre in agitazione.
Dicendo queste parole Gesù sta per
dimostrare loro la realtà di quello che Lui aveva proposto; cioè che il pane viene
da Dio. E intanto prepara il grande discorso: “Io sono il pane della vita”. E’ quel “io” che troviamo più avanti nella
resurrezione: “Io
sono la resurrezione e la vita”.
Dio ci sta proponendo se stesso in tutte le cose e noi invece scivoliamo sempre
sui mezzi. Bisogna arrivare a quel “io”, perché soltanto cogliendo l’io di
Dio, noi troviamo il pane che sfama veramente, la resurrezione dalla morte, la
vita, troviamo tutto.
Pensieri conclusivi:
Cina:
Chiedo al Signore di guarire da questa evasione, di stare più attenta a Lui.
Luigi:
Dobbiamo tenere a mente questa lezione; ricordarci cioè che continuamente Dio
ci pone dei problemi, ci mette alla prova. Però se non cerchiamo il suo
pensiero, non ce ne accorgiamo nemmeno che Dio ci sta mettendo alla prova. E la
prova è sempre un testimoniare la validità e la Verità delle parole, delle
lezioni che precedentemente Lui ha detto a noi. Quelle parole attraverso le
quali Lui ci proponeva l’essenziale: sul prima di tutto, sul vero cibo, sul non
preoccuparsi del mangiare e del vestire; l’uomo non vive di solo pane ma di
ogni parola che esce dalla bocca di Dio, questo agganciarci allo Spirito. E lo Spirito è un Essere personale.
Pinuccia
B: È un impegno a non dialogare più con le cause seconde, ma dialogare con Dio.
Per cui anche i nostri sbagli, se li dialoghiamo con Dio, diventano positivi.
Luigi:
Tutto diventa positivo nel Pensiero di Dio, tutto. Anche i nostri peccati
diventano positivi. Dio converte tutto in bene. È meravigliosa l’opera
di Dio, perché Dio ha la possibilità di trasformare tutto in positivo; anche la
nostra massima negatività, se la prendiamo da Lui, Lui la trasforma in massima
positività. Se non lo prendiamo da Lui anche la nostra positività diventa
negatività, anche le cose più sante, virtuose, quelle che noi riteniamo più
valide verso Dio, diventano negative per noi.
Pinuccia
B.: Diventano negative per noi e anche per gli altri.
Luigi: Ma
se gli altri prendono da Dio la nostra negatività, anche questa diventa
positiva, perché gli altri non si possano dannare per colpa nostra. La colpa è
sempre personale. Per cui l’errore che io faccio, lo scandalo che io do, se
l’altro lo prende da Dio, è positivo. Perché non c'è il negativo nel regno
di Dio. Dio trasforma tutto in positivo. È vincolo di maggior unione. Il male
procede dall’interno dell’uomo. Se l’altro lo vede, deve accoglierlo dalle mani
di Dio, perché in quanto è avvenuto, lo deve accogliere dalle mani di Dio. Se
non lo accoglie dalle mani di Dio, indubbiamente ne subisce il danno, ma la colpa
sta nel non tenere presente Dio.
Teresa: Se
noi vediamo un bambino che fa una domanda sconveniente, lo distogliamo subito
proponendogli un’altra cosa, perché non abbiamo la capacità.
Luigi:
Invece Dio convoglia perché Dio è fedele. Dio lavora unitariamente con noi.
Tutta la creazione, tutto l’universo è terribilmente logico. E’ tutto un
Pensiero che si svolge, un Pensiero unitario. Siamo noi che siamo infedeli,
incoerenti. Scopriamo nell’universo delle leggi, che non sono altro che la
coerenza di Dio, perché Dio crea senza distruggere niente. Noi saltiamo da
una cosa all’altra. Quando un bambino fa una domanda non conveniente, cerchiamo
di distoglierlo, in sostanza facciamo un salto da una cosa all’altra cercando
di far fare un salto anche al bambino. Invece il Signore non opera per salti, Dio
opera confermando tutto quello che ha fatto, perché tutto è buono. Quindi
ogni giorno della creazione è cosa buona, all’ultimo giorno riconobbe che tutto
era molto buono; quindi ha visto tutto in sintesi, tutto raccolto, confermato
il buono di ogni giorno. E ha confermato il tutto, la totalità come cosa molto
buona. Quindi abbiamo un’unità di pensiero, di coerenza.
Questa sera abbiamo constatato che la
natura umana di per sé è incoerente, evade, salta. Il Signore pone un problema,
fa un’interrogazione e la creatura scivola, salta da una cosa all’altra. Questa
è la natura umana che non è capace ad essere fedele. Solo Dio è fedele. Più noi
ci avviciniamo a Dio e più noi diventiamo fedeli. Ma per noi è una beata illusione
essere fedeli; noi siamo infedeli perché non siamo capaci a restare nelle sue
parole, a continuare in un pensiero. Grattiamo un pochino un pensiero e poi ci
fermiamo, non siamo capaci ad andare avanti, è la paralisi. Invece Dio, da
qualsiasi argomento da cui Lui parta, sarà l’acqua, sarà il vino, sarà il
fuoco, il sole, ad un certo momento ci apre a degli abissi di luce. Con la
Samaritana, partendo da una richiesta quasi illogica, perché Dio non ha bisogno
dell’acqua della creatura, eppure si abbassa a chiedere l’acqua, e intesse un
dialogo attraverso il quale arriva a dire: “Sono io che parlo con te”. E’ la rivelazione attraverso cui
capiamo che Dio personalmente in tutte le cose parla con noi.
Dio attraverso tutta la creazione,
dialoga con noi come dialogò con la Samaritana, per condurci a questa meta, a
scoprire che è Lui che parla con noi personalmente. È una conversazione quella
che Lui fa. Converge senza distruggere nulla.
Nino: Devo
cercare di non staccarmi dal suo Pensiero.
Luigi: Per
cui io non potrò mai dire: “io non sapevo”, ma dire: “Signore, io non ti ho
tenuto presente, non ho tenuto presente quelle parole, quelle lezioni che Tu mi
hai dato”; perché le parole, le lezioni Lui le aveva date. Filippo non si
poteva giustificare, perché: “Signore, io lo sapevo che il pane viene da Te! Tu
me lo avevi detto come avrei dovuto rispondere. Non mi sono ricordato”.
Pinuccia
B.: Avrebbe potuto dire che non aveva capito la domanda.
Luigi: Se
non ha capito è perché non ha tenuto presente le lezioni precedenti. All’inizio
loro stessi hanno chiesto: “Maestro,
dove abiti?”. “Venite e vedete”, hanno veduto, quel giorno hanno visto. Quando Gesù
moltiplica il pane, il giorno dopo si ricordano che non hanno preso il pane
materiale, perché si sono dimenticati di quello che è avvenuto il giorno prima.
E quello è segno di quello che avviene in noi. Dio fa dei miracoli con noi ogni
giorno e noi continuamente ci dimentichiamo. E ad ogni prova siamo spaventati
come se ci trovassimo con un ignoto. Dio ci interroga sapendo che ha già
posto in noi la risposta. La sua proposta è sempre conseguente ad una sua
parola già seminata. Lui semina la parola e poi la sviluppa attraverso i
problemi che ci pone. Ma bisogna rimanere nelle sue parole.
Pinuccia
B.: E per rimanere come si fa?
Luigi: È
il terreno profondo. È solo dialogando con Dio che si rimane nel Pensiero Dio,
che si rimane nella parola che Dio ha seminato nel nostro terreno.
Eligio:
Bisogna stare attenti al suo parlare e capirne lo spirito.
* * *
N.B.: Il testo, tratto da registrazione
non è stato riveduto dall'autore e
mantiene lo stile discorsivo.